Il gigante dell’isola

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Partì una mattina d'estate insieme alla sua giovane moglie e al figlio di tre anni. Era eccitatissimo dall'idea di trascorrere le vacanze in . Non sapeva per quale motivo ma, fin da bambino, fin dallo studio della geografia e della storia, quella terra così vicina e così lontana, così diversa da tutte le altre regioni descritte nei testi, ricca di storia di antichi popoli, l'aveva affascinato e gli aveva trasmesso magnifiche emozioni.

Aveva appreso molto sugli Shardana, esperti marinai e guerrieri, capaci di commerciare con tutto il mediterraneo o di compiere scorrerie in un regno potente come l'antico Egitto. Sapeva tutto sui sardi dell'invincibile e leggendario Amsicora, contro il quale vanamente si erano infranti i tentativi dei romani di conquistare l'isola. Per anni Patrizio aveva guardato le foto dei complessi nuragici o degli antichi bronzetti o ancora di spiagge e panorami mozzafiato. Aveva letto Grazia Deledda e conosceva il codice di Eleonora d'Arborea. Si era interessato alle feste e tradizioni sarde: Sant'Efisio, I Mammutones, la Cavalcata, la Sartiglia, Sa die ‘e sa Sardigna. Ricordava Gigi Riva ed il suo Cagliari scudettato. Ascoltava Andrea Parodi e i Tazenda. Insomma, partiva dalla sua Bernalda, piccola cittadina della verde Basilicata alla volta di una terra che già gli era ben nota, pur non avendoci mai messo piede.
Mentre ammiravano la città dal mare, il traghetto toccò il molo e in quel momento sentì un brivido lungo la schiena e subito una piacevole ondata di calore che gli saliva dai piedi fino alla testa esplodendogli nel cervello ed inondandolo di euforia.
La stessa sensazione si presentò al suo primo contatto col suolo isolano, una volta sceso dall'auto in via Roma con l'intento di gustare la sua prima colazione a base di amaretti e pardule. Mentre si avviava sotto i portici alla ricerca di un bar sentiva una musica lontana sulla quale si inseriva un canto antico fatto di parole sconosciute. Non somigliava né al sardo né al latino né al greco. Era qualcosa di molto più antico, accompagnata da un senso di déjà vu. Si scosse un attimo, prima di sedersi a gustare le prelibatezze locali, ma la sua mente vagava ormai nell'ignoto e continuava a chiedersi cosa mai stesse succedendo. Si guardava intorno come cercasse qualcosa. La sua testa si muoveva a destra e sinistra, quasi ritmicamente, come quella di uno scoiattolo che mette fuori il muso dalla tana, dopo il lungo letargo invernale. Continuò a cercare qualcosa senza sapere quale fosse realmente l'oggetto della sua ricerca. Si calmò solo quando vide, su di un muro, un grande manifesto che invitava i turisti a visitare, nel museo archeologico di Cagliari, la sua sezione dedicata a i Giganti di Mont'e Prama. Forse era proprio quello che lo aveva reso così impaziente.

Al mattino seguente, già all'apertura del museo, era ansiosamente pronto alla visita. Non era interessato ad altro che a quelle enormi statue vecchie ormai di 3000 anni ma per lui, evidentemente piene di vita. Attraversò tutte le sale senza degnare di un solo sguardo quanto vi fosse esposto. Raggiunse infine i locali in cui erano esposti una piccola parte dei tanti Colossi in arenaria rinvenuti negli anni nella località dell'oristanese. Ancora una volta avverti un brivido caldo, la testa gli esplose, e iniziò nuovamente quel canto i cui versi sarebbero restati arcani. Guardò le statue, i volti solo parzialmente conservati e i frammenti di arti, tronchi e scudi rimaneggiati, ma ricomposti comunque da esperti restauratori che sembravano averli riportati in vita. Gli parve che il canto venisse dalle bocche delle statue stesse che, ai suoi occhi sembravano muoversi in armonia. Guardò Antonella che non sembrava però avvertire nulla di quanto gli stesse accadendo. Imbarazzato, non le chiese nulla ed anzi, si preoccupò non poco per la propria salute mentale. Guardò il volto di una delle statue e, non sapendo neanche come e perché, si sentì rassicurato. Quel giorno visitarono Cagliari, passarono qualche piacevole ora al Poetto, gustarono la cena proposta da Giacomo nel ristorante Stella Marina di Montecristo, a due passi da via Roma. Spesso però, il suo pensiero andava alle statue e al dolce e incomprensibile canto.

