
Le influenze di Jim Morrison non si esauriscono alla poesia inglese di Blake, ma spaziano tra ambiti e discipline diverse, tra cui, soprattutto, la letteratura e la filosofia.
Per la formazione di Jim, infatti, un altro elemento fondamentale è stato il movimento culturale e letterario della Beat Generation: il cantante rimase particolarmente affascinato dalle letture di Jack Kerouac, ma anche di poeti come Allen Ginsberg e soprattutto Lawrence Ferlinghetti. Proprio con quest'ultimo, un giovanissimo Jim, ebbe un curioso episodio. Un giorno, uscendo dalla libreria a San Francisco, la City Lights – considerata, in quegli anni, ritrovo abituale degli intellettuali legati alla cultura beat – i due si incontrarono: Jim salutò Ferlinghetti, a quel tempo uno dei suoi padri spirituali, ma, appena il poeta rispose al saluto, Jim scappò velocemente, dimostrando ancora timidezza e innocente adulazione.
In ogni caso, Morrison condivideva con questi eccentrici intellettuali gli stessi valori, idee, attitudini, lo spirito attivo e il fermento vitale. Infatti, poeti e scrittori appartenenti a quella cerchia culturale erano caratterizzati da elementi come: il desiderio di conoscere altre forme di religioni, per esempio quelle orientali; il senso di ribellione e lo stile di vita bohémien; l'importanza della fuga e del viaggio, come esperienza sia fisica che mentale. E tutti questi aspetti li ritroviamo ampiamente nella biografia e nei testi dei Doors composti da Jim. Per esempio, in Roadhouse Blues – brano destinato ad avere grande successo – Jim, liberando un grido intenso e selvaggio, canta il famoso verso “keep your eyes on the road, your hands upon the wheel!” (tieni gli occhi sulla strada, le mani sul volante!). Un monito, insomma, che sarebbe perfetto nel capolavoro di Kerouac, “On the road”, considerato probabilmente il manifesto della Beat Generation e dei suoi seguaci.
Ma tra tutti i suoi punti di riferimento, una posizione significativa spetta certamente a Friedrich Nietzsche. Infatti, se Blake ha mostrato a Jim le porte della percezione, Nietzsche gliel'ha completamente aperte, conducendolo all'interno. Come dichiarò lo stesso Jim, la sua definitiva trasformazione interiore e spirituale avvenne, infatti, leggendo l'opera del filosofo tedesco “La nascita della tragedia”. Essa appartiene alla fase giovanile del filosofare di Nietzsche e mostra l'influsso di Schopenhauer e della musica di Wagner. È un'opera nella quale emerge tutta la passione che il filosofo ha nei confronti della vita; e nonostante i vari luoghi comuni che farebbero di Jim un cantore della morte, anche Jim amava la vita: magari nelle sue forme più misteriose, dissidenti, irrequiete e spesso folli, ma di certo l'amava. Per questi motivi, perciò, la simbiosi tra lui e lo spirito dionisiaco celebrato da Nietzsche era inevitabile. Se penso a Dioniso, penso a Jim e se penso a Jim, penso a Dioniso: un unicum magico, intenso e profondo.
Nella mitologia greca, Dioniso è il dio dell'ebbrezza ed è sinonimo di caos, oscurità, divenire, istinto, di tutto ciò che è insomma irrazionale, dettato dalle passioni e dagli impulsi. Esso si contrappone perciò ad Apollo, dio del sogno, e simbolo di ordine, stasi, luce e ragione. Probabilmente, Jim non è interessato dalle divulgazioni prettamente filologiche e filosofiche presenti nel libro: il cantante americano ha semplicemente bisogno di superare i propri limiti, di oltrepassare la sua stessa coscienza, di scomporre e ricomporre la sua anima e Dioniso, in questa ribelle ricerca di distruzione e costruzione, non può che essere il suo punto di riferimento. Quello di Morrison è, forse, un folle progredire verso la morte che avviene, però, soltanto attraverso la vita. Non a caso, lo spirito dionisiaco esaltato dal filosofo altro non è se non il precursore di quell'oltreuomo che caratterizzerà la seconda fase del suo pensiero e che si farà portavoce del fatidico Sì alla vita: un sì che è quindi propulsione, spinta, energia e non rinuncia, rifiuto, abbandono. Jim l'ha infatti condotta pienamente la vita, spingendosi alla deriva, assaporando delirio e beatitudine; anche le droghe e l'alcol – che alla fine lo hanno probabilmente ucciso – erano per lui fonte di calore e vivacità. Egli rifiutava gli ideali borghesi e i valori tradizionali, a cui contrapponeva un'esistenza libera, priva di vincoli e limitazioni. Pertanto, se l'oltreuomo – il più ribelle tra gli anti-conformisti – avesse conosciuto Jim, lo avrebbe probabilmente apprezzato per la sua innocente, consapevole e oscura vitalità.
Jim, a mio giudizio, non è stato solo influenzato dallo spirito dionisiaco, ma ne ha sperimentato un'eccitante incarnazione terrena e le sue grida, i suoi canti, i suoi versi, ne sono una dimostrazione inequivocabile.
Proclama Jim nel brano “The end”: “Puoi immaginarti come sarà, così sconfinato e libero, con un bisogno disperato della mano di qualche estraneo in una terra disperata. Perduto in una landra Romana di dolore e tutti i bambini sono pazzi, in attesa della pioggia estiva”.
Da queste parole emerge tutta l'essenza di Jim Morrison: egli è insieme inquietudine e libertà, fermento e sofferenza, agitazione e frenesia. A parlare sembra proprio Dioniso, che invoca tutta la sua intensa energia, accetta il dolore ma ne sollecita il superamento e fa della disperazione il suo urlo più acuto. E se addirittura Dioniso ascoltasse la musica dei Doors ne rimarrebbe folgorato. Scrive infatti Nietzsche: “è tenuto cautamente lontano, come non apollineo, proprio l'elemento che costituisce il carattere della musica dionisiaca, e pertanto della musica in genere, la violenza sconvolgente del suono, la corrente unitaria della melodia e il modo assolutamente incomparabile dell'armonia”. “Light my fire” o “The end” – giusto per citare due tra i brani più celebri dei Doors – con i loro cambi di tonalità e le perfette fusioni strumentali, sarebbero quindi gli inni cantati dal coro dionisiaco e dalla schiera di spiriti che esso invoca.
Lorenzo Di Anselmo
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