Il giorno che accompagnai Gigi a costituirsi per andare in carcere

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Ho cinquantotto anni e diverse letture alle spalle che negli anni mi hanno convinto come sia sempre opportuno evitare – quando possibile – la carcerazione.
Così, quando il mio amico Gigi, che di anni ne ha settanta, si è trovato di fronte ad una lieve condanna (sei mesi) per antiche e modeste sciocchezze, da trascorrere in detenzione domiciliare, gli ho detto che lo avrei sostenuto come potevo anche in questo frangente.

La stanza di Gigi foto Paolo Sassi
La stanza di Gigi foto Paolo Sassi

Gigi abita (o meglio, abitava) in un B&B come tanti, in una bella strada del quartiere Prati a Roma, dove ha preso alloggio dopo aver perso la casa e avere subìto le conseguenze di un incidente stradale che lo ha lasciato un po’ claudicante ed insicuro nel camminare. Una stanza con bagno, certo più costosa di un alloggio analogo in estrema periferia ma sicuramente più pratica per chi può muoversi poco e a fatica e preferisce trovare vicino a sé quello di cui può avere bisogno: un bar, un alimentari, una farmacia, un tabaccaio, un centro di salute. Durante la Covid diverse persone fragili hanno trovato soluzioni come queste, che aiutavano sia gli aspiranti inquilini (a Roma la crisi dell’abitare è drammatica), sia i proprietari (in assenza di turisti).
Ma accade l’imprevedibile: mentre Gigi trascorreva più o meno serenamente la detenzione, che era ormai prossima alla fine, il B&B passa di mano e Gigi si trova senza preavviso, da un giorno all’altro, senza più corrente elettrica. Il vecchio gestore – così sembra – avrebbe smesso di pagare le utenze e da qui l’interruzione della fornitura. Anche il Commissariato incaricato di vigilare su Gigi dice che la cosa è illegale, ma tant’è: ci si attrezza con qualche candela per la notte e si approfitta delle ore di libertà (due al mattino, due il pomeriggio) per ricaricare il telefonino e mangiare qualcosa (in stanza, ovviamente, non funziona più nulla).
Nel frattempo, Gigi – che aveva già trovato prima e per conto suo una nuova soluzione in un residence, pagando pure l’anticipo – fa fare istanza al Tribunale per essere autorizzato a trasferirsi al nuovo domicilio.
L’attesa non viene premiata: di lì a poco, infatti, anche l’acqua viene tagliata e Gigi non può più lavarsi né utilizzare il bagno, anche se è costretto a non muoversi di lì, pena la contestazione dell’evasione, ché sempre una detenzione deve scontare. In queste precarie condizioni, la situazione degenera presto, Gigi viene soccorso una sera in stato di semi incoscienza da un esercito in miniatura (vigili del fuoco per entrare in quello che si era trasformato rapidamente in un tugurio, polizia e sanitari per il resto) e prende la strada del Pronto soccorso. Il Santo Spirito lo tratterrà giusto il necessario per dire che non c’è nessuna patologia che ne richieda il ricovero; così, Gigi torna al suo antro.
Non trova però più le chiavi che gli consentivano di entrare, smarrite o perdute chissà dove nel trambusto del giorno prima. Il portone sulla strada per fortuna è aperto, così come il cancello di accesso al cortile e la porta blindata dell’appartamento e pure la porta della sua stanza: tutto aperto. D’altronde, c’è poco da proteggere: le sue poche cose sono contenute in un paio di valigie e qualche busta.
Forse però qualcuno del B&B è interessato ad evitare che quello scomodo inquilino (unico sopravvissuto, del resto, nella struttura fantasma) rientri – seppure per poco: manca meno di un mese alla fine della detenzione – nel suo alloggio. Così, di punto in bianco, al ritorno dal pranzo, Gigi trova tutto sbarrato: il cancello, il portone blindato… e rimane così, sulla sedia del bar sotto casa, non sapendo più davvero che pesci pigliare.
Mi chiede aiuto al telefono – l’aveva fatto molte volte in quei giorni, anche in maniera poco urbana– ed io vado lì per l’ennesima volta, a constatare la tragica realtà. Gigi deve entrare necessariamente in un posto nel quale gli è materialmente impossibile accedere.
I numeri di emergenza hanno evidentemente altre necessità. D’altra parte, chiedere l’intervento dei vigili del fuoco per entrare a forza in una spelonca non mi sembra la più saggia delle decisioni. Così – dopo attese estenuanti – faccio quello che mai in vita mia mi sarei immaginato di fare: d’accordo con Gigi, che non ne poteva proprio più di questa situazione grottesca che si trascinava da vari giorni, chiamo un taxi che ci porta entrambi al Commissariato Prati, per “costituirsi”.
La Polizia è comprensibilmente e ragionevolmente imbarazzata. Gigi non è proprio il pericolo pubblico numero uno, cerca in tutti i modi di evitare quell’epilogo. Va di nuovo presso il B&B, trova tutto sbarrato e fa sosta di nuovo al pronto soccorso (a Gigi era stato nel frattempo impossibile prendere le terapie necessarie, imprigionate coi suoi poveri beni all’interno dell’alloggio maledetto); anche in questa occasione, sarà un soccorso “pronto” nel senso di rapido, perché la mattina dopo si apre già la via delle dimissioni.
Nel pomeriggio, esperiti inutilmente i tentativi di trovare alla come viene un luogo di accoglienza, i poliziotti (sembrerebbe in ciò autorizzati a voce dal Tribunale di sorveglianza, che pure non si era ancora nemmeno pronunciato sull’istanza di cambio domicilio della fine di giugno, quando il posto Gigi se l’era già trovato per conto suo) si debbono mestamente rassegnare a tradurre in carcere il mio amico, che malinconicamente – ma anche con un po’ di sollievo per avere infine avuto una certezza sul suo futuro immediato, seppure amara – mi chiama per l’ultima volta, salutandomi e pregandomi di contattare il suo avvocato.
Aperte le porte del carcere di Regina Coeli, si sono chiuse – almeno per me, cittadino non qualificato – le comunicazioni con Gigi. Ma non ho interrotto il tentativo di farlo uscire presto di lì, visto che l’incompatibilità delle sue condizioni con la vita carceraria non è venuta meno, essendo venuto a mancare invece il luogo dove risiedere.
Non so se questo esperimento darà buon esito, le premesse non sono infatti delle migliori. Infatti una operatrice della giustizia (mi sia consentita la minuscola) per conto del Tribunale, che l’aveva incaricata solo venerdì scorso, mi ha già comunicato che Gigi – essendo ora detenuto in carcere – sarebbe ”uscito” dalla sua (brevissima) tutela per entrare in quella di non so bene chi. Mi sono permesso di insistere, argomentando che il carcere è stata solo una extrema ratio e dovrebbe durare giusto il tempo per trovare a quest’uomo una collocazione degna tra le tante esistenti, convenzionate con le amministrazioni pubbliche ma spesso vuote di “utenti” per non so quali ragioni.
Ma non mi illudo. So bene – per conoscenza diretta – quali mostruosità sia in grado di partorire una qualunque burocrazia priva di una guida intelligente; e qui, purtroppo, di guide sembrerebbero esservene poche…
Mi auguro solo di poter rivedere presto il mio amico Gigi, col quale ho fin qui condiviso non già la galera, ché questo è suo “privilegio”, ma una delle decisioni più “spiacevoli” della mia vita: quella di accompagnarlo a costituirsi.
Paolo Sassi

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