Al mattino seguente, svegliandosi, disse alla moglie: “dobbiamo andare!”,  lasciandola dubbiosa e preoccupata durante tutto il viaggio mentre l'auto percorreva la SS.131 attraverso la pianura del Campidano. Ogni tanto la musica e quelle strane liriche ignote ed incomprensibili riecheggiavano nella sua mente. Spegneva il lettore CD dell'auto zittendo la voce e la chitarra del suo mito musicale, Bruce Springsteen, per poter sentire meglio quella melodia e quei versi. Era come ipnotizzato. Giunsero ad Oristano e di lì piegarono per Cabras. Sentiva il cuore battergli forte nel petto ed una immensa eccitazione lo colse. Quando imboccarono la provinciale numero 7 il richiamo si fece ancora più forte. Era vicino a scoprire qualcosa. Finalmente il Mont'e Prama si stagliava davanti a loro. La strada salì dolcemente mentre le indicazioni per la necropoli dei Giganti si facevano sempre più frequenti. Non guardava neanche quelle indicazioni, Patrizio andava man mano realizzando che quel canto e quelle voci armoniose lo stavano portando verso quel sito. Era un richiamo dolce, ma forte ed irresistibile. Era per lui quello che una bella corolla sgargiante o il profumo di un fiore sono per un'ape. E mentre si avvicinava sentiva una strana sensazione sul corpo, in particolare sul collo e sul volto, come il graffio di un arnese metallico dapprima, come il solletico dia uno o più pennelli poi, che sembravano liberarlo da qualcosa che lo aveva ricoperto ed imprigionato a lungo. Parcheggiarono mentre le sue rare parole erano di apprensione verso la moglie e il figlioletto. Si chiedeva se stessero bene o se sentissero anch'essi quella strana musica e quel solletico sul volto. Evidentemente ciò non accadeva perché non se ne lamentavano e non davano segni di fastidio e sofferenza. Si accertava che tutto andasse bene, che non fossero stanchi, ma nello stesso tempo quasi si disinteressava alle loro risposte, tanto grande era la forza di quella calamita che lo attirava verso quel sito. Sentiva che un enigma sarebbe stato presto risolto, che un velo sarebbe stato rimosso dalla sua mente e dai suoi occhi.

Erano finalmente alla necropoli. Quel luogo aveva 3000 anni da raccontare agli uomini che lo osservassero con interesse e curiosità. La sua attenzione però, non fu attirata dalle tombe e da quanto già portato agli occhi della gente e visibile sul terreno, bensì da qualcosa che stava vedendo la luce sotto un'ampia tettoia dove alcuni archeologi lavoravano alacremente. Erano tutti intenti a ripulire, da terra e detriti, una statua imponente con quei pennelli che aveva sentito sul viso Oltre due metri di arenaria che pareva più solida e compatta di quella che in cui erano state scolpite le statue viste al museo. Dopo averne liberato il tronco, gli arti ed un grosso scudo rettangolare, che si riconoscevano distintamente e che dimostravano l'eccellente mano dello scultore, stavano accuratamente lavorando sulla testa. Patrizio era a pochi metri da loro e li guardava in silenzio come fosse un pensionato ai lavori di una grande opera pubblica, ma con molta attenzione. Le note ed il canto si fecero sempre più intense mentre un occhio, il naso, poi l'altro occhio della statua venivano liberati. Il suo sguardo era sempre fisso su quel volto che stava tornando a vedere i raggi del sole. “Probabilmente era la statua di un principe” dicevano quegli esperti, che la trattavano con tutte la cure. Differiva dagli altri giganti dell' archeologico di Cagliari, non solo per il tipo di pietra ma soprattutto per la manifattura più accurata, per un tratto più preciso e per essersi conservata splendidamente. Dopo un po' fu scoperta la bocca della statua e in quel momento, come se venissero proprio da lì, le strane parole sembrarono ben scandite e forti. Fu proprio allora che il turista lucano fece una scoperta impressionante. Guardò quel volto regale. Pensò a quello che tutte le mattine vedeva riflesso nello specchio del bagno di casa. Riconobbe sé stesso nel principe mentre la musica saliva in un crescendo travolgente ed irresistibile e nel canto la parola “Patrizio” distintamente prendeva forma per un attimo frammista a chissà quante altre e veniva ripetuta più volte. Catturato in quel vortice. cominciò a barcollare, quasi ubriaco. Cadde improvvisamente al suolo come fulminato ma, nonostante ciò, provando una sensazione di leggerezza e di felicità. Aveva finalmente scoperto da dove venisse il suo amore per quella terra. Non si può non amare la terra da cui si proviene. Quella era la sua vera origine. Quell'isola aveva generato la sua stirpe. Quella stessa isola lo aveva chiamato a sé per svelargli finalmente il mistero della sua vita.

Agostino Trombetta

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