Il fumo fa male

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Non sto cercando un alibi. In fondo oggi non mi servirebbe. La vita è dura per tutti quando diventa ripetitiva. Sapete quelle giornate che diventano tutte uguali, con atti che si ripetono e si ripetono. La vita va così per tante persone, e anche per me andava così.

Non sono mai stato molto creativo e, in fondo, nelle abitudini ho sempre trovato conforto. Mi piace la mattina svegliarmi presto e assecondare senza resistere troppo un ritmato scorrere del tempo: un atto, poi un altro e ancora un altro.

Mi sono sempre difeso nell’abitudine, come un ritmo da trovare. Trovavo geometrie della vita nell’andare verso il lavoro: sempre le stesse strade, il parcheggio, il giornale, il caffè e le sigarette.

Mi creavo una sorta d’intercapedine, prima di entrare al lavoro ed essere risucchiato in un altro ritmo fino alle 17.00. Ogni giorno, ogni giorno.

Fumare non sarà certo l’atto più intelligente della vita. È un vizio, certo e nessuno lo vuole trasformare in virtù. E allora? Lasciatemi almeno in pace mentre fumo. C’è invece il rompicoglioni di turno che deve dire la frase intelligente. Lo sappiamo che il fumo fa male. E allora? Lasciatemi fumare in pace, prima d’entrare al lavoro.

E poi c’era il tabaccaio, quello dove compravo ogni giorno le sigarette. Cazzo, dico io, vendi le sigarette, questa merda di Stato, e allora perché mi guardi come se fossi un tossico? Ogni giorno ti giri e mi porgi le sigarette, con una smorfia di superiorità perché tu le sigarette le vendi, ma non le fumi. E chi ti dà il diritto di sentirti migliore dei tuoi clienti? Non pensavo che ogni tabaccaio potesse essere costretto a fumare, questo no. Almeno, però, non prendere in giro quelli che ti danno da mangiare.

Ogni giorno, ogni giorno, lo stesso beffardo sorriso pieno di spavalderia. Non riesco a smettere di fumare. Saranno fatti miei? Mi piace fumare e avere una pausa ogni tanto. E tu perché sorridi? Li prendi i miei soldi per questa vendita di morte? E allora…

Era il mese d’aprile, mi sembra. Entrai come al solito e lui si girò per prendere le mie sigarette. Non c’era bisogno di parlare; avevamo detto tutto con gli occhi come sempre.

Lui si girò ed io lo infilzai con il pugnale che avevo portato con me. Rovistai con forza nel suo corpo che si spegneva e finalmente il suo sguardo cambiò in dolore, paura, odio, spavento.

Lasciai un lago di sangue; uscii; accesi una sigaretta e respirai a pieni polmoni. Ora si che potevo andare.

Il racconto è tratto da
Antonio Fresa
Delitti esemplari nel Bel Paese
L’Erudita, 2016
pagg. 124
€ 13,00

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