
Circa 40 anni fa, in un gruppo di ricerca di una società del gruppo IRI/Italstat, sviluppavamo algoritmi per fornire in tempo reale informazioni utili a prevenire disastri; i programmi che ne derivavano venivano chiamati sistemi di supporto alle decisioni (Support Decision Systems). Un esempio attuale è costituito dai “navigatori”, che valutano in tempo reale l'intensità di traffico, incidenti ecc. e quindi i tempi di percorrenza. Questi sistemi sono molto utili perché hanno il vantaggio di elaborare in tempo reale una gran quantità di dati satellitari, ma ciò non ha nulla a che vedere con l'intelligenza. I sistemi di supporto alle decisioni più evoluti, oggi si è iniziato a chiamarli “intelligenze artificiali”. Elon Mask ha ottenuto l'autorizzazione a sperimentare l'impianto di microchip nel cervello umano per connetterlo direttamente a tali macchine; è ipotizzabile che queste connessioni siano bidirezionali per trasmettere direttamente al cervello le istruzioni elaborate. Allarmi sui gravi rischi che lo sviluppo di queste tecniche potrebbero comportare vengono anche dagli esperti del settore.
Per capire se “intelligenza artificiale” sia una definizione corretta o nasconda dei rischi e dei retro-pensieri, è bene chiedersi cosa intendiamo per intelligenza, dal momento che questo termine, nei dizionari della lingua italiana, presenta zone d'ombra che lasciano aperti molti dubbi interpretativi. L'intelligenza, nel senso di inter-legere, è la capacità di un soggetto di fornire, fra diverse opzioni possibili, una interpretazione di una esperienza vissuta o trasmessa da un altro soggetto attraverso una narrazione scritta. È una capacità che si esprime attraverso due fondamentali momenti:
1-La selezione delle informazioni ritenute utili che percepiamo dall'esperimento.
2-La selezione dell'interpretazione che riteniamo più attinente all'esperimento.
Entrambi i momenti suppongono la capacità di scegliere fra una molteplicità di elementi, quindi di inter-legere. Per esempio, la lettura orale è la capacità di riconoscere sequenze di lettere dell'alfabeto e ripeterne l'espressione fonetica. Siamo abituati su autobus, metropolitane o in automobile a sentire una voce prodotta da un algoritmo che legge i nomi di strade e piazze che attraversiamo. A volte sorridiamo nel sentire “piazza dei màrtiri” diventare “piazza dei martìri” consapevoli che quell'algoritmo ripete i suoni senza conoscerne il significato.
Esiste un'altra interpretazione etimologica del termine intelligenza, la capacità di cogliere i significati in profondità: intus-legere. Pensiamo a due visitatori che osservano un'opera pittorica in un museo. Il primo non avendo una cultura in campo artistico, è colpito da un numero limitato di dati: gli accostamenti di colori, la bellezza dei volti e dei paesaggi ritratti, ecc. Il secondo ha conoscenze di storia dell'arte e nella sua percezione aggiunge ai dati del primo la conoscenza dell'autore, del periodo storico in cui è vissuto, del suo pensiero e della sua vita, del significato della disposizione degli elementi dell'opera, la posizione, la direzione degli sguardi, ecc. Il secondo elabora nella sua mente una valutazione molto più profonda. Se i due entrano in comunicazione, anche nel primo si svilupperà un processo iterativo che gli consentirà di identificare un maggior numero di dati e di farsi una idea molto più approfondita dell'opera, coglierne ulteriori informazioni, e così via, avviando un percorso di apprendimento. Tornando dopo un anno la sua elaborazione intellettiva sarà ancora diversa, perché porterà con sé le nuove esperienze vissute che hanno influenzato le modalità di interpretazione della sua mente.
