
È all'ordine del giorno della Camera dei Deputati il disegno di legge relativo allo Ius Scholae, ovvero al cammino abbreviato per prendere la cittadinanza italiana per chi abbia frequentato almeno cinque anni scolastici in Italia, e come ogni volta che viene calendarizzata la discussione su quest'argomento le forze politiche si schierano veementemente a favore dell'una o dell'altra posizione, spesso senza ragionare né su diritti sacrosanti né sui vantaggi che ne deriverebbero per difendere interessi di bandiera ormai antichi e desueti.
In questo momento in Italia vige il cosiddetto Ius Sanguinis, ovvero il diritto di avere la cittadinanza italiana se almeno uno dei due genitori la possiede. Qualche anno fa ci fu un disegno di legge per introdurre lo Ius Soli, ovvero il diritto di conseguire la cittadinanza italiana se il luogo di nascita della persona era il “suolo” italiano. E questa era e resta la soluzione migliore dal punto di vista del diritto. Anche allora la discussione fu dura e la destra alzò le barricate. Vero è che andrebbe aggiornata la legge attuale, per evitare un utilizzo malsano, che prevede l'ottenimento quasi automatico della cittadinanza italiana da parte dei genitori di figli nati in Italia e quindi cittadini italiani per lo Ius Soli.
Nel nuovo disegno di legge la cittadinanza viene data al minore straniero, nato nel nostro Paese o che vi sia giunto entro il compimento del dodicesimo anno di età e che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni in Italia, e avendo frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema italiano di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennale o quadriennale idonei al conseguimento di una qualifica professionale.
Dovrebbe essere sufficiente ma alla destra italiana non basta. Non è sufficiente neanche la garanzia della frequenza scolastica. Coloro che si oppongono strenuamente a questo disegno di legge utilizzano parole che parlano alla pancia delle persone più che al loro cervello: le loro tesi si imperniano su “con la benzina alle stelle cosa ci interessa degli immigrati?” oppure su una difesa della “italianità” che riporta alla memoria le scellerate leggi fasciste della difesa della razza. Le tesi a favore dello “Ius Scholae”, invece, si basano sul fatto che il disegno di legge sull'allargamento della cittadinanza è in discussione da oltre trent'anni con alterne vicende (e analisi), e che quindi è arrivato il momento di trasformare le discussioni in leggi, e sul fatto che il mondo della scuola è unito nell'appoggiare questa riforma.
Se non basta la questione dei diritti alle persone, e dovrebbe bastare in un paese democratico e civile, ci sono altre fatti incontrovertibili che depongono a suo favore. Il primo è testimoniato dalle analisi demografiche ISTAT, è che in Italia non si fanno più figli per svariati motivi, e non bastano gli incentivi, per cui rischiamo di non avere più forza lavoro nei prossimi anni; tra l'altro li avremo formati ma che andrebbero via in altri Stati dove sarebbe garantita la cittadinanza – ad esempio il Canada è il paese che nel mondo ha in proporzione più neocittadini immigrati in posti di potere. Il rischio della crisi demografica è duplice perché, essendoci sempre meno base lavorativa e quindi meno contributi, ci sarà meno denaro da distribuire sulle pensioni, e dopo aver lavorato per oltre quarant'anni rischiare di non vedersi niente in mano perché ci sono poche persone che lavorano è una prospettiva quanto meno non auspicabile. Il presidente dell'INPS Tridico non perde occasione per rimarcare la necessità di aumentare la quantità di contributi per permettere la riscossione delle pensioni, e questa è una realtà già adesso.
Nell'Italia del Nord-Est, quella più industrializzata, in cui si produce di più, in cui si esporta di più, già adesso manca la forza lavoro per ottemperare alle commesse, a molte delle quali si rischia di rinunciare con le ovvie conseguenze sulla crescita e sullo sviluppo perché mancano i lavoratori e le lavoratrici. Ma proprio nel Nord-Est si attestano le forze politiche che maggiormente si oppongono a tale riforma, dimostrando poca visione e ancor meno umanità. O sperano sempre di usare la precarietà del loro futuro per pagare meno e sostenere meno costi sulla sicurezza?
