Il giovane favoloso. La vita vista da lontano

il giovane favoloso mario martone
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Sembra un film nel film il punto di vista del protagonista, lo sguardo disincantato e sofferente di Giacomo che vede la bellezza delle cose attorno a sé senza poterla assaporare pienamente, che osserva dalla finestra la figlia del cocchiere (Teresa Fattorini, la ragazza precocemente scomparsa cui sarebbe stata dedicata la canzone A Silvia) con la malinconia di chi scruta qualcosa che sa essergli per sempre preclusa, che sogna una vita intensa a contatto con i più grandi intellettuali del suo tempo ed ha difficoltà persino a salire le rampe di una scala.

Ma il cosiddetto pessimismo cosmico leopardiano – non facciamoci ingannare dalle apparenze! – non deriva dalla condizione fisica di Giacomo, non è frutto dei suoi innumerevoli disturbi fisici (di certo una grave scoliosi e forse persino il morbo di Pott; sicuramente un'affezione oculare e, pare, anche diabete, asma, celiachia); è una lucida e rassegnata analisi del reale, una disillusa e razionale visione della vita: il crollo delle illusioni giovanili, l'inevitabile presenza del dolore, l'ineluttabile destino di morte. “Anche tu presto alla crudel possanza, soccomberai del sotterraneo foco, che ritornando al loco già noto, stenderà l'avaro lembo su tue molli foreste. E piegherai sotto il fascio mortal non renitente il tuo capo innocente”: questi alcuni dei versi finali de , uno degli ultimi canti di Leopardi considerato suo testamento spirituale, che chiudono il film riprendendo la sua sconsolata riflessione sulla condizione umana (ispirata in questo caso, come noto, dalla vista di una ginestra sulle aride pendici del Vesuvio).

Nel film di Martone, questi graduali e inevitabili sviluppi della vicenda umana ed esistenziale di Leopardi sono scanditi da progressivi passaggi che, frutto di tocchi rapidi e non di pennellate fluide, vanno poco alla volta a delineare l'immagine di un Leopardi sofferente e pessimista, ma ancora capace di apprezzare la vita; intellettuale fecondo e raffinato, ma profondamente umano.
Straordinario che interiorizza, introietta come un farmaco salvifico il male di vivere di Giacomo e lo vive a tal punto che pare subirne in prima persona le deformazioni fisiche che, poco alla volta, compaiono sul corpo sformato del giovane poeta. La lenta ed inesorabile metamorfosi che fa dello studioso di Recanati una sorta di mostro deforme pare rappresentare icasticamente il malessere interiore che cresce dentro Giacomo, che ne divora le speranze più recondite, che lo costringe ad un pessimismo cupo e senza speranza. Ed il volto sofferente di Elio, la fatica di vivere, sempre più insopportabile, che traspare da ogni suo gesto, da ogni ruga provocata dal dolore nel suo volto corrucciato (o dal disperato furore che ne trascina gli impulsi più irrefrenabili: la corsa verso la carrozza di all'arrivo di questi a Recanati) è specchio fedele di questo processo interiore. Elio pare cambiare con i cambiamenti di Giacomo, l'attore pare essere un tutt'uno con il personaggio interpretato, soffre con lui, vive in lui, è la rappresentazione puntuale della sua condizione esistenziale, della solitudine morale ed intellettuale del poeta (la giuria fiorentina che deve assegnare un importante premio letterario preferisce al nostro un altro autore perché più alla moda), della sua lenta deriva verso l'abisso e, al tempo stesso, verso le vette più elevate della produzione poetica.
Nella grande tensione narrativa del film (che ritmicamente non conosce cali, sebbene la declamazione dei poemi imponga un elevato livello di attenzione da parte dello spettatore – soprattutto nel finale) un ruolo di primo piano è svolto dalla suggestione dei luoghi, dalla verosimiglianza delle ricostruzioni, dalla bellezza e potenza delle immagini (invero scandite da un commento musicale che è quanto di più dissimile dalla musica romantica ottocentesca, che forse avrebbe potuto costituire un più degno sottofondo per un film su Leopardi). Martone ha un dono per la realizzazione di film storici (tutti ricordiamo il bellissimo e le stupende scenografie e costumi del film, entrambi premiati col David di Donatello nel 2011). Ma stavolta il regista napoletano non si limita a “ricostruire”. Ci apre una vera e propria finestra sul passato, ci proietta nel tempo in cui si svolge la vicenda umana ed intellettuale dell'infelice poeta di Recanati.

Rivediamo così il colle e la siepe che occlude lo sguardo dell'orizzonte più remoto al giovane Giacomo, citati in quella che è forse la sua lirica più nota (L'infinito) e che esprime il desiderio di fuga di Leopardi dal ristretto e bigotto ambiente marchigiano. Viviamo con lui la sua sventurata passione per Fanny Targioni Tozzetti, che gli preferisce il bel Ranieri. Soffriamo la stessa claustrofobica e paralizzante sensazione di Giacomo quando entra nel bordello in cui lo conduce l'amico Antonio. Gli stretti e bui cunicoli della casa di appuntamenti, labirinti della mente ed entità fisiche al tempo stesso che delineano il tortuoso tragitto esistenziale di Giacomo, sono una metafora delle difficoltà di Leopardi ad affrontare un aspetto della vita che a lui pare essere precluso, dell'impossibilità di “essere” pienamente.

Ma la caratterizzazione degli ambienti è ovunque rivelatrice di stati d'animo e desideri nascosti. Così è per la biblioteca in cui il giovane Giacomo si forma, ove un tavolo da studio è accostato ad una finestra che “si apre sul mondo”. Un mondo che Giacomo desidera, ma intimamente sa di non poter possedere (dalla finestra della biblioteca Leopardi vede la stanza in cui lavora al telaio Teresa Fattorini): uno spaccato che rivela una condizione già accostabile al triste destino della citata ginestra di uno dei suoi ultimi canti. Così è per le serate da osteria per le strade di Napoli, che mostrano tutta la spinta vitale di Giacomo, tutta la sua voglia di normalità che ineluttabilmente si scontra con le precarie condizioni del suo fisico minato dal male.
Gianfranco Raffaeli

Scheda del film:

Titolo originale:
Genere: Drammatico
Origine/Anno: Italia/2014
Regia
Sceneggiatura: Mario Martone, Ippolita Di Majo
Interpreti: Elio Germano, Isabella Ragonese, , , , , ,
Montaggio: Jacopo Quadri
Fotografia: Renato Berta
Scenografia: Giancarlo Muselli
Costumi: Ursula Patzak
Musiche: Sascha Ring

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