Il gioco del silenzio. Episodio 2

Paola Anatrella Il gioco del silenzio.
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Come tutti i portieri degni di questo nome, Tommaso amava parlare dei “suoi” condomini, tutta gente perbene e importante che, per rango, gettavano lustro anche sulla sua figura. Non poteva però chiacchierare con chicchessia fino a quando la guardiola fosse stata aperta, così con Luca si stabilì di andare a mangiare una pizza in un posto dove la fanno buona, che conosceva lui.
«Che ti devo dire? Lavoro là da venti anni ma so che la signora Marinella ci abitava con la famiglia fin da ragazzina, ha pure qualche altro appartamento nel palazzo. È molto gentile, educata, lascia belle mance. È stata una professoressa all’università, una scienziata, o cose del genere.»

Paola Anatrella acquerello
Paola Anatrella, Nonno Elio. Acquarello su carta 19×32. Foto Silvio Pirillo

Luca fece intendere che era interessato alla sua vita privata.
«Beh, un tempo faceva molte feste a casa sua, quando era a Napoli, cioè. Ha sempre vissuto anche a Parigi e d’estate se ne va a Sorrento. Ma adesso a Parigi non va più e anche le feste non le vanno più a genio, però continua a fare una bella vita: prende il taxi e rientra di notte, io non la vedo quando torna. Sempre elegante, curata, insomma una signora di altri tempi.»
Il ragazzo cercò di arrivare al punto.
«Storie d’amore?»
«Eh chi lo sa! È difficile pensare che sia sola una donna del genere, con le sue possibilità, poi quando va a Sorrento tre mesi all’anno non so con chi stia, ha una casa tutta sua accanto alla villa di famiglia, fa pure un sacco di viaggi. Almeno li faceva, mo s’è fatta vecchiarella pure lei.»
«Ma mio nonno che ti ha detto della loro storia?»
«Eh no, guaglio’, mo fammi mangiare ‘sta pizza che si fa ‘na porcheria!»
«Hai ragione, scusa, scusa!»
Luca attese almeno tre o quattro bocconi, poi Tommaso sbottò.
«Vabbè ho capito, qua devo parlare, mi stai guardando speruto
Tommaso appoggiò le posate sul tavolo.
«No, mangia, Tommaso, c’è tempo e scusami, non ti guardo più, adesso mangio pure io.»
Il pover’uomo, che era ansioso di raccontare almeno quanto Luca di sapere, terminò la pizza in quattro e quattr’otto e disse al cameriere di non volere altro se non un bicchierino di amaro che lo aiutava a digerire.
«Allora, tuo nonno l’ho conosciuto quasi subito dopo essere stato assunto. Come ti ho detto, circa vent’anni fa. All’inizio mi sembrava un tipo strano, girava intorno al palazzo senza dire nulla. Per come era vestito, si capiva che non era un ladro, altrimenti avrei sicuramente chiamato la polizia, invece un giorno mi feci coraggio e chiesi: “volete qualcuno?”, lui rispose di no e per un pezzo non si vide più. Poi tornò dopo che erano passati buoni sette otto mesi e io lo riconobbi subito, mi disse: “sapete tenere un segreto?”, io risposi di sì e allora mi raccontò di Marinella.»
E così Luca scoprì che Marinella e suo nonno erano stati fidanzati da ragazzi, prima del matrimonio con Clara. Si erano lasciati dopo diversi anni e lei non si era mai sposata.
«Lo ha lasciato lei, questo è certo e lui diceva di non sapere il motivo, ma io dico che lo sapeva. Eh già mo uno viene lasciato e non sa nemmeno perché! Fa finta di non sapere, perché non lo vuole sapere.»
Concluse Tommaso con un gesto plateale, strofinando tre volte con il dorso della mano la parte inferiore del mento a partire dal collo.
Per Luca fu inevitabile pensare a Matilde e segnò idealmente il suo nome tra quelli delle persone a cui aveva deciso di sottoporre delle domande.
Finito il primo amaro e pure il secondo, le possibilità erano due, o si ordinava un’altra pizza, che quella mangiata era bella che digerita, o ci si salutava.
Tommaso che aveva molto altro da raccontare, non disdegnò una fritturina di pesce e addentando un tentacolo di polpo impanato a regola d’arte, tirò fuori il pezzo forte.
«Mi raccomando che non si sappia, la signora Marinella mi fa licenziare e a me mancano ancora quattro anni alla pensione, ma io e Elio eravamo molto in confidenza. Lui ha fatto ricoverare mia moglie alla clinica Mediterranea e ha pagato tutte le spese, quando le è venuta quella brutta cosa alla mammella.»