Lo Ius Scholae è la panacea per questi mali? Certamente no, ma è un problema serio su cui prendere posizione ed agire al più presto, senza permettere ai facili ideologismi di prevalere.
In questi ultimi tempi una professione nuova si è affacciata alla ribalta internazionale: quella dell'”influencer”, cioè di quelle persone che, avendo un seguito elevato sui social network, “influenzano” i gusti e le mode dei loro “follower”, cioè di chi è interessato a quel che hanno da dire; succede che l'influencer col maggior seguito sui vari social network sia un immigrato senegalese che abita a Torino e che lavorava saltuariamente per una ditta di servizi fino al 2020: il suo nome è Khaby Lame e, per sbarcare il lunario, ha iniziato a creare dei video in cui, in maniera comica, prendeva in giro i modi di fare più strani; in pochissimo è diventato una celebrità in paesi come il Giappone e la Corea del Sud e in molti altri stati dove risulta essere il più seguito. La sua comicità è immediata, perché si basa su una mimica facciale e su alcuni gesti che sono diventati virali: un linguaggio universale che si è imposto “de facto” in tutto il mondo. Khaby Lame è nato a Dakar nel 2000, è in Italia da quando aveva un anno, ha studiato e lavorato prima di perdere il lavoro, si è creato un lavoro nuovo e adesso ha un patrimonio personale tra uno e tre milioni di Euro. Ma Khaby Lame non è italiano e, con le leggi attuali, per ottenere la cittadinanza italiana che lui vorrebbe fortemente, visto che è in Italia che è cresciuto, ha studiato e lavora (e produce ricchezza!), doveva affrontare un cammino lungo e tortuoso. Un Sottosegretario, qualche giorno fa, gli ha detto di non preoccuparsi perché per lui il cammino per avere la cittadinanza sarà semplice, ma per gli altri ragazzi che non sono Khaby Lame e che non hanno la sua visibilità mediatica?
La campionessa italiana di lancio del peso, Danielle Madam, è nata in Camerun ma vive in Italia da quando aveva 7 anni, sta studiando in Italia, è diventata campionessa del lancio del peso e qualche tempo prima di diventare italiana si lasciò andare ad uno sfogo in tv in seguito al caso Suarez, un giocatore di calcio uruguayano che, per diventare italiano e quindi poter essere schierato in una squadra italiana che aveva i due posti utilizzabili da extracomunitari già occupati, fece un esame farsa all'Università degli Studi di Perugia (cosa per cui la preside di facoltà e un professore si sono dovuti dimettere). Danielle Madam stigmatizzò questo fatto (che, in ogni caso, non portò alla cittadinanza per Suarez), denunciando la discriminazione nei confronti di cittadini extracomunitari che come lei non avevano potuto ancora ricevere questo riconoscimento dopo oltre dieci anni di permanenza in Italia, mentre alcuni calciatori avrebbero potuto essere dichiarati italiani solo grazie ad un esame superato tramite professori compiacenti!
La riforma in esame nasce anche per eliminare questi favoritismi e queste disuguaglianze permettendo a chi ne ha titolo di diventare italiano. E quanti giovani diplomati, laureati, capaci, aspettano di diventare quello che in concreto sono già: italiani? Tanti. In Italia oltre un milione di giovani è in attesa di ricevere la cittadinanza e solo nel comune di Roma oltre il 13% dei minori residenti potrebbe diventare italiano se si approvasse la riforma: speriamo che questi ragazzi possano diventare nuovi italiani, nuovi cittadini, e possano aiutarci a crescere come paese spazzando via i beceri qualunquismi di chi non vuole accettare la realtà che è presente già adesso!
Enrico Cirillo
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