Il “gioco” filosofico. Arcangela Miceli ne parla in un’intervista

ludosofia Arcangela Miceli
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Con Arcangela Miceli abbiamo discusso di Ludosofia, il suo ultimo lavoro sul “conoscere giocando” come punto d’avvio di un percorso per affrontare dubbi, incertezze e disagi.

Partiamo da una domanda secca e immediata: che cosa sono per Lei il “gioco filosofico” e la Ludosofia?
Diciamo che il gioco filosofico è l’atto, l’agito e l’agire nello stesso tempo, di una potenza che è la riflessione filosofica, quella riflessione che sottende e legittima il termine “ludosofia”.
Neologismo composto dall’attitudine al gioco – ludus appunto – innata nell’uomo e poi dimenticata, con l’accezione greca di sophia che attiene a tutto il percorso storico-filosofico; la sophia , il sapere, la ricerca della conoscenza che nasce dall’uomo e con l’uomo fin dal suo primo “apparire” sulla terra;  già dal momento che, come ci dice Herder, il primate ha smesso di camminare a quattro zampe e si è “eretto”. Da quell’istante, ci piace pensare che l’essere umano, avendo visto il mondo dall’alto, abbia prefigurato una propria “visione del mondo” e abbia cominciato a interrogare se stesso e le stelle e  ne ha cercato sensi e significati.
L’espressione ludosofia si è quasi “coniata da sola”, dopo molti anni di “pratica” filosofica attraverso i quali lo spunto di una riflessione filosofica sollecitava in me, e si ampliava nel gruppo e nell’interlocutore, il bisogno di creare un percorso operativo che fosse libero da vincoli di “dimostrazione” e di esiti definiti, e che si muovesse in un terreno in cui la creatività, la libertà e la messa in gioco di sé delineasse un itinerario di ricerca interiore.

in treno foto Silvia Bordini
In treno. Foto Silvia Bordini
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Ancora la necessità di una definizione, o meglio di una traccia, che aiuti il lettore a collocare nel giusto contesto questa conversazione: che cosa è il counseling filosofico?
Il counseling filosofico è una pratica filosofica che prende le mosse in Germania negli anni ’80 dal filosofo tedesco Achenbach che fondò la Società Internazionale della Pratica Filosofica (Philosophischen Praxis) e che consentiva a ogni filosofo di utilizzare la filosofia nella dimensione propria dell’uomo che è quella di interrogarsi, interrogare e cercare socraticamente in modo autonomo le risposte.  Quella “pratica” che consente, in una delle sue definizioni più efficaci, di “costruire una relazione intorno a un problema”. Relazione tra chi è avvezzo a “filosofare”, il counselor appunto, e chi si rivolge al counselor, “ospite” come lo chiama Achenbach, o consultante, com’è ormai diffuso, per intraprendere un cammino di autoesplorazione e di autoeducazione personale.
La pratica filosofica si è poi diffusa rapidamente in tutto il mondo, dagli Stati Uniti al resto dell’Europa, e secondo varie forme di attività: i caffè filosofici; le scuole di formazione in consulenza (counseling) filosofica (in Italia la Sicof di Torino, la Sucf di Roma, la Saficof di Vicenza, tra le più importanti); la Philosophischen kinder; la filosofia del management e il coaching.

Siamo partiti da due elementi. Ora le chiederei di incrociarli fra loro, presentandoci il nesso fra counseling e ludosofia, e mostrandoci il campo d’azione di questa “pratica”, che dovrebbe rintracciare, attraverso l’elemento ludico, “quel filosofo nascosto nell’interiorità”.
Ringrazio molto per questa domanda. E mi complimento per l’intuizione.
In effetti, tra il counseling e la ludosofia si verifica un intreccio molto stretto, quasi un chiasma, il cui punto di congiunzione è rappresentato proprio dalla pratica filosofica. Presente in particolare in quella serie di attività della “mente e del cuore”, del “pensare-sentire-essere” che connotano sia il counseling sia la pratica ludosofica. Tali attività vanno dalla ricerca “d’interrogativi e domande su di noi e sul mondo fino al saper riconoscere i nostri veri bisogni (nel dialogo socratico la domanda essenziale – il τί εστί – che cosa è veramente – costituisce la premessa fondamentale per entrare in relazione con se stessi per favorire il dialogo interiore e per riuscire a comprendere a fondo il dialogo con gli altri), all’individuazione della propria capacità di autonomia, possibilità di cambiamento e di rinnovamento interiore, sia nel valutare la propria esistenza che nel guardare il mondo. Esse servono a ripristinare un rapporto armonico con la natura, la storia, la società, vivendo la centralità del proprio essere nell’equilibrio tra esterno e interno – “che l’esterno si accordi con ciò che è nel mio interno (Platone Fedro, “Preghiera a Pan”) -; a ritornare bambini nel ritrovare stupore, curiosità, desiderio di conoscere; a parlare con gli altri in modo naturale e diretto e a divertirsi …riflettendo.
La riflessione, infatti, serve: a individuare problemi, risorse, strategie; a distinguere le situazioni o nella stessa situazione elementi diversi; a chiarire per poter affrontare e vedere meglio “il da farsi”; a dialogare con se stessi e con gli altri senza pre-giudizio; a evitare di avere attese e aspettative sia su di sé che sugli altri.

