
L’elisir di lunga vita, inteso come contrasto all’invecchiamento, ha rappresentato argomento di gran interesse per la letteratura e le arti senza trascurare le religioni in quasi tutti i popoli del globo. L’elisir di lunga vita, una pozione magica che risolve malanni, ci riporta in gioventù o addirittura conferisce immortalità, è soluzione protagonista per lo più in racconti mitologici, attività spirituali, pratiche religiose. Nell’excursus storico dei popoli, in un certo periodo lo si è anche ritrovato come obiettivo affidato alla ricerca del Sacro Graal, la coppa con la quale si crede che Gesù bevve nell’ultima cena e che raccolse il suo sangue durante la crocifissione. Si credeva che il suo ritrovamento avrebbe conferito immortalità. Anche altre spedizioni hanno animato la ricerca dell’eterna gioventù o ispirato opere musicali e la letteratura fantascientifica o romanzata. Inoltre, non essendo stato possibile il ricorso a pratiche diverse e più efficaci, si è fatto nella realtà ampio uso, nel tempo, di cure estetiche più o meno invasive o del ricorso a prodotti per la cura del corpo, nel tentativo, non sempre ben riuscito, di migliorare la propria immagine.
La scienza si è da tempo occupata dell’invecchiamento e continua ad occuparsene con studi dai quali ottenere dati o indizi utili a definirne i meccanismi. Ad inizio gennaio Scientific American con Diana Kwon ha pubblicato un lavoro, ripreso da diverse testate, nel quale si esamina il processo di invecchiamento in vari organismi [1], umani compresi, ipotizzando che i geni più lunghi diminuiscano l’attività al procedere dell’età, rispetto ai geni più corti. Conoscere i meccanismi e le cause che generano la mancanza di attività può aiutare a comprendere come poter intervenire per contrastare l’invecchiamento. Del resto, quest’ultimo, è da considerarsi il fattore di rischio maggiore in termini di mortalità – rapporto tra morti e componenti della popolazione interessata in un certo tempo – e morbilità – frequenza con la quale si manifesta una malattia.
Dobbiamo partire dalle basi, puriniche o pirimidiniche, che formano la struttura del Dna e che, con il loro numero nella sequenza genica, ne danno la dimensione. La numerosità delle basi può variare da alcune centinaia fino a due milioni, appunto costituendo le dimensioni del gene considerato.
Vi erano già indicazioni circa la possibilità che vi fosse correlazione tra le dimensioni dei geni e la diminuzione della loro attività malgrado inizialmente sembrava che i processi di alterazione dell’espressione genica fossero affidati a casualità. Solo successivamente Luis Amaral, docente di ingegneria chimica e biologica alla Northwestern University, con Thomas Stoeger del suo stesso laboratorio, ipotizzarono che le interruzioni delle trascrizioni su geni a diversa lunghezza avessero un andamento nel tempo diverso, e, precisamente, le interruzioni osservate, avessero una incidenza maggiore nei geni a più alto numero di basi. Queste osservazioni non fecero che confermare lavori precedenti secondo i quali, prendendo in considerazione anche la quantità alimentare a disposizione nelle colonie di animali da laboratorio considerate, era stata osservata la fine dell’espressione di geni lunghi. Se ne individuò la causa che ne impediva l’espressione nella disponibilità dietetica cosa che poteva costituire elemento di distinzione [2].
Altre conferme sono arrivate da altri studi che partono dall’analisi dei trascrittoma, cioè dall’insieme degli RNA trascritti da un determinato genoma. Si è cioè osservato, sia nei topi che negli umani, che la lunghezza della trascrizione spiega i cambiamenti trascrizionali che si evidenziano al mutare dell’invecchiamento [3].
In ultima analisi, si evince sempre dallo scritto della Known, che resta ben supportata l’ipotesi secondo la quale le trascrizioni di RNA diminuiscano al procedere dell’invecchiamento mentre, lo studio sulle conclusioni che tale osservazione può indurre, necessita, secondo autorevoli scienziati, di indagini più approfondite. Secondo il professore di biogerontologia dell’Università di Birmingham João Pedro de Magalhães, queste ipotesi non sono ancora dotate di prove robuste poiché potrebbe essere che i cambiamenti risultino dovuti ad altri processi legati all’invecchiamento. Quest’ultimo potrebbe generarsi ad esempio dall’aumento dell’attività del sistema immunitario cosa giustificata dalla considerazione che i responsabili dell’attività immunitaria sono piccoli geni che risultano essere più attivi al procedere dell’invecchiamento.
Ancora altra ipotesi sottoposta all’attenzione degli scienziati da parte di Luis Amaral è che lo squilibrio sulle trascrizioni nei geni più lunghi potrebbe essere danneggiato, ad esempio, anche dal susseguirsi delle esposizioni virali incontrate. Nel corso della vita i meccanismi cellulari possono alterarsi e l’invecchiamento rappresenta una misura di questo squilibrio che significa semplicemente che si è più vecchi, come è rilevabile anche nei propri tessuti, ugualmente anch’essi risultanti invecchiati.
Gli studi di cui sopra mostrano sicuramente interessanti sviluppi circa le conoscenze in tema di invecchiamento, seppur possono essere solo considerati come un nuovo importante tassello che aiuti a valutare un insieme che è ancora lungi dall’essere completamente decifrato. La sfida, verso una delle conoscenze che più intrigano il genere umano, lanciata da tempo immemorabile, continua ad essere sempre aperta.
Emidio Maria Di Loreto
[1] Diana Kwon, Aging Is Linked to More Activity in Short Genes Than in Long Genes, Scientific American 6 gennaio 2023
[2] WP Vermeij , MET Dollé , E. Reiling , D.Jaarsma , C. Payan Gomez e altri, Restricted diet delays accelerated ageing and genomic stress in DNA-repair-deficient mice, Nature, 24 agosto 2016
[3] Thomas Stoeger, Rogan A. Grant, Alexandra C. McQuattie-Pimentel, Kishore R. e altri, , Aging is associated with a systemic length-associated transcriptome imbalance, Nature 9 dicembre 2022
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