
La maggioranza parlamentare che sostiene il governo giapponese del premier Shinzo Abe ha dato il via libera all'approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, della modifica dell'articolo 9 della Costituzione. Le forze armate del Giappone potranno difendere gli alleati sotto attacco con la formula della “autodifesa collettiva“.

Finora era vigente il divieto alle forze armate di partecipare ad azioni belliche ad esclusioni della difesa da un attacco esterno, ma comunque solo se nessun'altra via fosse stata perseguibile. Tutto ciò cadrà in favore di una politica estera armata.
Non è stata adottata la strada di una modifica costituzionale vera e propria perché sarebbe stata necessaria una larga maggioranza. È un'interpretazione capovolta dell'articolo 9 della Costituzione che impedisce al Giappone poter attaccare in un conflitto.
Non sfugge il fatto che questa decisione si inserisce nella sempre maggiore conflittualità nello scacchiere del Pacifico dove Tokyo cambia approccio alle dispute con i suoi vicini, Cina in testa, e sostiene con maggior durezza la presenza e la politica estera statunitense.
Negli ultimi mesi il governo cinese aveva già tuonato contro il governo di Tokyo per il ritorno di fatto al militarismo degli anni precedenti alla II guerra mondiale.
Lo scorso aprile quando questa conversione guerrafondaia della politica estera giapponese aveva fatto un notevole passo in avanti con la revoca da parte bando all'esportazione di armi, il portavoce del ministero degli Esteri della Cina Hong Lei aveva dichiarato che «ogni cambiamento compiuto dal Giappone per quanto riguarda questioni militari e di sicurezza riguarda la stabilità strategica dell'intera regione e rivela anche la direzione che il governo nipponico sta prendendo. Noi prestiamo grande attenzione a tutto questo». Mentre Il capo di gabinetto giapponese, Yoshihide Suga sosteneva che le nuove regole per il trasferimento di «equipaggiamenti di difesa» rendendo il tutto trasparente avrebbero contribuito «alla pace e alla cooperazione internazionale dal punto di vista del pacifismo attivo». [1].

Questo inasprimento delle posizioni aumenta i rischi di guerra che già avevano subito un innalzamento negli ultimi mesi. Nel novembre 2013 Pechino creava la Zona d'identificazione per la difesa aerea (Adiz) nel Mar Cinese Orientale, tra Corea del Sud, Giappone e Taiwan che obbliga qualsiasi velivolo a dichiarare i piani di volo pena contromisure dei militari cinesi. Il mese successivo il primo ministro giapponese Shinzo Abe visitava il santuario shintoista Yasukuni dedicato ai soldati nipponici caduti in battaglia e che conserva anche quattordici criminali di guerra. Pechino non smette di ricordare il massacro di Nanchino nel 1937 con le 300 mila vittime. A gennaio scorso durante il World Economic Forum 2014 il premier giapponese paragonava l'attuale rapporto tra Cina e Giappone a quello tra Germania e Inghilterra nel periodo antecedente la Prima Guerra Mondiale. Nel frattempo le relazioni economiche scemano e le rispettive opinioni pubbliche si accaniscono [2].
Su tutto incombe l'annosa questione delle isole Senkaku/Diaoyu contese tra i due paesi per questioni ideologiche e per il possibile petrolio che si potrà estrarre dai fondali.
Un ruolo più attivo nell'area ed in particolare nei confronti di Pechino riceve l'appoggio dell'amministrazione USA. Barack Obama ha interesse che ci siano attori forti per contenere la minaccia cinese. Per tutto ciò il governo nipponico si era già preparato non solo con l'eliminazione del divieto di esportazione di certe tipologie di armi o strumenti bellici ma anche con l'aumento delle spese militari del 2,5% nel quinquennio 2014-2019.
Ci sono tutti i presupposti perché possano verificarsi scontri militari. Forse se non ci si è già arrivati è perché i tre attori in causa hanno bisogno l'uno degli altri per fare affari e sostenere la crescita del loro potere economico. Nemmeno questa è una prospettiva allettante.
Pasquale Esposito
[1] Ernesto Corvetti, “Il riarmo del Giappone spaventa la Cina”, www.lettera43.it, 04 Aprile 2014
[2] Giorgio Cuscito, “La Cina di Xi Jinping e le lezioni della prima guerra sino-giapponese”, temi.repubblica/limes, 1 luglio 2014
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