
Probabilmente, quando un fotografo impugna la sua macchinetta fotografica e realizza scatti ritraendo volti e paesaggi, non ha come priorità quella di soddisfare chissà quale logica artistica e di procedere secondo schemi prefissati. Non segue, insomma, il criterio della razionalità, bensì quello assai più personale dell'istinto, della spinta creativa, dell'ispirazione dettata da una persona, un colore o un dettaglio inconsueto capace di cogliere la sua attenzione. Tutto ciò rende il lavoro di ogni fotografo estremamente soggettivo, in quanto confinato entro i labili confini della propria originalità espressiva e dunque difficilmente ricopiabile da un'altra mano, un altro obiettivo, un altro cavalletto. Eppure, delle volte, il destino riserva brutti scherzi, riuscendo a superare persino le distanze artistiche, fisiche e culturali, giocando coi suoi schemi imprevedibili e prefigurando una realtà che non si riteneva plausibile o, più semplicemente, realizzabile.

È quanto accaduto ad Achille Sberna e Fabrizio Teodori, amici dai tempi dell'Università, fotografi per passione e autori di un inconsapevole progetto fotografico per vocazione. Quando, nel 2009, decisero di partire ognuno per il proprio viaggio, credevano di allontanarsi il più possibile, ma non avevano ancora fatto i conti con una realtà parallela, che aveva superato oceano e fusi orari, per sancire attraverso le loro foto uno sguardo comune, a volte analogo, altre addirittura sovrapposto. I chilometri di distanza non erano bastati per eliminare una vicinanza che, paradossalmente, avrebbe finito per rivelarsi più intensa che mai.



L'uno a spasso tra i boulevard degli Stati Uniti, l'altro immerso nel fascino orientale dell'India, avevano dato vita a foto ovviamente diverse, eppure straordinariamente accumunate dalla medesima scelta di luoghi, soggetti, dettagli e angolature. Il tutto senza aver pianificato nulla, senza sapere niente l'uno dell'altro durante il loro soggiorno all'estero. È stata una cena al rientro e la curiosità di ognuno di sbirciare nelle pellicole dell'altro a creare i presupposti per un progetto fotografico, spontaneo, e pertanto ancora più puro.



Per strada, in spiaggia, sui mezzi di trasporto pubblico, ovunque le analogie tra i loro scatti si sono rivelate sorprendenti, al punto che nessuno dei due sapeva e poteva spiegarle. Ciò che una progettualità artistica non aveva fatto, era stato colmato da un comune modo di osservare il mondo, di selezionare con la macchinetta soggetti e oggetti, di scegliere la stessa prospettiva raffigurativa. Da un lato due surfisti, dall'altro due pescatori; da un lato il Golden Gate Bridge di San Francisco, dall'altro il magnifico mausoleo del Taj Mahal ad Agra: sono questi due degli inconsapevoli parallelismi fotografici che è possibile rintracciare un po' dappertutto negli scatti dei due fotografi.

Il risultato finale è un lavoro certamente originale, scevro di tecnicismi artistici che ne limitino la componente naturale. Essere il frutto di imprevedibili coincidenze lo rende un progetto sempre più sorprendente, scatto dopo scatto. Ogni volta, ci si stupisce di come i loro obiettivi fotografici abbiano finito per scambiarsi a vicenda, plasmando una dimensione ulteriore, non riconducibile alle due tradizionali che compongono una foto stampata: quella della casualità. Una scena ritratta in India e una caratterizzata dai contorni statunitensi, inevitabilmente, presentano delle sostanziali differenze, le quali, però, ci appaiono tali solo nella forma, e non nella sostanza.

Essere agli antipodi, immersi in luoghi tra loro distanti fisicamente e culturalmente, non ha impedito ai due fotografi di avere una stessa visione del tempo e dello spazio, una medesima percezione visiva, un'identica capacità nel cogliere e riprodurre lo stesso dettaglio. E anche noi, nel vedere tali immagini, perdiamo i punti di riferimento, in un divertente gioco di analogie e rimandi. Se non fosse per alcuni elementi necessariamente riconducibili a certe terre e costumi (colore della pelle delle persone, abiti indossati) sarebbe più difficile definire i rispettivi confini e più ardito affermare con certezza l'origine di ogni scatto. L'aspetto di maggiore impatto visivo del progetto sta nel fatto che ogni luogo, da un lato, perde la sua unicità, ma dall'altro rivendica con determinazione i suoi tratti caratteristici e riconoscibili.

Il lavoro è stato intitolato “Indiani d'America: inconsapevoli parallelismi fotografici tra India e U.S.A.”, espressione che ne sottolinea in maniera emblematica genesi e contenuto.
In linea con la sua origine del tutto anomala e spontanea, in quanto frutto di coincidenze, il progetto, che vanta anche un'esposizione internazionale, a Berlino, è stato presentato in ambienti e contesti piuttosto informali, accessibili a chiunque, come bar, locali per concerto, festival artistici, suscitando ogni volta curiosità e meraviglia.

Lo stupore con cui noi guardiamo le foto ricercando una logica remota che invece non gli appartiene, è lo stesso che hanno provato Achille e Fabrizio quando, per divertimento e puro interesse conoscitivo, hanno notato le similitudini dei loro scatti. Mai si sarebbero aspettati di rintracciare una continuità che, credevano, un oceano di mezzo e l'assenza di qualsiasi accordo avrebbe certamente reso impossibile e che invece si è dimostrata più consistente che mai.
Lorenzo Di Anselmo
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