
Danza di confine è il più recente lavoro letterario di Stefania Libera Ceccarelli, fondatrice delle Compagnia di Danza “Sibilla”, e animatrice del progetto Radici d'amore riconosciuto dall'Unesco nel 2004. Le sue attività tra danza e progetti di solidarietà verso l'Africa sono tante e le hanno consentito di esplorare realtà, mondi e filosofie altrimenti lontani fra loro. Nella sua formazione Elsa Wolliaston, Norma Claire e Koffi Koko, maestri e mentori fondamentali, rivestono un ruolo chiave, insieme con altre eminenti figure della danza contemporanea.
Con Stefania Libera Ceccarelli abbiamo discusso, a partire dal suo testo, delle sue esperienze e del suo modo di intendere la danza come “uno stato di coscienza, una dimensione dello spirito”.
Il titolo del suo libro, Danza di confine (Intermedia Edizioni, 2021), ci costringe a pensare ad un movimento che può lasciarci come chiusi in qualcosa o può prefigurare l'attimo dell'apertura che porta fuori. Come potrebbe spiegarci questa formula? Insomma, danzare al confine verso che cosa porta e quali scoperte ci fa fare?
La mia è una danza di confine perché sin dall'inizio, come persona e anche come danzatrice, mi sono sentita sempre al confine; come dico nel libro, al confine di qualcosa, di una parte di me. Seguendo abbastanza fedelmente quello che è stato l'impulso iniziale che ho sentito, mi sono trovata sempre a cavallo di più culture; quindi, l'essere al confine significa anche un percorso che dura da tutta una vita. Non mi sento completamente parte né di una cosa né dell'altra. Ecco il senso di una danza di confine, non identificarsi completamente, ad esempio, con la danza africana – che è stata comunque per me una scoperta rivoluzionaria – né tantomeno con la danza contemporanea, l'altra grande espressione di cui mi sono nutrita. Essere sempre al confine conduce in un altro spazio sia il corpo, fisicamente parlando, sia la nostra parte interiore.
Si è chiamati a ballare identificandosi appieno con il codice espressivo che abbiamo privilegiato, a ballare sentendosi nello stesso tempo attore, regista e spettatore: come sperimentando la sensazione di trovarsi dentro e fuori, essere sempre su questo confine.
Preferisco parlare soltanto della mia esperienza e raccontare dove la danza abbia portato me, con una ricerca non solo interiore, ma anche fisica: uno straordinario viaggio che, come dice anche Gregg Braden, si svolge dal cuore a la mente e dalla mente al cuore, insomma unire corpo e spirito. Per riepilogare una danza di confine è come essere cavallo e cavaliere allo stesso tempo.
La danza, per usare alcune parole che servono a presentare il suo libro, è disciplina, rigore, tecnica, ma anche emozione, sentimento e passione. In poche parole, è espressione della vita stessa. La domanda le potrà apparire, quindi, fin troppo banale, ma abbiamo bisogno di capire che cosa è la danza per lei e che spazio ha nella sua vita?
La danza è proprio quel cammino di mezzo tra rigore ed emozione. Il lavoro sul corpo a livello fisico non si improvvisa. Una prestazione di tipo fisico, affinché ci sia una performance di movimento, implica un lavoro quotidiano, sia interiore che esteriore. Accanto al lavoro fisico, si deve poi lavorare sulla concentrazione e sulla dedizione. Queste virtù le abbiamo già. Abbiamo bisogno di tanta passione sicuramente; di tanto sentimento sicuramente; al contempo, abbiamo bisogno di un lavoro tecnico e della dedizione, un lavoro molto impegnativo e molto faticoso, come tutti i lavori e come tutti gli impegni. Chi lo fa è spinto da un grande amore. Che cosa distingue la danza da un movimento bellissimo e atletico, super perfetto? La danza ha in sé una parte lirica, poetica e magica – non perché il movimento atletico e sportivo non ce l'abbia – ma la danza ha dentro una liricità e un linguaggio che la rende appunto danza. I due aspetti si uniscono e non vanno mai separati.
