
In India i contadini hanno vinto. Il premier e leader del Bharatiya Janata Party (BJP), Narendra Modi ha dovuto fare marcia indietro sull'approvazione delle leggi agricole contestate da un anno dai contadini. L'annuncio è stato dato in tv dal premier in un discorso alla nazione nel giorno della festa nazionale che celebra il compleanno del fondatore del Sikhismo, Guru Nanak, di gran lunga la principale religione dello stato agricolo del Punjab. Nel discorso Modi, scusandosi ma anche deplorando il mondo contadino per non aver compreso i vantaggi della riforma, ha promesso che le leggi verranno abrogate “entro la fine della sessione invernale del parlamento“.
Ma il leader e portavoce della Bharatiya Kisan Union, Rakesh Tikait ha dichiarato che “l'agitazione non verrà sospesa immediatamente, aspetteremo il giorno in cui le leggi agricole verranno abrogate in Parlamento. Insieme a MSP [Minimum Support Price, meccanismo con il quale attualmente il governo indiano interviene per assicurare ai contadini un prezzo di vendita minimo e principale oggetto della contestazione, ndr], il governo dovrebbe discutere anche di altre questioni degli agricoltori” [1]. Infatti quella di assicurare un prezzo minimo dei prodotti agricoli è una richiesta che va allargandosi oltre al riso e al grano, anche ad altri raccolti.
Secondo l'esecutivo indiano le leggi avrebbero consentito di ammodernare il settore agricolo, di renderlo più efficiente e come spiega Matteo Miavaldi “avrebbero facilitato l'ingresso nel settore dei grandi conglomerati della distribuzione privata, dando l'opportunità ai contadini di vendere direttamente a loro i propri prodotti senza servirsi di intermediari. Contestualmente, la liberalizzazione avrebbe fatto saltare anche molte delle tutele minime conquistate dai contadini all'inizio degli anni Sessanta: in particolare, il sistema del «prezzo minimo di vendita», con cui lo Stato garantiva una soglia minima di ricavo dalla vendita di frutta e verdura ai «mandi», i mercati generali dello Stato. Se per l'esecutivo le riforme avrebbero proiettato l'intero settore nel futuro, massimizzando la redistribuzione della ricchezza tra i contadini, per le organizzazioni sindacali dei braccianti si rischiava di mandare al massacro contro i grandi gruppi della distribuzione privata la stragrande maggioranza dei lavoratori del settore. L'86 per cento dei contadini indiani, infatti, possiede appezzamenti di terra inferiori a due ettari: troppo poco per contrattare direttamente coi compratori privati il prezzo di vendita” [2].
La protesta dei contadini e delle loro sigle sindacali inizia subito ma la svolta avverrà a novembre quando gli agricoltori, soprattutto degli stati del Punjab e dell'Haryana, iniziano a stabilirsi alla periferia di Delhi da cui non si muoveranno nonostante centinaia di morti, una repressione costante, continui tentativi del governo di screditare, magari accusandoli di essere espressione di volontà destabilizzatrici di mani estere, e promesse di cambiamenti delle leggi che le annacquavano. Va ricordato che un risultato era già arrivato il 2 gennaio 2021 quando l'attuazione delle leggi veniva sospesa dalla Corte Suprema.
Questa sconfitta di Modi ha più di una ragione. Sicuramente “molti analisti che hanno commentato la notizia di questa mattina [19 novembre 2021, ndr] hanno concordato nel rimarcare che l'insolito ritiro del governo indiano potrebbe essere segnato dalla vicinanza di importanti elezioni regionali in stati come il nord dell'Uttar Pradesh e il Punjab, con una larga parte contadina contraria alle riforme” [3]. Ci saranno elezioni anche nell'Uttarakhand, Himachal Pradesh e Goa e poi ci sono i deludenti risultati elettorali di quest'anno incluse quelle suppletive dell'Assemblea in Haryana è stata deludente. Ma probabilmente le ragioni sono legate anche alla protesta in sé e come ha detto Narendar Pani, professore presso l'Istituto Nazionale di Studi Avanzati di Bengaluru, “l'abrogazione delle leggi agricole dimostra che non importa quanto sia forte un governo, le proteste coerenti saranno sempre difficili [da] schiacciare. […] “I processi di riforma del governo Modi non danno l'impressione di una prospettiva coerente; sembra un insieme assortito di politiche messe insieme a caso” [4].
Manraj Grewal Sharma va oltre e facendo una disamina di quanto accaduto spiega come in effetti senza una resistenza lunga, organizzata e ben visibile l'obiettivo non sarebbe stato raggiunto. Infatti le organizzazioni sindacali sono state unite sempre e hanno impostato la protesta con un orizzonte strategico a cominciare dalla scelta di portare le manifestazioni nella capitale stabilendo di fatto una cittadella alla periferia di Dehli. In più la protesta ha potuto contare, per sopravvivere, su un costante supporto finanziario, in denaro e in natura, proveniente dalle campagne, dalle ONG e da molti artisti indiani. Manraj Grewal Sharma proseguendo scrive che “la protesta, dice Ajnala [ Rattan Singh Ajnala, segretario generale del Jamhoori Kisan Sabha, ndr]
è durata così a lungo perché ha portato varie preoccupazioni sotto un'unica bandiera, attirando così più parti interessate. I sindacati hanno formato una coalizione non solo di agricoltori e braccianti agricoli, ma di quasi tutti coloro che hanno a che fare con l'agricoltura, dai camionisti e agli operai delle fornaci ai commissionari” [5].
Pasquale Esposito
[1] Reactions to India's decision to repeal farm laws, 19 novembre 2021
[2] Matteo Miavaldi, India, vincono i contadini: ritirata la legge contestata, 20 novembre 2021
[3] India revocará la polémica reforma agraria que provocó protestas multitudinarias, 19 Novembre 2021
[4] Sayan Chakraborty, Il governo indiano abolirà le controverse leggi agricole, 19 novembre 2021
[5] Manraj Grewal Sharma, 5 motivi: come gli agricoltori sono riusciti a sostenere la protesta contro la legge agricola per un anno, 19 novembre 2021
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