
Per definire uno stato di pace secondo l’indice elaborato annualmente dall’Institute for Economics and Peace (IEP) un paese non deve essere coinvolto in una «qualsiasi controversia tra governi e territori, con l’utilizzo di armi, che abbia provocato almeno 25 morti» [1].
Il Rapporto 2014 dell’Istituto che analizza 162 paesi coprendo il 99,6% della popolazione mondiale e nel creare l’indice per la graduatoria delle nazioni prende in considerazione 22 indicatori e in generale analizzano il livello di protezione e sicurezza nella società l’estensione del conflitto nazionale o internazionale e il grado di militarizzazione.
Ebbene senza troppi giri di parole negli ultimi sette anni solo 4 indicatori sono migliorati, mentre gli altri 18 hanno subito un deterioramento e quindi la violenza e la guerra continuano ad estendersi. Nel 2013 c’è stato un ulteriore peggioramento secondo il Rapporto.
Lo scorso anno le maggiori crisi sono risultate quelle in Ucraina, in Siria dove il conflitto non ha accennato ad una diminuzione, in Sud Sudan dove imperversa la guerra civile e l’accrescere dell’attività terroristica in molti paesi tra cui l’Afghanistan, l’Iraq, le Filippine e la Libia.
Se non ci sarà un’inversione di tendenza repentina, e non c’è nulla che me lo faccia pensare, il 2014 sarà l’ottavo anno di decadimento. In Iraq la condizione interna è diventata esplosiva per l’avanzata delle forze jihadisti dell’Isis affrontati militarmente dai peshmerga Kurdi e il pesante rientro dell’aviazione americana a supporto di questi ultimi. La crisi in Ucraina non accenna a trovare uno sbocco pacifico e la guerra in Palestina con l’invasione israeliana di Gaza e la lunga scia di devastazione e morte sono solo alcuni degli esempi di allargamento dei conflitti.
Il fatto che il peggioramento sia iniziato nel 2007 l’anno della deflagrazione, con una bolla speculativa, della crisi economica mondiale non è affatto un caso perché la povertà e le disuguaglianze che si ampliano non fanno altro che soffiare sul fuoco attraverso conflitti interni ed esterni. Non dimentichiamoci che quando si parla di violenza si fa riferimento all’uso della forza anche per schiacciare proteste e rivolte non solo per dissensi, vedi il caso dell’Egitto, ma anche per rivendicazioni socio-economiche come accaduto durante i mondiali in Brasile.
Secondo il Rapporto più di 500 milioni di persone che vivono in 16nazioni hanno una maggiore probabilità di vivere in condizioni ulteriormente deteriorate nei prossimi due anni. Di queste 500 milioni di persone, circa 200 milioni vivono con meno di 2 dollari al giorno il che li rende estremamente vulnerabili se le condizioni di pace dovessero effettivamente peggiorare.
La violenza ha un impatto economico pesante e il Rapporto lo valorizza nell’11,3% dell’intero Pil mondiale con un peso per persona di 1.350 dollari. Rispetto al 2012 l’incremento è stato del 3,8%.
Prima di dare qualche dettaglio sui vari paesi va sottolineata la coraggiosa iniziativa che speriamo possa avere seguito: il Costa Rica ha abolito le forze armate.
Sono 11 i paesi virtuosi e cioè che non partecipano o non hanno episodi significativi di violenza. Dal più pacifico questa è la lista: Islanda, Danimarca, Austria, Nuova Zelanda, Svizzera, Finlandia, Canada, Giappone, Belgio, Norvegia e Repubblica Ceca. L’Europa è la regione con le migliori condizioni al mondo e nell’area dei Balcani che si sono visti dei visibili miglioramenti rispetto al 2012. «Questo miglioramento è dovuto fondamentalmente ad una diminuzione delle spese militari come percentuale rispetto al Pil e ad una riduzione delle armi pesanti e di quelle nucleari». La riduzione degli arsenali Nato retaggio della guerra fredda ha fatto migliorare le posizioni di paesi come Svezia, Spagna e Germania.
Il paese meglio posizionato in Sudamerica è l’Uruguay che conserva la leadership del continente, mentre passi in avanti sono stati fatti dall’Argentina, la Bolivia e il Paraguay.
All’ultimo posto di questa triste graduatoria troviamo la Siria che ha scavalcato l’Afghanistan e il paese del Medioriente insieme a Sud Sudan, Egitto, Repubblica Centrafricana, Ucraina hanno subito il peggior deterioramento rispetto al 2012.
Alla fine del 2013 nel Sud Sudan è deflagrata totalmente la guerra civile su base etnica con 5.000 morti e 1 milione di sfollati. L’Egitto è diventata una polveriera dopo la deposizione del presidente e le manifestazioni di massa represse nel sangue che per mesi hanno reso problematica la vita civile nel paese. Dell’Ucraina continuano ad essere piene le pagine dei giornali e le reti televisive.
E l’Italia? La troviamo al poco onorevole 34° posto e dove pensate sarà dopo la decisione di questi giorni di riprendere a diffondere armi in Iraq?
Pasquale Esposito
È quanto afferma Camilla Schippa direttrice dello IEP in Adam Withnall Author, “World peace? These are the only 11 countries in the world that are actually free from conflict”, www.indipendent.co.uk, 14 agosto 2014
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