
Prima di addentrarci nel resoconto di A Sangue Freddo, secondo lavoro de Il Teatro degli Orrori, vorrei sottolineare l'impegno del gruppo per i testi corposi, densi di significato, ricchi di citazioni e la scelta netta dell'italiano.
Il cantante Pierpaolo Capovilla in un'intervista dice
Il piatto conformismo non è di casa nemmeno nell'impianto musicale di rock combattente di questo gruppo che anche oggi riceve il plauso degli addetti ai lavori, come già accaduto nel 2007 quando esordirono con Dell'impero delle tenebre.
Rispetto al precedente, questa produzione è stata più attenta ed ha usufruito di tutte le apparecchiature a disposizione nei trentatré giorni nelle Officine Meccaniche di Mauro Pagani. Il suono è più caldo, la batteria e molte chitarre – così come le incisioni – sono in analogico [2].
Ai quattro componenti (Giulio Favero basso e produzione, Gionata Mirai chitarra, Francesco Valente batteria oltre a Capovilla) [3] hanno dato una mano molti ospiti in questo cd: Jacopo Battaglia (ZU), Angelo Maria Santisi, Nicola Manzan ( progetto BOLOGNA VIOLENTA) Francesca Gaiotto (Fuck Vegas), Paola Segnana (autrice della musica di Io ti Aspetto), Richard e Robert Tiso, Elena Grazi, Bloody Beetroots.
In questo album i riferimenti agli accadimenti nel mondo e ai temi politici anche nazionali sono più diretti rispetto rispetto all'esordio pur non mancando canzoni d'amore. Sempre Capovilla spiega che [4]- A Sangue Freddo è il brano dedicato a Ken Saro-Wiwa attivista politico che si è battuto per difendere l'ambiente nel delta del Niger e finito impiccato nel 1995.
Come anticipato, la lirica è dotta, le citazioni dirette e indirette molteplici e gli intrecci con le altre scritture sono parte integrante dello stile del gruppo. Si va dalla poesia All'amato me stesso di Majakovskij musicata, alle citazioni de Il ragazzo della Via Gluck in Alt! a quelle della recitazione di Carmelo Bene ad alcuni cantautori italiani come De Gregori.
In tema di citazioni Polvani, nell'ottima recensione riferendosi a canzoni come Due o La vita è breve, scrive che è come aver <<invitato Enzo Jannacci a legare il suo nome a un rock potente e acerrimo>>. Si possono trovare anche tracce di Ciampi e Gaber sempre con una diffusa originalità che insieme all'apporto decisivo di Capovilla, alla <<varietà di soluzioni sonore>>, al cocktail riuscito di <<linguaggi popolari e di nicchia>> danno un futuro radioso al gruppo [5].
Grande conferma e futuro dalla loro parte è il giudizio di Provinciali. Se il veicolo per la loro musica resta un <<carro armato rock: pesante, cingolato e rumoroso>> (Mai dire mai, Alt!, Padre Nostro) qui ascoltiamo brani come Io ti aspetto, Die Zeit e Direzioni diverse dove eccellenti orchestrazioni, elettronica e <<profondità vocali>> addolciscono la potenza delle loro trame. Le liriche restano d'impatto, corrosive e vere come reale può essere l'amore quotidiano che canta Capovilla [6].
Fabris si lascia oramai <<incantare>> da questa <<magnifica>> band. Con questo album la loro possente musica lascia il segno come i giudizi cantati da Capovilla tra <<poesia e fragor>> [7].
È un disco che riesce a parlare a molti, che riesce a trasmettere messaggi sonori e testuali come pochi. Duke è entusiasta del lavoro svolto che, rispetto al precedente, vede un Capovilla e le sue liriche in primo piano. La musica sembra meno impattante anche se è <<più varia>> e forse più semplice, orecchiabile <<grazie ai flutti noise che colpiscono meno duro>> [8].
Senza togliere nulla al portento e alla forza che la loro musica esprime anche Pifferi scrive di suoni <<levigati e ricercati, in apparenza più accessibili>>. Si trovano aggressioni sonore come Due, Mai Dire Mai o il Terzo Mondo con una <<batteria monstre e interplay da urlo>> o Die Zeit una <<devastante seduta psicanalitica a cuore aperto>>. Se aggiungiamo la voce di Capovilla che dà consistenza forza alle liriche e ai suoi riferimenti teatrali e letterali non manca nulla per il <<classic album italiano del terzo millennio>> [9].
Un posto nella storia della musica italiana questi artisti se lo meritano anche secondo Giorello. Un disco con tre protagonisti – Lui, Lei e Dio – che si <<rincorrono brano dopo brano>> e che parla di Amore e Solitudine. Il tutto con una poetica di alto lignaggio, senza inutili eclettismi o frasi ad effetto gettate a far colpo. <<Sono istantanee con l'autoscatto, non inquadrabili in una canzonetta di protesta o o in uno sfogo sentimentale. E non puzzano mai di intellettualismo. “Direzioni Diverse” – la migliore in assoluto, remixata da Bob Rifo dei Bloody Beetroots – è di una semplicità disarmante. “Alt” sono calci in faccia senza diritto di replica>> [10].
Non vi curate di noi e ascoltate!
Ciro Ardiglione
genere: rock
Il Teatro degli Orrori
A Sangue Freddo
etichetta: La Tempesta
data di pubblicazione: 30 ottobre 2009
brani: 12
durata: 53:28
cd: singolo
[1] intervista di Federico Guglielmi in Il Mucchio Selvaggio, novembre 2009, pag. 41
[2] ibidem, pag. 43
[3] da tempo pensano ad un quinto compagno sul palco da dichiarato Giulio Favero, cfr. Andre Prevignano, “Il Teatro degli Orrori secondo atto“, Rumore novembre 2009, pag. 19
[4] ibidem, pag. 20
[5] Fabio Polvani, BLOW UP. novembre 2009, pag. 70
[6] Andrea Provinciali, Il Mucchio Selvaggio, novembre 2009, pag. 75
[7] Giuseppe Fabris, Rolling Stone, novembre 2009, pag. 150
[8] Raul Duke, Rumore novembre 2009, pag. 19
[9] Stefano Pifferi, www.sentireascoltare.com, 27 ottobre 2009
[10] Sandro Giorello. www.rockit.it, 26 ottobre 2009
-----------------------------
-----------------------------
Se sei giunto fin qui vuol dire che l'articolo potrebbe esserti piaciuto.
Usiamo i social in maniera costruttiva.
Condividi l'articolo.
Condividi la cultura.
Grazie