
Uno dei libri che in questi giorni sta riscuotendo una grande eco è “Italiana” di Giuseppe Catozzella. Su queste pagine avevo pubblicato la recensione di questo libro. Il gruppo di lettura “Le parole raccontano” presente a Sannicandro Garganico (FG) e di cui sono parte attiva, ha scelto di accompagnarmi nella lettura e di proporlo per la discussione dell'incontro mensile.
In questi tempi di pandemia, di didattica a distanza, di aggiornamenti online, abbiamo pensato si potesse tentare la strada dell'invito all'autore. Non ci aspettavamo niente e invece alcune volte la vita ci sorprende, Giuseppe Catozzella ha accettato di partecipare.
È stata una chiacchierata di mezz'ora, ma intensa e partecipata. Il nostro obiettivo era quello di conoscere l'autore in quanto uomo. Di interviste e domande su Italiana ce ne sono tante ma noi volevamo scoprire soprattutto il pensiero di Giuseppe Catozzella.
Perché hai deciso di scrivere questo libro proprio ora? In fondo, questa storia ti appartiene da sempre perché raccontata da tua nonna.
Questo libro non nasce all'improvviso. Dietro queste pagine c'è un lavoro lungo di tre anni. Come dico nel libro c'è stata tutta una ricerca di documenti ed è una storia realmente accaduta, quindi parto da fonti certe. Una storia diventa necessaria senza un vero motivo, ma a un certo punto c'è una sorta di rapimento e tu senti l'urgenza di scrivere. Avevo bisogno di fare i conti con la natura di italiano, con questa natura doppia di chi come me nasce a Milano ma da genitori meridionali, una ricerca di identità accompagnata dal bisogno e dal desiderio di capire questa natura doppia. È la storia di chi perde e forse bisogna imparare a guardarla con quegli occhi.
In questo libro la protagonista è una donna e tu le dai una voce chiara e molto femminile, scrivendo in prima persona, che mi ha fatto pensare: o sei espertissimo di donne o hai riferimenti solidi a cui ti sei ispirato. Come hai fatto?
È sempre molto rischioso quando un uomo da la voce ad una donna, un vecchio a un bambino, una donna a un uomo, ma questo appartiene al mestiere dello scrittore. Tutti partecipano di tutto, quindi ognuno è una moltitudine e lo scrittore riesce a rappresentarle per contatto. Sicuramente il legame forte con mia madre e mia nonna sono quelli da cui ho tratto maggiore ispirazione e sebbene, come dicevo, è sempre molto rischioso scrivere da uomo al femminile uno scrittore non può limitarsi.
Ciccilla, sebbene donna di quel tempo, ha consapevolezza del suo corpo e ne è padrona tanto da decidere di non volersi più concedere a suo marito uomo violento. Questo ci spinge a ragionare di un tema attualissimo quale la violenza sulle donne. Quali sensazioni e quali pensieri hai nei confronti degli uomini violenti?
Il problema è con se stessi, come tutti quelli che sfogano le loro frustrazioni o le loro paure, tutti i loro problemi irrisolti. Li inviterei a cercare di capire cosa non va nella loro vita. Direi loro che si stanno comportando da vigliacchi, da uomini che non valgono molto come uomini. La violenza è sempre deprecabile, è sempre l'ultimo dei metodi ed esercitarla nei confronti della fragilità dell'altro è basso e debole.
In questo libro c'è una gran sete di libertà, ma ci sono anche tanti destini segnati. Secondo te esistono destini segnati?
Nel limite del possibile siamo artefici della nostra vita, cioè nel senso che la nostra vita è nelle nostre mani, se le cose non vanno come vorremmo, se vediamo che la nostra vita non va come vorremmo, se vediamo che non siamo le persone che vorremmo essere, è in nostro potere cercare di cambiare le cose. Non è detto che ci riusciamo, ma è in nostro potere cercare di provare a cambiare. Detto questo, non possiamo sopravvivere alla morte, non è nel nostro potere diventare sovrumani. Non è nostro potere vincere la morte e farci divinità. No quindi è ovvio che il nostro destino è segnato sta dentro a determinati paletti, non possiamo più di tanto uscire da noi stessi, però si che possiamo anzi che dobbiamo è questo il nostro dovere, forse l'unico che abbiamo, dobbiamo avere il coraggio di essere fedeli a noi stessi, dobbiamo avere il coraggio di guardarci negli occhi e di dire “ma sto facendo la vita che vorrei fare?” più andiamo avanti con gli anni e più la domanda si fa bruciante si fa difficile. Quando siamo piccoli tutto è assolutamente più facile, poi dopo può capitare che la vita si incammini su binari che non sono esattamente quelli che avremmo voluto. Quindi la cosa più complicata diventa proprio chiedersi se siamo al nostro posto. Quello che possiamo fare è andare sui nostri binari.