dal treno foto Silvia Bordini
Dal treno. Foto Silvia Bordini
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Quale ruolo gioca l’immaginazione in questo processo che pone al centro l’uomo stesso, con tutta la sua interiorità?
L’immaginazione è forse la funzione più significativa nell’esperienza di “dialogo interiore”: attraverso il ”risalto di reminiscenza” (G.B.Vico), l’attività creatrice della fantasia e dell’invenzione fantastica, il sogno, si liberano le forze della coscienza profonda, che sono lì da sempre e che aspettano solo di essere “ascoltate”.
L’attività immaginativa, infatti “presuppone” l’esistenza di un bagaglio “mnestico”, ricco non solo di ricordi infantili rimossi, ma “anche di contenuti arcaici che non sono stati mai riconosciuti nella sfera della coscienza e della consapevolezza e che riflettono tutto il materiale archetipico stratificato nel singolo, e che proviene dall’inconscio collettivo” (Jung).
Il percorso dell’immaginale così definito coincide, a nostro avviso, fino quasi a sovrapporsi con l’attività ludica da una parte e con quella poetica dall’altra, che, Vico nella Scienza Nuova spiega con queste parole: “il più sublime lavoro della poesia è alle cose insensate dare senso e passione, ed è proprietà dei fanciulli di prender cose inanimate tra le mani e trastullandosi, favellarvi come se fussero quelle, persone vive”.
L’immaginale, in quanto attività di “figurazione mentale”, concepita con la fantasia e il ricordo, insegna a perfezionare la propria percezione in modo quasi che essa possa re-imparare a essere un’unità inscindibile di quel “pensare-sentire-essere” e a riconoscerla nell’interminabile fisionomia vivente.
Al tempo stesso, esso “accende il desiderio di comprenderne i significati nella consapevolezza che non esiste tuttavia una gerarchia ma solo una proliferazione interconnessa e differenziale di essi”. Soggiornare nella giungla dei simboli e nella deriva dei loro significati indica già di per se stesso re-imparare ad “abitare la terra”, simulando l’eterno gioco dell’adattamento e della sopravvivenza.

Per chiudere e per offrire una maggiore informazione sull’argomento, può parlarci dei percorsi formativi che portano a diventare un counselor filosofico e raccontarci della sua esperienza formativa?
Il percorso di studi, di ricerca e di esperienze sul campo mi ha impegnata negli ultimi decenni ed è stato denso ma ricco di soddisfazioni. “Il Counseling Filosofico è una relazione d’aiuto in cui vengono facilitati, attraverso strumenti filosofici, processi decisionali e chiarificatori in grado di risolvere e rispondere a domande e problemi dell’esistenza. Il counselor agisce utilizzando le personali risorse del “consultante”, che sono stimolate e condotte attraverso una metodologia di lavoro di tipo filosofico e relazionale.” (dallo Statuto della Sucf, Scuola umbra di counseling filosofico). Sono voluta partire da questa affermazione tratta dallo statuto perché in essa è racchiuso, anche se in estrema sintesi, quell’itinerario formativo che ha caratterizzato tutto il mio percorso: dalla prima formazione presso la Società Italiana Counseling Filosofico (SICoF) di Torino –  un’associazione che promuove e  la ricerca e lo studio del counseling filosofico e delle discipline affini, sul territorio nazionale ed europeo portando ad  un potenziamento  e un approfondimento della prospettiva e dell’atteggiamento  filosofici – alla fondazione della Sucf, sede di Roma, presso cui attualmente insegno Filosofia applicata e Filosofia dell’immaginazione. Alla scuola si accede con il diploma di Laurea in Filosofia o lauree affini e, dopo tre anni di corso, caratterizzati da attività filosofico-speculative, training formativi, “pratiche”, supervisioni e tirocini, si può accedere all’iscrizione alla Società italiana counseling filosofico e svolgere la professione di counselor in diversi ambiti relazionali individuali o di gruppo.
Antonio Fresa

Arcangela Miceli è consuelor filosofico, consulente familiare e docente di filosofia applicata presso la Sucf (Scuola umbra di counseling filosofico).

Arcangela Miceli
Ludosofia
Ananke, 2014
Pagine 156, € 13,50

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