Appoggiò la mano su quella di Luca e lo guardò dritto negli occhi.
«Per carità, Luca, mi posso fidare?»
«Tommaso, se tradisco il vostro segreto, tradisco te e pure mio nonno. Hai capito che lui era la persona più importante della mia vita, vero?»
«Eh come non lo so!»
Tommaso si commosse e si fece portare anche un mezzo fiaschetto di vino.
Per fortuna che sono venuto in auto e poi lo accompagno – pensò Luca.
«Insomma, Elio… io lo facevo entrare pure nella casa di Marinella, qualche volta e lo lasciavo solo. Ovviamente avevo le chiavi, lo sai no, i portieri innaffiano le piante, eccetera, eccetera. Lui restava anche un paio di ore, però non lo so che faceva. Solo d’estate, una, al massimo due volte all’anno.»
«Ma tu che idea ti sei fatto del loro rapporto?»
«Lui l’amava assai, questo è garantito. Però, credimi, non lo dico pe’ ti fa’ contento, voleva bene pure a tua nonna: Clara, vero?»
Luca annuì.
«Qualche volta ha pure telefonato mentre eravamo a prenderci un caffè, lui veniva quasi tutte le settimane, ma non salivamo sempre, solo quando mi diceva: “ne ho bisogno” e io rispondevo “andiamo”. Le altre volte parlavamo, di lei, ma io non sapevo quasi niente. La maggior parte delle volte si parlava di te e di tua madre, ma specialmente di te. Tu eri il figlio maschio tanto desiderato. Non gliene fregava niente che non avessi il suo cognome, tu eri la sua speranza, il suo domani. Poi tua madre, diventava un poco triste quando parlava di lei, si preoccupava perché era sola, senza un marito. Secondo me, poi, avrebbe preferito un maschio come il mio, danno meno pensieri, diceva però le voleva bene, la chiamava, la mia pazzarella
«Sì, lo so», Luca sorrise e finalmente comprese perché a sua madre urtasse tanto quel nomignolo.
«Poi tua nonna, eh deve essere una marescialla! si fece una bella risata.
«Lo è, certamente.»
«La chiamava il capitano, ma mai davanti a lei, vero?»
«Tomma’, ma tutto sai?»
«Eh sì, e lui di me. Della mugliarella mia che ci ho solo a lei, da quando nostro figlio è andato a vivere in Spagna. Poi si parlava di calcio, di traffico, di politica, insomma le solite cose.»
«Eravate proprio grandi amici!»
«No, questo no. Non eravamo grandi amici, forse neppure amici. Non si diventa amici per uno scopo. Lui era amico mio perché lo facevo entrare nella casa di Marinella e solo io potevo farlo, io gli davo le notizie di Marinella. Anche lei è stata malata, lo sai? La stessa cosa di mia moglie. Ma, per fortuna, capitò in inverno e tuo nonno lo seppe d’estate. Già stava meglio, fu scoperto quasi subito, io me ne accorsi solo perché si era tagliata tutti i capelli e perché avevo visto un medicinale che conoscevo bene nella sua busta. Poi quando ci si passa per certe cose, le riconosci subito anche negli altri, li guardi in faccia e lo sai. Poi è guarita, perfettamente, sono passati dodici anni. Mo sta bene, a parte l’età. Tuo nonno ci restò malissimo quando lo seppe, disse una cosa strana, non è possibile, lo avrei saputo, allora chiesi ma allora vi sentite ancora? e lui sì, ci sentiamo ma senza bisogno del telefono. Ovviamente non capii niente e lui non mi spiegò cosa voleva dire, forse che la gente che conoscevano in comune lo avrebbe avvisato, mah, sinceramente ho sempre pensato che avessero un rapporto strano, cioè tuo nonno, in ogni altro campo della vita si mostrava una persona tutta di un pezzo ma rispetto alla storia con Marinella non ci stava tanto con la testa. Scusami eh!»
Dopo essersi rassicurato che il nipote non si fosse offeso, continuò a parlare di Elio.
«Comunque riguardo a tuo nonno, ci volevamo bene, alla fine. Quando ci si conosce da tanto tempo, alla fine ci si vuole bene. Non ci credo ancora che questa estate non verrà.»
A quel punto una grossa lacrima scese sulla guancia del portiere e Luca prese due fazzoletti dal pacchetto.
«Guaglio’, che altro ti posso dire? Stai vicino a tua nonna e buona fortuna.»
«Sì, ti accompagno a casa, hai bevuto assai.»
Tommaso non voleva disturbare ma Luca non sentì ragioni.
«Si’ proprio tale e quale a iss!» commentò alla fine.

