Intervista a Giuseppe Miale di Mauro: qualche domanda sul suo primo romanzo e sul suo amore per il teatro

L'ultima volta che mi sono emozionato Giuseppe Miale di Mauro

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Andrea Castiglia sta recitando il famoso monologo finale di Otello, pronto a uccidere Desdemona, quando improvvisamente si blocca: la voce non esce, la gola è come contratta, goccioline di sudore iniziano a scendere sulla fronte, attimi di panico totale. Da dietro le quinte si pensa a un malore e sta per partire l'ordine di calare il sipario, ma dopo qualche attimo di esitazione e sospensione l'attore riprende a parlare e, come ogni sera, dà infine il meglio di sé.

Così ha inizio L'ultima volta che mi sono emozionato, il primo romanzo di , di origini napoletane, diplomato all'Accademia d'Arte drammatica, attore, autore e regista teatrale. È stato uno dei protagonisti dello spettacolo Gomorra – andato in onda dal 2007 al 2012 – scritto da Mario Gelardi e Roberto Saviano; ha preso parte ad altri lavori importanti come il musical tratto da I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, per la regia di Tato Russo e Gli uccelli di Aristofane, regia di Lucio Allocca; ha scritto, collaborato e diretto diverse altre opere, tra cui , , . Nel 2013 è atteso il debutto allo Stabile di Torino della trasposizione teatrale di , spettacolo di cui è regista e che ha scritto insieme a Nicolai Lilin. È tra gli autori de , anch'esso edito da Caracò nel 2011.
Un uomo di dunque, esattamente come il protagonista del suo romanzo, personaggio dal carattere apparentemente ruvido e disilluso, ferito da un passato di cui pian piano si scopriranno i particolari, con un propensione all'autolesionismo da manuale, ma fortunatamente ancora capace di riconoscere i sintomi di quel che più di ogni altra cosa ci rende vivi: le emozioni, la capacità di emozionarci.
Una storia toccante che può essere interpretata anche come un'allegoria sul potere sempre vivo del teatro – e della parola, scritta o recitata che sia –  di far emergere le nostre emozioni più profonde e di instillarci un gusto sempre nuovo per la vita e per le sue grandi, piccole, ordinarie o straordinarie  che siano, tragedie e commedie quotidiane.
Approfondiamo il discorso facendo qualche domanda a Giuseppe Miale di Mauro:

Un'esistenza, la sua, quasi interamente dedicata al teatro, in veste di autore, regista, attore. Anche Andrea Castiglia, il protagonista di questo suo primo romanzo, è un uomo di teatro; cosa significa oggi essere un uomo di teatro, fare teatro, dovendo fare i conti con una crisi non solo economica, ma della cultura dell'arte in genere?

Giuseppe Miale di Mauro – Fare teatro oggi è sicuramente un atto di fede. Tutto ciò che ci circonda non aiuta, ma sicuramente stimola la scrittura, la denuncia, la ribellione, elementi importanti per continuare a credere che il teatro sia materia viva, luogo in cui far sentire la propria voce. E i conti, per mia abitudine, sono abituato a farli alla fine. Per ora, finché me ne sarà data l'opportunità, voglio solo pensare al progetto successivo, questa è la mia vita: il teatro.

Il teatro è ancora specchio e portavoce di quei valori rappresentativi di una specifica comunità, com'era al tempo della tragedia classica nell'Atene di Pericle, oppure oggi si bada maggiormente ad un'eccessiva spettacolarizzazione mirata a gratificare un pubblico in cerca del solo svago?

Giuseppe Miale di Mauro – Purtroppo credo che oggi il teatro non sia più un buon educatore di massa come lo era un tempo lontano. E i motivi di questa metamorfosi sono tanti e svariati. Di fatto c'è che la gente è intontita dalla mediocrità delle proposte che spesso riceve dalla televisione, e il teatro invece di invertire questa rotta prova a mettersi allo stesso livello. È come se a Napoli, nelle scuole dei quartieri maggiormente a rischio, invece di educare i bambini alla legalità li armassero di pistole, tanto fuori non fanno altro che sparare! Il risultato è sotto gli occhi di tutti, basta entrare in una sala teatrale per capire che c'è qualcosa che non va, ma purtroppo chi di dovere fa finta di non vedere. Mio nonno diceva sempre che non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.

