Inferno digitale? La rete (e dintorni) secondo Guillame Pitron

Guillame Pitron

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Ho letto – dapprima con curiosità e poi con qualche apprensione – il libro di , Inferno . Perché , smartphone e social network stanno distruggendo il nostro : così recita il sottotitolo della versione italiana, che in francese sembra meno apocalittico pur offrendo il medesimo contenuto, altrettanto allarmante [1].

Questa lettura mi ha fatto tornare alla mente un racconto distopico di – affascinante ed inquietante allo stesso tempo, come egli sapeva ben costruire – pubblicato in un libro nel 1971 ma scritto un paio d'anni prima. Il racconto si intitola “A fin di bene” ed ha come protagonista la rete telefonica [2]. Animatasi improvvisamente ed inspiegabilmente di vita propria, la rete inizia a mettere in connessione tra loro – sua sponte – utenti e numeri, secondo logiche diverse ma non casuali. Sorpresa e preoccupazione per sviluppi tecnologici fuori controllo, con un finale tutto da meditare. D'altro canto, quelli sono gli anni in cui nasce Arpanet, la prima rete informatica, antesignana di internet. Una sincronia tematica che mostra quanto fosse veggente l'intelligenza di Levi, che ha sempre osservato con curiosità e sguardo critico le trasformazioni del suo e nostro tempo [3]. La connessione tra Levi – chimico, oltreché scrittore e testimone – e Pitron – brillante giornalista francese, classe 1980 – è inoltre dovuta anche ad un'altra ragione: Pitron infatti è già noto (anche ai lettori italiani) in quanto autore di un altro importante precedente lavoro, dedicato questa volta ai metalli rari [4]. E dalla produzione di Primo Levi mi sono tornate in mente le pagine bellissime de Il sistema periodico [5], anch'esse attraversate dagli elementi più o meno noti della tavola di Mendeleev.

Pitron, La guerra dei metalli rariMa torniamo a Pitron. Questo nuovo libro è per molti versi un sequel del precedente ed affronta in maniera diretta alcune delle premesse poste in quell'inchiesta. Molte delle sue considerazioni sul digitale nascono infatti proprio dalla questione legata al consumo dei metalli rari. Si tratta, come forse noto, di sostanze di cui spesso non conosciamo quasi il nome, dal suono fantastico e solo apparentemente familiare: gallio, selenio, tantalio, litio, germanio, antimonio, gadolinio, ittrio, indio, disprosio Ce ne sono pochissime quantità in natura; il loro uso è necessario nella produzione di molti degli apparecchi del mondo digitale, così il controllo dell'accesso a questi materiali sarà la frontiera sulla quale si combatterà la battaglia strategica del futuro. 

Il libro di Pitron è il risultato di un'inchiesta complicata – e non priva di aspetti sicuramente avventurosi – durata due anni, in giro per il mondo, alla ricerca del percorso

«delle nostre e-mail, dei like e delle foto delle vacanze. Per farlo abbiamo dovuto attraversare le steppe della Cina settentrionale alla ricerca del metallo che fa funzionare gli smartphone, percorrere le vaste pianure del circolo artico dove si raffreddano gli account di e indagare sul consumo di acqua di uno dei più grandi data center del pianeta, quello della National Security Agency (Nsa), costruito in uno degli stati più aridi degli Usa. Abbiamo voluto capire perché la minuscola Estonia, sulle rive del mar Baltico, sia diventata la nazione più digitalizzata della Terra, indagare sul mondo discreto della finanza algoritmica che ruota intorno agli idrocarburi e seguire il raccordo di un cavo transoceanico sulla costa atlantica della Francia» [6].

In un decalogo argomentativo racchiuso in altrettanti capitoli, ci sono raccontate le questioni del nostro presente digitale e del nostro – preoccupante – futuro planetario. Ma l'avvio dell'inchiesta, se vogliamo, parte proprio dal viaggio di quel like su Facebook, esperienza quotidiana per tanti di noi. La descrizione è forse un po' lunga, ma è difficile farla meglio di Pitron:

«Morivate dalla voglia di farlo e l'avete fatto: spinti dall'interesse per un'affascinante collega di lavoro avete messo like a una foto del suo profilo Facebook. Ora, per arrivare fino al telefono dell'amata, il like ha viaggiato attraverso i sette livelli di architettura della rete. Il settimo livello corrisponde al vostro terminale (un computer, per esempio). Poi la vostra notifica di interesse si è addentrata nei livelli intermedi della rete (livello di collegamento, livello di rete, livello di trasporto ecc., […] fino a raggiungere il primo livello fisico di lnternet, costituito dai cavi sottomarini. Tra i due, la notifica ha utilizzato l'antenna 4G di un operatore di telefonia o un Internet box, è scivolata lungo le parti comuni dell'edificio per raggiungere i tubi di rame che si trovano 80 centimetri sotto il livello dei marciapiedi. In seguito, ha percorso i cavi che costeggiano le grandi vie di comunicazione (autostrade, fiumi, alzate, ferrovie…) per raggiungere altri like nei locali tecnici dell'operatore. Poi ha dovuto attraversare i mari e transitare in un data center. Dalle profondità della rete, il like ha infine ripreso il percorso inverso fino al settimo livello: il telefono dell'oggetto dei vostri desideri. E anche se la collega si trova a dieci metri da voi, il vostro segnale ha in realtà viaggiato per miliardi dì chilometri. […] Per compiere delle azioni impalpabili come mandare una e-mail su Gmail, un messaggio su WhatsApp, una emoticon su Facebook, un video su TikTok o delle foto di gattini su Snapchat, abbiamo costruito un'infrastruttura che, secondo Greenpeace, presto “sarà probabilmente l'opera più vasta mai costruita dalla specie umana”, ed è costituita di materie prime e consuma energia» [7].