Quella sera il suo letto gli fu nuovamente scomodo. Luca sapeva qualcosa in più ma non abbastanza.
Dopo un paio di giorni tornò dove era iniziato tutto.
«Tomma’, devo parlare con lei.»
Il pover’uomo sbiancò.
«Luca, tu mi vuoi rovinare, e come si fa? Io te lo avevo detto che era un segreto, poi quando sarò licenziato vengo con mia moglie a mangiare a casa tua! Ti avviso.»
«Ma no, non ti preoccupare, non ti tradisco, ma troviamo il modo di farmela conoscere, diciamo che sono un tuo nipote, fammi parlare con lei.»
Tommaso era atterrito, pregò, supplicò, gli fece considerare che sua nonna non sapeva nulla che avrebbe avuto un grande dolore se avesse scoperto la storia di Marinella, ma Luca non volle sentire ragioni.
«Troviamo il modo, la devo conoscere.»
Tommaso era davvero terrorizzato ma, fin da piccolo, aveva una grande curiosità per gli intrighi e amava i romanzi gialli, soprattutto quelli con alcune o tante note di rosa. Marinella poi lo stuzzicava assai, come tutte le persone discrete che attirano l’interesse dei ficcanaso. Certo il rischio era grosso ma ne valeva la pena, in fondo.
«Va bene, fammici pensare un poco. »
«Fammi fare un lavoretto per il palazzo. Sono ingegnere, conosco tutti i generi di lavoretti, me li ha insegnati mio nonno: idraulico, imbianchino, giardiniere.»
«E va bene, ma per prima cosa, quando ti chiamo, togliti ‘sti vestiti, togliti questa motocicletta e pigliati ‘no scutér e qualche abito da mercato, ti accompagno sabato pomeriggio, e Madonna mia, mandacela buona» disse con le mani giunte e guardando verso l’alto.