Di questi tempi la nostra massima attenzione è rivolta ai ragazzi. Il tuo messaggio gli arriva molto diretto e quindi ti chiedo: cosa ti senti di dire loro in questo momento storico?
Cerco sempre di dire ai ragazzi di fare attenzione alla chiamata, mi piace definirla così, che la vita da ad ognuno di noi e che arriva più o meno tra la fine delle scuole medie e la fine delle superiori. La vita sempre ci fa sapere, a volte in modi misteriosi, quello che siamo ce lo dice proprio. Ci fa sapere quando stiamo bene mentre facciamo qualcosa, ma anche qui ascoltare la chiamata è una questione di coraggio perché spesso ci fa sapere cose su di noi che non vorremmo sentire. È più comodo prendere strade che altri prendono per noi. Quello che dico ai ragazzi è di raccogliere dentro di sé nei momenti di intimità di solitudine, magari prima di addormentarsi, dei moneti di riflessione quasi di meditazione, farsi le domande fondamentali: chi voglio diventare, chi voglio essere, chi sono io. Domande che possono non ascoltarsi più perché oggi siamo bombardati da infiniti stimoli, quindi l'ultima cosa che ci viene da fare è prestare attenzione a quelle domande. Lascio loro sempre questo messaggio: cercate di essere coraggiosi, mi piace sempre salutarli con questa parola “coraggio”. Cercate di trovare dentro di voi il coraggio per combattere per diventare chi siete perché è l'unica cosa che possiamo fare dentro questa vita. Tutto il resto è di più, tutto il resto è complemento, tutto il resto è companatico, ma quando siamo contenti quando siamo da soli, quando siamo tranquilli abbiamo praticamente già fatto tutto. Stare un po' più da soli, alimentare lo spazio di intimità dentro se stessi e dentro quello spazio chiedersi continuamente chi sono e che cosa voglio essere. Mi sembra la coltivazione di uno spazio di salvezza dentro di noi.
Un'ultima domanda che in realtà è una curiosità. Cosa ti ha lasciato Italiana?
Mi è rimasta una sensazione fortissima di libertà e di richiesta di giustizia. Alla fine sono due sentimenti che io sento fortissimi dentro di me e che naturalmente sono ambivalenti. Se da un lato ti salvano come persona dall'altro possono essere la tua dannazione pubblica. Soprattutto in un paese corrotto, intimamente corrotto, come il nostro dove non c'è niente che funzioni limpidamente come dovrebbe. Per lavoro, per carattere, per temperamento ha vissuto molto all'estero e ho viaggiato molto in molti paesi, ho avuto così la possibilità di vedere il nostro paese da fuori e di conseguenza di rendermi conto di alcune dinamiche delle quali ti puoi rendere conto solo quando le vedi da fuori. Zagrebelsky diceva recentemente su Repubblica “il nostro Paese è la storia di una costante sommessa, invisibile loggia massonica” vuol dire che dentro il nostro paese c'è un cuore che è un “anticuore” che praticamente batte da un'altra parte. Quello che il nostro Paese ha generato è la sua sconfitta cioè una forte emigrazione. È la prova del fatto che cose come merito, valore, sforzo da noi non sono, soprattutto al sud, valorizzati anzi tutto l'opposto. Spesso il merito da noi viene punito.
Però alla fine questa storia mi ha lasciato con la consapevolezza di chi se ne frega, l'importante è salvarsi come individui.
Ciccilla-Maria mi ha insegnato che nonostante tutto io come persona, come scrittore ho il dovere per me stesso di affermare la mia libertà come artista e come uomo e la mia sete di giustizia anche con scritti onesti, privi di retorica, non vuoti ma pieni di contenuti.
Tutti gli anni che ho passato con questa storia mi hanno lasciato questo.
In questa mezz'ora di chiacchierata libera da ogni vincolo e pregiudizio abbiamo conosciuto l'uomo Giuseppe Catozzella.
È stata una bellissima scoperta.
Nicla Pirro
Per info su
Gruppo di lettura “Le parole raccontano”
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