
Anche la settima tappa agli altri.
O è un Giro del Centenario poco sentito e celebrato solo per un convenevole distratto, oppure gli atleti/ciclisti italiani sono solo delicati rifinitori, che stentano ad imporsi sulla forza bruta. Rifinire significa qualcosa, soltanto se conclude in meglio quello che di sostanzioso già possiede.
I nostri atleti sono cervelli sopraffini, con strategie complicate, come la nostra politica ingarbugliata. Dibattiti, confronti, processi alle tappe. Tanta filosofia logorroica, per illuderci, accontentandoci con poco. Forza e potenza poca. Agilità per la salita l'unica speranza? Chissà?
Intanto la festa del Centenario continua per gli altri.
Forse la cosa è più plausibile se ammettiamo che il ciclismo italiano sta attraversando una fase in ribasso, come da tanto tempo, ormai, è successo e succede al ciclismo francese, che, pur avendo il Tour ciclistico più celebrato, latita con personaggi medi.
E così diventano giganti gli altri, i Belgi, i Tedeschi, anche gli Inglesi, gli Sloveni, i Polacchi, etc. Tutti ciclisti che puntano sulla forza mostruosa. Sono cicli storici, che dobbiamo accettare. O forse non è un caso. Qualcosa di più sostanzioso sta succedendo davvero nel mondo del ciclismo e per sempre. Il ciclismo sta cambiando.
In tema di celebrazione centenaria, avremmo potuto e dovuto forzare la situazione, non solo riorganizzando le nostre scuole di ciclismo, che sono da tempo le migliori e più qualificate al mondo (molti ciclisti stranieri si formano da noi, in Toscana), che però, per ora, ci danno solo atleti damerini, ma anche valorizzando ancora di più il nostro modo di inserire il ciclismo nel nostro territorio profondo, nel Paesaggio vivo e bello dell'Italia dai mille volti.
Il nostro Giro sembra, invece, ancora oggi, proprio nella celebrazione centenaria, un transito quasi casuale. Come sempre.
Qualcuno dovrà spiegare perché il Giro d'Italia, nel più bel Paese del mondo, non riesca ad emergere rispetto al fratello maggiore, il Tour de France, rimanendo in tono minore. Una questione solo atletica? Non credo, perché i migliori percorsi tecnici li abbiamo noi. È un mistero, che solo una tradizione storica, difficilmente scardinabile, può spiegare. È la dimostrazione, semmai, che le tradizioni sono le manifestazioni più forti dell'animo umano. Da sempre.
Il modo per risalire la graduatoria potrebbe e dovrebbe essere quello di far avanzare ancora di più l'elemento scenico paesaggistico di contesto, con un contorno di Storia e di Arte inimitabili.
Mi sembra che l'anno scorso la giornalista Alessandra De Stefano, bravissima proprio nel saper trasportare lo sport l'ordinaria cronaca in un'atmosfera più romantica e culturale, teneva un rubrica speciale di Cronache gialle, parlando di Storia ed Arte francese.
Il Processo alla tappa – spesso una solfa di interviste e commenti, caratterizza, invece, lo sciame tipico (italiano) della filosofia dello sport, come tanti altri Programmi televisivi parolai, subito dopo un avvenimento sportivo di eccellenza. (l'esempio sono i dibattiti calcistici post partita).
Il Processo alla tappa poteva essere lasciato ad altri ed impegnare, invece, Alessandra De Stefano in più interessanti Storie di Paesaggi in rosa.
Il Centenario poteva essere l'occasione giusta per portare in primo piano lo scenario italiano.
Invece sembra che l'immagine della bella Italia sia ancora un sfondo di sfuggita, veloce, come veloce è il transito dei ciclisti.
È stata presentata una cartolina dall'alto di Ceglie Messapica. Splendida! Ma chi conosce questi tesori italiani dispersi? Piuttosto che una immagine fugace, il Giro poteva diventare l'occasione per svelare ancora di più Ceglie Messapica.
Ancora. La tappa di ieri è stata ancora ad appannaggio di uno straniero, Caleb Ewan. È arrivata ad Alberobello, uno degli scenari più belli del mondo. Alberobello lo abbiamo visto di striscio e di corsa. Il Processo alla tappa si è limitato ad aprire solo uno scorcio sui Trulli.
L'arrivo, poi, come uno dei tanti, era pieno dell'ambarandan pubblicitario solito, che nasconde da sempre le caratteristiche del luogo dove si arriva.
Un apparato organizzativo di traguardi specializzati, che sembrano volutamente coprire il resto, per mettere in primo piano unicamente l'evento ciclistico, e, ovviamente, gli Sponsors.
Mi sarebbe piaciuto che oggi l'arrivo ad Alberobello, entrasse, invece, decisamente e senza veli tra i Trulli. Così come potrebbe avvenire per tutti gli arrivi speciali dei prossimi Giri d'Italia. Nel bel mezzo, senza quinte improprie, degli scenari vivi della nostra cultura di pietra. Soprattutto il traguardo finale.
Tutti hanno negli occhi la premiazione finale del Tour de France al Parco dei Principi, con un splendido tramonto alle spalle, che trasporta nel mondo delle favole l'Arco di Trionfo sullo sfondo.
Eustacchio Franco Antonucci
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