Come nella favola de “il principe e il povero” che sua nonna le raccontava sempre da piccolo, Luca si ritrovò nello specchio curiosamente bardato. Il jeans di scarsa qualità e la polo che imitava quelle griffate lo facevano sentire “in missione”. Montare su uno scooter, anzi uno scutér come pronunciava Tommaso, mettendo un mezzo accento sull’ultima vocale, gli dava l’impressione di essere tornato alle elementari, quando si acconciava per carnevale.
La distanza tra casa sua e via Martucci era fortunatamente breve e così gli fu facile giungere con quell’insolito mezzo, con cui non aveva ancora acquisito dimestichezza, all’indirizzo di quell’insolito palcoscenico.
Era una mattina di marzo, e per fortuna pensò Tommaso, sapendo che a fine giugno Marinella avrebbe preso il volo per lidi più confortevoli. Quel giorno la signora aveva richiesto i soliti lavoretti di giardinaggio nel grande terrazzo pieno di piante e lui, prendendo come scusa l’età che avanzava, aveva risposto che avrebbe mandato suo nipote a causa di un forte mal di schiena.
Luca era molto eccitato, passò a prendersi l’occorrente da Tommaso, cesoie, terriccio e carriola e, prima di salire, fu costretto a sentire altre mille raccomandazioni.
«Va bene, va bene, mo fammi andare, sei peggio di mia nonna!»
Il povero Tommaso restò in guardiola in grande ambascia.
La scala dell’antico palazzo aveva un unico appartamento per piano. Le porte erano a doppia anta, maestose e scure, quella del terzo piano sormontata da un’insegna dorata: Marinella Marinetti. Si chiamava proprio così, Marinella, anche all’anagrafe, non Maria.
Luca ebbe una piccola esitazione prima di bussare, stava violando un segreto, ebbe un dubbio estremo ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.
Il cuore sembrò fermarsi nel petto mentre la porta veniva dischiusa.
Gli apparve una donna anziana, non eccessivamente alta, corpulenta ma non grassa, insomma una che occupava il suo spazio quando appariva, senza ingombrare.
Aveva i capelli lunghi e grigi, annodati in una treccia, che fu visibile appena si girò su se stessa, precedendolo e facendogli strada verso il terrazzo. Il viso rotondo e armonioso era illuminato dallo sguardo intenso dei suoi occhi grigi che erano diventati dello stesso colore dei capelli adesso. Le labbra rappresentavano un particolare degno di nota, piene e allungate con la V del labbro superiore perfettamente tracciata, come fosse stata disegnata. Abbondante di seno e di fianchi, indossava un vestitino di seta a maniche lunghe di un verde particolare, di quelli costosi. Certi colori particolari li hanno soltanto gli abiti costosi.
«Buongiorno.» sussurrò con voce cheta e vocali ben scandite, mentre l’imbarazzo di Luca lo fece esitare sull’uscio, rovinando la prima impressione. Non apparve sicuramente il brillante ingegnere che era, con laurea presa anzitempo, 110 e lode e menzione accademica. Meglio così, pensò Luca che temeva di essere scoperto.
Marinella si incamminò precedendolo, dopo aver fatto cenno di seguirlo, l‘andatura era lenta e matronale, ogni cosa in quella donna lo era. L’appartamento era molto spazioso e appariva abbagliante per essere illuminato dal sole e perché il colore bianco predominava nell’arredamento. Il percorso fu lineare: l’ampia sala di ingresso conduceva a un corridoio molto largo che si concludeva con un vasto salone, da qui si accedeva al terrazzo.
Transitarono davanti ad almeno otto porte di cui erano aperte solo la cucina e una specie di studiolo con alcuni microscopi e altri macchinari alquanto datati, sulla parete in fondo si intravedevano libri e targhe di riconoscimento.
Il mobilio in tutta la casa era composto da pochi pezzi d’epoca, la maggior parte delle pareti ospitava armadi a muro, librerie, nicchie attraversate da mensole piene di libri, bacheche e quadri, quasi nulla sporgeva dai muri e ciò rendeva l’appartamento sgombro e arioso.
Non vi erano fotografie, lampadari e orpelli in genere. Tutto appariva funzionale ma come incasellato in un ordine rigoroso che ricordava la lunga treccia, ondeggiante, sulla schiena della donna.
«Ecco, questo è il mio giardino!» disse, con una punta di orgoglio, indicando le numerose piante collocate in ampi vasi sul bel terrazzo maiolicato che ripeteva le decorazioni presenti sul ballatoio, nell’atrio e nelle scale del palazzo.
Il terrazzo faceva pensare a un chiostro per la presenza di panchine costruite lungo il suo perimetro a distanza simmetrica sui tre lati, identiche alla panchina fuori la porta d’ingresso. Era strano vedere all’improvviso, dopo tutto quel bianco, così tanto colore e i bei disegni nelle gradazioni del verde- turchese e del giallo ocra.
«La lascio, se ha bisogno la prego di chiamare suo zio, oggi non c’è Magda, la mia domestica, io ho da fare, quando ha finito vada pure, poi passo dallo zio per ricompensare il suo disturbo. Buona giornata e buon lavoro.»
Luca si ritrovò sotto un sole potente, prossimo allo zenith, da solo con un mucchio di piante da ripulire, costretto a fare un buon lavoro in modo da poter tornare.
Sgobbò per almeno tre ore, poi, vinto dalla sete, decise di fare un break e chiamò Tommaso sul cellulare.
«Senti, ma questa è una stronza, non me lo avevi detto!» sbottò, prima di spiegargli di essere stato lasciato sotto il sole senza nemmeno un bicchiere di acqua.
«E che credevi di essere andato in visita? Si vede che non sei abituato a essere trattato da operaio, vabbè scendi che ci facciamo una birretta quando hai finito.»
«Ne ho per un’altra mezz’oretta, al massimo, poi raccolgo tutto e arrivo.»
Tommaso era alquanto risollevato per quell’exploit poco felice e sperava che Luca avrebbe deciso di lasciar stare.
«Ma neanche per sogno, non ho saputo niente e che sono venuto a fare? A ripulire le piante per fare prendere la mancia a te!»
Il falso zio si diede una manata sulla testa, incerto se essere preoccupato o soddisfatto per la inattesa notizia della prossima mancia a cui non aveva ancora pensato.
«Vabbé, ti chiamo per il prossimo lavoretto.»
Nel pomeriggio Marinella passò in portineria, appoggiò un biglietto da cento sul bancone e fece per andarsene, poi ci ripensò.
«Tommaso, ma tuo nipote, se davvero ha bisogno di lavorare come mi hai detto, avrebbe piacere di farmi da autista qualche volta? Alla mia età vorrei smetterla con i taxi, l’altra volta ho avuto un capogiro e quello mi ha lasciato sul marciapiede senza tante storie. Tuo nipote è libero? Soprattutto guida? »
Tommaso pensò a quale fortuna hanno i ricchi: soldo va da soldo, gli aveva insegnato sua madre. Luca aveva trovato pure un posto di lavoro.
«Le farò sapere, signora, non dubiti. » disse pensando che Luca non avrebbe accettato.
«Ecco, lo vedi che quando ti impegni sei un grande!» rispose invece il giovane pieno di entusiasmo, quello dell’autista era proprio il ruolo adatto. Poca fatica e tante informazioni su dove andava e chi vedeva. Un incarico di grande fiducia, certamente sarebbe stato facile entrare in intimità nel traffico.

Stefania Squillante

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