In Argentina inflazione, dollaro e Tango bond le sfide della Kirchner

Argentina Buenos Aires
history 4 minuti di lettura

Sui media e all’interno delle istituzioni pubbliche e private si discute da molti mesi su un declino del paese sudamericano con un concreto rischio di fallimento. E i cosiddetti mercati da tempo speculano.
Se è vero che la presidente Cristina Kirchner non è immune, insieme al governo, da responsabilità perché sembrano ripetersi alcuni errori già commessi durante la crisi del 2001 che determinò il fallimento dell’Argentina è altrettanto vero che le condizioni reali del paese non sono così drammatiche come da qualche parte si vuol far credere.


Argentina. Buenos Aires, Casa Rosada. Foto Claudio Testa

 

Il 2001 fu l’inizio di un incubo vero e proprio. Le politiche neoliberiste sostenute da un sistema monetario (Currency Board) che legava artificialmente il pesos al dollaro americano con un rapporto di cambio alla pari sono state le cause principali.  La valuta troppo forte finiva con l’affossare le opportunità date dall’export che avrebbe potuto alleggerire la crisi economica di allora. Per fronteggiare tutte le spese il governo attraverso la Banca Centrale argentina prese a stampare moneta generando inflazione da una parte e dall’altra lo svuotamento delle riserve di dollari per comprare pesos e mantenere la parità.
Gli argentini – chi ne aveva la possibilità – si liberavano dei pesos in favore di altre valute. Nel circolo vizioso entrano i rendimenti dei titoli pubblici e naturalmente la speculazione calò la sua mano pesante fino all’abbandono del cambio fisso e il pesos che divenne carta straccia. La realtà fu una popolazione che per il 60% viveva sotto la soglia della povertà e il paese che tecnicamente fallì.
I crediti dei Bond non vennero pagati se non dopo una ristrutturazione del debito (132 miliardi di dollari) che portò ad una restituzione del 20% circa.
Dopo aver svalutato il pesos l’Argentina iniziò a riprendersi tanto che nel 2006 la sua economia era molto più forte dell’anno del default con la povertà e la disoccupazione più che dimezzate.


Argentina. Islas Malvinas, Salta. Foto Claudio Testa

Da mesi gli argentini, nonostante tentativi per calmierarli, soffrono di prezzi alti per un inflazione elevata che non risparmia anche beni di prima necessità come il pane che tra l’altro sconta un pessimo raccolto di grano e la tendenza degli agricoltori a coltivare soia.
Per fronteggiare gli acquisti di energia e la fuga di capitali all’estero il governo ha posto delle forti restrizioni per l’acquisto di dollari e questo da una parte mette in difficoltà le industrie locali e dall’altra sta creando un mercato parallelo dove il biglietto verde è scambiato a tassi molto più alti di quelli ufficiali.
In queste settimane le obbligazioni del debito pubblico con scadenza 2017, anche per l’inflazione,  scendono di valore e nel frattempo deve essere fronteggiata, in appello, la sentenza di primo grado messa dal giudice distrettuale di New York Thomas Griesa che obbligherebbe a pagare circa 1,4 miliardi di dollari di debiti. Nella sostanza  la sentenza prevede che l’Argentina non possa ripagare i suoi debiti ristrutturati se non rende disponibili nuovi fondi per i creditori che si erano opposti al  default e tra i  quali ci sono fondi come Elliott Management Corp.’s, NML Capital Ltd. and Aurelius Capital Management LP.
Il governo argentino non intende accettare una simile  sentenza e tramite i propri legali hanno proposto una ristrutturazione simile al passato.


Argentina. Saline. Foto Claudio Testa

Al di là di questi elementi critici e degli errori che può aver commesso il governo della Kirchner nella gestione della politica economica e monetaria in particolare va detto, a dispetto delle reprimende internazionali comprese quelle del FMI e delle valutazioni circa un default, che il rapporto debito/Pil è sotto il 30% (in Italia è sopra il 120%) e che il Pil stesso continua a crescere sia pur a ritmi più bassi degli anni passati. Inoltre da quando ha ristrutturato il debito l’Argentina ha sempre onorato le scadenze.
È stato favorito l’accordo tra sindacati e imprenditori che aumenta del 25% il salario minimo nel paese che è tra i migliori di tutto il continente. Nella provincia di Cordoba è stato da poco inaugurato uno stabilimento Fiat per la produzione di macchine agricole, trattori, mietitrebbiatrici e motori agricoli con la creazione di oltre duemila posti di lavoro.
La presidente gode di buone relazioni soprattutto con il vicino e potente Brasile dove la sua presidente Dilma Rousseff che non la lascerà sola. E poi dovremmo porci una domanda: ma la nazionalizzazione dell’azienda Ypf del settore energetico non avrà infastidito mercati e istituzioni liberali?

Pasquale Esposito

canale telegram Segui il canale TELEGRAM

-----------------------------

Newsletter Iscriviti alla newsletter

-----------------------------

Se sei giunto fin qui vuol dire che l'articolo potrebbe esserti piaciuto.
Usiamo i social in maniera costruttiva.
Condividi l'articolo.
Condividi la cultura.
Grazie

In this article