Nell'arte, la sola tecnica non può giustificare un discorso artistico, altrimenti diventa solo una performance perfetta e impeccabile; si parla più di un virtuosismo sportivo-atletico che è di grande bellezza, ma la danza è altro.
Nella danza il movimento sta al servizio dell'anima: è l'anima che scende nel corpo lo muove e diventa danza. Il talento va canalizzato, va strutturato, va nutrito. Come tutte le cose, come una pianta che nasce spontaneamente, è un miracolo meraviglioso della natura, ma poi va guidata, va nutrita, va annaffiata, va potata, va aiutata a crescere e a vivere: la danza è una pianta che dal momento in cui comincia a sbocciare, con le prime gemme, non finisce più di essere curata. Più la danza cresce con noi, più crea poesia e si fa una magia. Questa magia la fa soltanto l'arte.
Quanto spazio la danza ha preso nella mia vita? Ha preso tutta la vita, semplicemente tutta la vita. Il danzatore danza perché altro non può fare.
Che cosa ci può raccontare delle sue esperienze di formazione in questo come in altri campi da lei attraversati e sperimentati?
Avrei tanto da raccontare e devo un attimo focalizzare l'attenzione su quelle che sono le esperienze più significative. Ho conosciuto Elsa Wolliaston a Roma e la prima grande esperienza rivoluzionaria è stata proprio raggiungerla a Parigi nel suo atelier. Sono partita giovanissima, senza un soldo, per la Francia con l'idea di stare un mese e mezzo, e mi sono fermata per 12 anni. Quello è stato un momento molto difficile, affascinante e rivoluzionario; un momento di formazione e non solo. Altre esperienze nel mio cammino di formazione nella danza riguardano, invece, il continente africano. Sono partita sempre da sola, all'avventura, vivendo esperienze affascinanti non sempre facili e che comunque rifarei tutte. Queste mie avventure mi hanno poi portato a scrivere i miei libri. I paesi più significativi sono stati sicuramente il Senegal, il Burkina Faso e anche il Benin.
Non posso certo dimenticare i viaggi a Vienna, durante l'ImPulsTanz Festival dedicato alla danza contemporanea dove si incontrano maestri danzatori di tutto il mondo. Potrei ricordare tante altre città e incontri, ma ora mi limiterò a questo.
Movimento, passi, andare e anche incontrare: lei ha accumulato anche tante esperienze africane. Ci può raccontare qualcosa dell'incontro che lei ha vissuto con un'altra idea di mondo?
Sono approdata in Africa per motivi artistici. Poi ho scoperto l'Africa o forse ho ritrovato l'Africa, perché, in qualche modo, è un luogo in cui, ogni volta che vado, ho l'impressione di tornare a casa. Riconosco tutto.
Approdo in Africa per motivi artistici e poi, conoscendo i luoghi e le persone, è nato anche tutto l'altro percorso che è di cooperazione internazionale con la creazione in Francia di Radici d'amore. L'obiettivo è di mettere l'arte al servizio della cooperazione internazionale. La nostra attività, non a caso, è stata riconosciuta dall'Unesco.
Quando poi ho creato la compagnia Sibilla essa è nata come contenitore di linguaggi diversi per l'incontro tra culture e si mette al servizio di motivazioni altre per la realizzazione di progetti.
Quali progetti ha avuto modo di seguire e curare in Africa e quali ancora vorrebbe realizzare?
I due cammini – quello della danza e quello della cooperazione internazionale – si sono incrociati in diversi paesi. Il Senegal sicuramente è quello più fecondo di tutti; ho anche la nazionalità senegalese, cosa di cui vado molto fiera.
Anche il Burkina Faso è paese dove abbiamo costruito tantissimo. Quando dico “costruito tantissimo”, mi riferisco sempre a progetti di cooperazione internazionale: la lotta alla desertificazione con la costruzione di pozzi d'acqua potabile; il sostegno all'infanzia; il sostegno alle donne. Insomma, i progetti sono stati tanti e quello che mi rende orgogliosa e che tutto è stato sempre guidato e maturato attraverso l'arte. Le esperienze africane hanno caratterizzato tutto il mio percorso contribuendo a quella “danza di confine” per cui mi sento sempre in bilico tra più culture.
