Iraq: le dimissioni del premier Mahdi non fermano le rivolte

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Le di queste settimane hanno provocato le dimissioni del primo ministro iracheno Adel Abdul Mahdi, annunciate lo scorso venerdì, e ora sono effettive. Ma il caos regna ancora sovrano.

Ieri mentre si svolgeva la seduta parlamentare che formalizzava le dimissioni, le manifestazioni continuavano e un altro dimostrante antigovernativo è stato ucciso dalle forze di sicurezza. I morti di queste settimane sono circa 400 e i feriti oltre 15.000 in tutta l'area a sud del paese e a Baghdad. Il parlamento ha chiesto al Presidente iracheno, Barham Saleh di fare un nome per sostituire il premier.

Tutti i corrispondenti ed esperti sono concordi che le rivolte non termineranno perché le cause si sono sovrapposte, intersecate in tempi lunghi per poter essere acquietate in poco tempo e con una leadership debole. Le ragioni sono interne perché un paese con risorse energetiche tra le più rilevanti al mondo la povertà e la disoccupazione viaggiano a tassi elevati; a questo va ad aggiungersi tra le cause della protesta l'enorme livello di corruzione. Ma ci sono anche cause esterne dovute alla consapevolezza che il destino non è nelle mani degli iracheni ma di altre nazioni, Iran in particolare.

A manifestare sono in particolare giovani al di sotto di trentanni ma che non appartengono a confessioni religiose specifiche o singole etnie e questo la rende particolarmente efficace, nonché pericolosa per gli uomini al potere.

Mahdi non è riuscito a conservare il suo ruolo di primo ministro perché aveva perso l'appoggio del leader sciita Moqtada al-Sadr e della massima autorità religiosa sciita dell', l'anziano ayatollah Ali al-Sistani, che premeva perché si mettessero in capo delle riforme per la crescita economica. Inoltre aveva condannato la durezza con cui i manifestanti erano stati affrontati.
«Sistani, e più in generale il clero sciita, esercita un'influenza fortissima non solo sulla politica ma anche sull'opinione pubblica irachena. Nei suoi sermoni l'ayatollah si è schierato dalla parte dei manifestanti, specialmente dopo i fatti di giovedì, quando le forze di sicurezza – con l'obiettivo di reprimere le agitazioni – hanno ucciso 33 persone nella città di Nassiriya più altre 11 a Najaf» [1].

Proprio a Najaf gli scontri sono stati cruenti quando i manifestanti hanno preso di mira il consolato iraniano e l' è dentro i meccanismi di potere in Iraq come dimostrano una serie di documenti segreti pubblicati dal New York Times. «Gli Iran Papers hanno mostrato nero su bianco quello che molti iracheni pensano da tempo: l'influenza di Teheran sul vicino iracheno è cresciuta a dismisura, al punto che istituzioni e forze armate rispondono più agli interessi iraniani che a quelli del loro stesso paese» [2].

Da decenni gli iracheni non trovano pace e continuano ad essere teatro di scontri fratricidi e di guerre imposte da altri. Non dimentichiamo che gli occidentali, USA in testa, hanno contribuito pesantemente a questa tragedia che rischia di non finire mai. E tutto questo accade in un'area del mondo esplosiva per molte altre ragioni.
Pasquale Esposito

[1] Marco Dell'Aguzzo, “Iraq, Mahdi si dimette”, , 30 Novembre 2019
[2] Alessia De Luca, “Iraq Black Friday”, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/iraq-black-friday-24529, 29 novembre 2019

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