Parliamo del suo romanzo: l'autore della prefazione, Alessandro Haber, definisce il protagonista “un personaggio a tratti bukowskiano, che fa dell'autodemolizione la propria arte”. In effetti in molte pagine si nota questa insistenza sulla corporalità, si indulge, con un certo compiacimento quasi, nei particolari di questa parabola fisica discendente. Si può dire che la profonda crisi esistenziale di Andrea Castiglia venga raccontata solo attraverso il progressivo disfacimento e autolesionismo del proprio corpo. Tutto, anche le emozioni, sono affidate al corpo e il linguaggio vi aderisce appieno, facendosi asciutto, diretto, a tratti ripetitivo come a voler rendere la compulsione ossessiva del bere (il protagonista apre bottiglia dietro bottiglia sempre “stracciando la carta attorno al tappo”). Quanto di questa precisa scelta stilistica discende dal teatro – in fondo si recita con il corpo, sempre – e quanto si è ispirata invece ad altri scrittori – nel caso, quali? – o risente di una persona ricerca e approdo espressivi?

Giuseppe Miale di Mauro – Non posso nascondere che lo stile delle cose che scrivo discenda dal teatro. Quando scrivo, immagino sempre che quelle parole possano un giorno diventare materia viva, cioè che ci possa essere qualcuno che le debba dire. E quindi penso che quel qualcuno abbia un corpo che lo debba aiutare a recitare, ad entrare in un personaggio. Quando si scrive per il teatro lo si pensa sempre: il personaggio è fatto di parole ma anche di corpo e anima. Ad essere sincero non ho mai pensato a Bukowski quando scrivevo di Andrea Castiglia, ma spesso succede che altri vedano nella scrittura quello che lo scrittore non ha minimamente pensato, l'interpretazione personale è il bello della scrittura. Io sono convinto che le parole scritte le perdi nel momento esatto in cui qualcuno le legge, non sono più tue ma di chi le legge e quindi avranno aspetti sempre diversi, sempre nuovi.

Se nelle prime pagine Andrea Castiglia appare come un uomo ormai disincantato, dissacrante quasi, comunque poco incline al sentimento, scopriremo che invece ciò che l'ha portato all'attuale rovina è stato proprio il distacco dalla donna che amava. Dunque quest'uomo dai tratti apparentemente ruvidi, si scopre essere un'anima vulnerabile, ferita, struggente nel suo bisogno di essere accolta e amata. Com'è nata l'idea di raccontare una storia di fallimento e redenzione di questo tipo? Una storia che in qualche modo ti si è imposta come un'intuizione o che hai elaborato pian piano?

Giuseppe Miale di Mauro – Andrea Castiglia è un uomo a cui sono molto affezionato perché racchiude in sé tanti uomini che ho incontrato. Sono sempre molto attratto dalle persone che nascondono dietro un modo di fare, un atteggiamento, qualche ferita che la vita ha segnato e che provano a dimenticare. La vulnerabilità è cosa difficile da mostrare, e quindi affascinante quando compare improvvisamente. Ecco, volevo raccontare la storia di un uomo che prova a nascondere il suo lato vulnerabile, il suo segreto, la sua piaga, ma che ad un certo punto si ritrova nudo e fa tenerezza. Il fatto che sia un attore non è casuale, perché l'attore nasconde dietro il personaggio la sua vita privata, il suo essere uomo, ma basta un vuoto di memoria a renderlo nudo, a farlo tornare l'uomo che è e non più l'attore che cercava di essere. Questo mi è sempre apparso come un grande segnale di vulnerabilità.

Sta pensando già ad un secondo romanzo?

Giuseppe Miale di Mauro – Ho in mente più di una storia che vorrei raccontare. Per adesso mi sto concentrando a finire la stesura del mio prossimo romanzo, si chiamerà La Strada degli Americani e prende spunto da una storia vera che mi è stata raccontata. Parlerà di Napoli, della famosa strada che taglia la periferia nord, e di una Fiat Tipo grigia che per un periodo ha terrorizzato la guida di giovani donne con inseguimenti da far invidia a Spielberg e al suo Duel, tutto allo scopo di… questo non lo posso dire.
Rita Ciatti

Giuseppe Miale di Mauro
L'ultima volta che mi sono emozionato
Caracò Editore – 2012
122 pagine – 10,00 euro

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