L'intelligenza è qualcosa di molto complesso e soggettivo; cento osservatori avranno cento interpretazioni diverse di una stessa esperienza. Se ci si ferma ad un livello molto superficiale la convergenza sarà massima; se si scende in profondità emergono le differenze culturali ed esperienziali della storia vissuta. Ciò ci fa dire che gli 8 miliardi di persone che popolano la Terra portano in sé 8 miliardi di intelligenze diverse che il sistema politico-economico-finanziario sotteso al mercato globalizzato, aspira ad influenzare ed uniformare attraverso messaggi che costruiscano il denominatore comune più ampio possibile. L'esperienza vissuta e i messaggi pervasivi e convincenti ricevuti cambiano la mente anche biologicamente, modificando l'allocazione delle informazioni nel cervello umano e sviluppando una sorta di pigrizia critica. [1]
Noi portiamo nel nostro DNA l'intera storia evolutiva della biosfera che ha origine 3,7 miliardi di anni fa con la comparsa delle prime forme di vita. Il biologo, Stuart Kauffman afferma: “La storia dell'Universo non è soltanto una sequenza di fatti determinati dalle leggi naturali, ma una storia piena di esperienze, di valori, di significati; ogni sua componente, noi compresi, appare orientata all'emergere di una creatività consapevole e senza fine”. [2]
Ci sono 20 tipi di amino-acidi in biologia; una tipica proteina contenuta nel nostro organismo è costituita mediamente da combinazioni con ripetizione di circa 300 aminoacidi, anche se ce ne sono alcune che ne contengono diverse migliaia. Per fare un calcolo ancora più prudente consideriamo proteine contenenti solo 200 aminoacidi. Ebbene, il numero di gruppi diversi di 200 elementi scelti fra 20 tipi diversi è pari a 20200, (cioè 2 seguito da 200 zeri) o, se preferite, 10260. Ebbene se ogni proteina si formasse nel tempo più breve possibile per una reazione chimica occorrerebbe un tempo lungo 1067 volte (10 seguito da 67 zeri) la vita del nostro Universo per produrre tutte le possibili proteine. Ciò significa che la nostra biosfera è una delle infinite possibili biosfere che avrebbero potuto svilupparsi. In ogni istante ogni specie che la ha popolata ha fatto delle scelte, che a volte sono in discontinuità con il passato ed i comportamenti standard, portando alla costruzione della biosfera di cui oggi siamo parte. Potremmo dire che l'Universo ha una sua intelligenza che nella nostra biosfera si esprime in una dirompente ed instancabile creazione di differenze, siano esse biodiversità o diversità culturali, che costituiscono l'unico patrimonio che essa ha per costruire un futuro. Ogni intento di omologazione e standardizzazione del pensiero e delle azioni che ne derivano, comporta una perdita di capacità di costruire un futuro. Nel nostro anthropo-centrismo siamo abituati a chiamare “istinto” l'intelligenza delle altre specie. Invece, nella nostra specie, la sopraffazione dell'istinto di sopravvivenza, dovuta al senso di onnipotenza che caratterizza l'orientamento tecnocratico della nostra società, ci spinge verso una sesta estinzione di massa della quale noi potremmo essere fra le vittime.
La scienza moderna ha vissuto un grande sviluppo attraverso la moltiplicazione di discipline specialistiche, perdendo di vista la capacità di dare una interpretazione olistica alle sue osservazioni; ciò rende particolarmente problematico l'utilizzo di algoritmi per rappresentare la realtà osservata. Facendo un esempio banale (forse poco intelligente) al fine di chiarire questo concetto, supponiamo di trovarci di fronte alla scoperta di una nuova specie vegetale nel cuore della foresta Amazzonica. Scienziati in campo medico vi riscontrano la presenza di sostanze che hanno uno straordinario effetto terapeutico per tutta una serie di patologie. Gli ecologi ne evidenziano l'importanza delle reti di relazioni ecologiche che con la sua scomparsa ne risulterebbero danneggiate, minacciando anche specie utili e probabilmente alcune non ancora conosciute. Esperti di tecnologie ne evidenziano sostanze con caratteristiche molto interessanti per nuove applicazioni. Chi di costoro è in grado di scegliere cosa fare di questa scoperta? Probabilmente nessuno dei tre. Il più idoneo è l'appartenente ad una popolazione che ha sempre vissuto in uno stato di naturalità, maturando e tramandando per millenni una perfetta conoscenza di ciò che lo circonda.
Bisognerebbe riflettere sulle seguenti parole di Albert Einstein: «nella misura in cui le proposizioni matematiche si riferiscono alla realtà, esse non sono certe; e nella misura in cui esse sono certe, non si riferiscono alla realtà» [3]
Andrea Masullo
[1] Joseph Henrich, WEIRD, il Saggiatore, Milano, 2022
[2] Stuart Kauffman, Esplorazioni evolutive, Einaudi, Torino, 2005.
[3] Conferenza tenuta all'Accademia Prussiana delle Scienze, il 27 gennaio 1921
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