Quello che vorrei ancora realizzare in Africa è un dispensario in Senegal precisamente nella regione di Kaolack. A questo progetto ho anche dedicato un libro nel 2018, il titolo è Tempo (Intermedia edizioni). Ne parlo perché questa pubblicazione è servita e serve anche per raccogliere fondi. Un dispensario è un progetto grandioso, per lo meno per un'associazione come la nostra che si basa sull'arte. Un altro progetto che desidererei tantissimo realizzare è portare il pilates nel mondo della danza afro-contemporanea, sia in Senegal sia in Burkina Faso e integrare il tutto con i principi di anatomia per la lettura del movimento in danza. Un mio grandissimo desiderio è fare un lavoro di formazione sui giovani artisti che si lanciano nel mondo della danza professionale; a me piacerebbe tantissimo portare questo tipo di linguaggio in Africa.
La nostra esperienza di vita di quest'ultimo periodo è molto legata allo stare in casa, all'essere separati, alla chiusura di ogni manifestazione artistica compresa la danza. Come ha affrontato lei questo periodo?
Il desiderio è quello di danzare sempre, comunque e ovunque. Da questo impulso è nata, quasi come una cosa naturale, una serie di improvvisazioni in luoghi improvvisati, in momenti improvvisati. Così nasce ImproMania, questo danzare ovunque io sia. Parlo di una sorta di nuovo capitolo, nato proprio a cavallo del lockdown, e questo danzare ovunque – ho sfruttato ogni angolo di casa e il giardino alcune stanze comunque. Ho ballato sempre realizzando dei micro-video in silenzio o accompagnati da registrazioni. Quando le porte si sono aperte, ho cominciato invece a guardarmi intorno ed è iniziata questa meravigliosa esperienza di ballare nelle campagne, nel mezzo di una piazza, davanti a una sorgente, davanti a un prato fiorito, a un laghetto, a una sorgente, a un fiume, in piena tempesta o quando sta per scatenarsi il temporale con il vento.
Ho più di trecento video dall'anno scorso a tutto oggi. ImproMania è un capitolo importante all'interno della compagnia Sibilla. Questa esperienza di danza, questo vivere il lockdown in modo creativo, come è capitato a me, l'ho raccolta in un libro di prossima uscita con Intermedia edizioni con il titolo Cigno nero.
Quali sono i suoi progetti per il futuro?
Vorrei continuare a mettere in scena, quando sarà possibile, Oltre te, che è uno spettacolo di danza afro-contemporanea, intorno a un soggetto inquietante e affascinante allo stesso tempo, come il cancro. Sicuramente riprenderò in mano un vecchio spettacolo di Sibilla intorno all'acqua che si chiama Agua Viva. Vorrei anche continuare con ImproMania, perché questa vena del danzare ovunque e sempre è così fresca, effervescente, interessante.
Per me la prossima sfida sarà quella di fare meno spettacolo e più performance e installazioni. Nel mio essere sempre al confine di più linguaggi, mi piacerebbe unire sempre più musica, danza, canto e arti plastiche (foto, video): comporre un puzzle grazie alla poesia che può creare l'arte, ma con l'ausilio di più linguaggi.
Un lavoro in cui la bellezza prende sempre più valore. La bellezza, non solo come qualcosa che noi pensiamo essere effimero, ma come valore, come strada reggia per arrivare a qualcosa di più alto. Ognuno nell'alto ci mette ciò che vuole. Intanto io alto, lo scrivo con la A maiuscola, perché non è alto nel senso che sta più su di un metro, ma è il valore più alto.
Antonio Fresa
Per saperne di più
Stefania Libera Ceccarelli
Danza di confine
Intermedia Edizioni, 2021
Pagine 138; euro 12,00
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