È proprio l'enorme divario tra gli indubbi (e forse solo apparenti) vantaggi della vita collettiva informatizzata e de-materializzata e la grande quantità di questioni che essa apre (e delle risorse che essa richiede) a determinare inquietudine. Perché – come argomenta diffusamente Pitron – l'accaparramento delle materie prime necessarie a sostenere il livello della digitalizzazione spinta produrrà probabilmente (e forse in parte ha già prodotto) le prossime guerre sul pianeta. Perché le GAFAM – il nuovo acronimo con cui si indicano le cinque più potenti aziende americane nel settore digitale: , , Facebook, e esercitano già da tempo poteri sovranazionali assolutamente esorbitanti rispetto ai poteri sovrani degli stati e talora anche delle superpotenze. Perché le infrastrutture necessarie sono già oggi tutt'altro che creature immateriali, bensì invadenti costruzioni assai energivore e di strategica dislocazione. Perché lo smaltimento dei rifiuti della tecnologia e l'obsolescenza programmata del mondo digitale è una questione materiale che potrebbe travolgere il pianeta. Perché…

Pitron, Inferno digitaleNon è possibile dare conto in maniera esaustiva – anche solo per elencazione – delle numerose questioni che l'analisi svolta in questo libro pone al lettore. Su tutto domina poi la percezione che in questa discussione siamo un po' tutti sottoposti al potere degli specialisti, ragionando speso di argomenti dei quali possediamo tutti esperienza pratica – sappiamo come si spedisce una e-mail – ma spesso nessuna vera comprensione tecnologica di quello che determina, infine e davvero, il funzionamento del sistema. In questo, la guida di Pitron fornisce sempre una ricostruzione intellegibile dei singoli temi, dando conto in maniera circostanziata di quali siano le sue fonti ed offrendo al lettore una pista per approfondire, se ne avesse voglia. Mi soffermerò perciò solo – a titolo esemplificativo – su una questione, tra le tante, che mi ha provocato più di qualche riflessione, vertendo essa sui meccanismi di controllo sociale globale.

La possiamo intitolare all'oggetto nel quale ben si incarna, i monopattini elettrici.

Monopattini a Roma
Monopattini a Roma

Noi romani (ma anche i parigini, che hanno addirittura svolto da poco un referendum sul punto [8]) li apprezziamo o più spesso detestiamo perché sono onnipresenti e fonte di pericolo (oltre che di svago e mobilità), nonché di inciampo continuo e di ostacolo, in ogni spazio urbano. Sono un prodotto che ha conquistato i centri storici di numerosissime città europee. Osserva tuttavia Pitron che

«la durabilità dei monopattini lascia a desiderare e la loro aspettativa di vita non supera i pochi mesi: una durata insufficiente per compensare i costi di fabbricazione e mantenimento. In breve, affittare monopattini non è, a oggi, un'attività vantaggiosa. Eppure, nonostante tutto, il servizio di noleggio attrae i fondi di investimento […] La prospettiva degli operatori va ben oltre il mero servizio di sharing dei monopattini… Raccogliendo il maggior numero di dati possibili, essi cercano soprattutto di acquisire una comprensione più generale delle nostre modalità di spostamento […] Ma c'è un altro risvolto della medaglia… Noleggiando un monopattino consentite anche che l'operatore condivida alcuni dei vostri dati» [9].

Così, sia il tracciamento degli spostamenti che le informazioni personali raccolti dal tracker vanno ben al di là della corsa in monopattino: accedono alla cronologia della navigazione in rete o alle app installate, alla geo-localizzazione o agli acquisti effettuati. E via di seguito. Nessuno sa – osserva conclusivamente Pitron – se gli operatori dei monopattini abbiano o meno effettivamente condiviso o venduto le informazioni così acquisite. Ad ogni modo, i dati sulla mobilità sono i più rivelatori della nostra vita quotidiana, sono le informazioni più sensibili [10].

«Un'analisi dei dati grezzi consente effettivamente senza molte difficoltà di dedurre l'indirizzo di casa (da cui partiamo tutte le mattine alla stessa ora), la religione (la chiesa dove ci rechiamo ogni domenica alle 11 di mattina), l'orientamento politico (una manifestazione cui abbiamo partecipato) e, perché no, anche le nostre patologie (la clinica specialistica in cui abbiamo fissato un appuntamento)» [11].

Si tratta di cose in parte note, come è per l'esperienza quotidiana dei messaggi pubblicitari basti sulle nostre precedenti ricerche web. Eppure, messe tutte assieme, appaiono assai poco confortanti. Anche se la storia umana è sempre piena di svolte e spesso prende sentieri diversi da quelli attesi od ipotizzati, non è facile capire come essa potrà sottrarsi a questi aspetti del controllo sociale, con buona pace del futuro delle democrazie.

Non so se sia fuorviante o troppo ardito affrontare la scienza con la letteratura o se quella di Pitron sia – per alcuni versi – anche un'opera letteraria; ma leggere questo libro me ne ha evocato, conclusivamente, un altro ancora, Il sonno del mattino di Robert Harris [12]. Lì l'umanità del futuro viene descritta come piombata in una sorta di medioevo tecnologico, vittima dell'implosione drammatica della civiltà precedente (la nostra), dissolta dalla sua stessa bramosia tecnologica. Harris è uno scrittore, si sa, e va dove lo porta la penna; Pitron dovrebbe muoversi, invece, su un altro versante.

Saremo comunque presto o tardi testimoni se (e come) le cose ipotizzate ne l'Inferno digitale si evolveranno e si materializzeranno; se esse ci condurranno verso qualcuno dei precipizi paventati o piuttosto verso un esercizio responsabile delle tecnologie, secondo l'evocata utopia gandhiana – «siate il cambiamento che volete vedere nel mondo» – con cui Pitron chiude il suo libro [13]. Magari, una consapevolezza diffusa del crinale sul quale ci troviamo riuscirà a condurre l'umanità verso un'altra direzione; almeno un po'.

Paolo Sassi

Guillame Pitron
Inferno digitale. Perché internet, smartphone e social network stanno distruggendo il nostro pianeta
(L'Enfer numérique. Voyage au bout d'un like, Paris, Les liens qui libèrent, 2021, 304pp.)
traduzione dal francese di Ondina Chirizzi
LUISS University Press 2022
pagine 237
€ 22,00

[1] L'Enfer numérique. Voyage au bout d'un like, ossia: Inferno digitale. Viaggio al seguito di un like (così si potrebbe tradurre). Lo stesso Pitron – interrogato da Giancarlo Cinini sulla paura che può scaturire dalla prospettazione e discussione dei temi affrontati nel libro – non ha negato la possibilità che essi generino timore, preferendo tuttavia parlare di «un sentimento di vertigine». Cfr. Giancarlo Cinini, Viaggio nell'inferno invisibile della rete, 24 gennaio 2023, in https://www.iltascabile.com/scienze/pitron-inferno-digitale/.
[2] Primo Levi, Vizio di forma, Torino, Einaudi, 1971.
[3] Sulla relazione dei racconti fantastici di Primo Levi e la contemporaneità è stato pubblicato un bel volume: Gianfranco Pacchioni, L'ultimo sapiens. Viaggio al termine della nostra specie, Bologna, il Mulino, 2019, 216pp. Pacchioni riflette sul racconto evocato nel secondo capitolo.
[4] G. Pitron, La guerra dei metalli rari: Il lato oscuro della transizione energetica e digitale, Roma, LUISS, 2019. Cfr. https://www.youtube.com/watch?v=emoy6FQr-X4.
[5] Primo Levi, Il sistema periodico, Torino, Einaudi, 1975, 238pp.
[6] Pitron, Inferno digitale, p. 15-6.
[7] Ivi, p. 32.
[8] Cfr. https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2023/04/03/parigi-referendum-monopattini-elettrici-stop-dall1-di-settembre_cbc93946-4fad-4b7b-9ef6-1e596d0566d5.html.
[9] Pitron, Inferno digitale, p. 73.
[10] Il riferimento è all'intervista di Pitron all'avvocato americano Mohammad Tasajar, diffusamente utilizzata. Nell'edizione italiana cartacea del libro – non so in quella francese – è presente una interessante appendice, una accurata sezione di note e la bibliografia; manca purtroppo l'indice dei nomi (degli autori ma anche dei luoghi geografici), che avrebbe aiutato a capire meglio la ricorrenza delle fonti utilizzate e la geopolitica del discorso.
[11] Pitron, Inferno digitale, p. 75.
[12] Robert Harris, Il sonno del mattino, Milano, Mondadori, 2019, 300pp.
[13] Cfr. Arun Gandhi, The Gift of Anger. Ten spiritual lessons for the modern world from my grandfather, Mahatma Gandhi, New York, 2017 (in italiano Il dono della rabbia e altre lezioni di mio nonno Mahatma Gandhi, traduzione di Elena Cantoni, Firenze, Giunti, 2017).

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