
Cosa succede quando un avvocato a dir poco truffaldino incontra un onesto galeotto? Praticamente di tutto – sullo sfondo, beninteso, della consueta galleria di personaggi eccentrici e situazioni grottesche condite dalla graffiante ironia cui Daniele Ciprì, fin dai tempi in cui lavorava al fianco di Franco Maresco, ci ha ormai abituati.
Ed anche stavolta il marchio di fabbrica non tradisce le aspettative. Certo, il film, pur scandito nella parte iniziale da inquadrature fluide, dolly e movimenti di macchina che, calati nel contesto di malinconica rievocazione di un passato prossimo dai toni dimessi, paiono strizzare l'occhio al Sergio Leone di C'era una volta in America, pur caratterizzato dall'ottima resa fotografica che da sempre contraddistingue le opere del regista siciliano (anche operatore alla macchina), pur confezionato con mano ferma e sguardo caustico e disincantato, attraversa alcuni momenti di bonaccia, ha qualche pecca dal punto di vista ritmico, risente di un paio di gag abusate e di qualche personaggio meno riuscito degli altri.
Ma le invenzioni continue che si alternano incessantemente durante la narrazione filmica, la prova istrionica di un Castellito sempre in buona forma, la presenza sicura di un Papaleo convincente nei panni di un'ingenua e sfortunata vittima delle circostanze (e delle persone che gli sono più vicine), unite ad un montaggio efficace e ad una ricostruzione scenica di indubbia resa cinematografica, risollevano abbondantemente le sorti del film e, con esse, l'attenzione dello spettatore.
Nel frattempo, tra improbabili richieste di risarcimento e pittoreschi falsi invalidi, tuffi in un passato risalente e fumettistiche trasferte svizzere, la buca del titolo (alcuni mattoncini di una strada sprofondati per un cedimento del suolo) è sempre lì a simboleggiare icasticamente l'eterna tentazione di deviare dai sentieri codificati dal contesto sociale e dal quadro normativo; a stuzzicare gli appetiti di un ingordo e raffinato escogitatore di truffe. È un po' come uno stomaco insaziabile alla perenne ricerca di nuove prede da fagocitare, una bocca spalancata sul quartiere che incarna la voracità dei suoi abitanti, l'avidità dell'uomo che è lupo all'uomo.
Leggendo tra le righe dunque, il film, nel solco del consueto registro ironico-grottesco, si presenta come una metafora del malcostume dilagante, della corruzione che inesorabilmente si estende ai gangli vitali delle istituzioni, pervenendo ad una visione non certo edificante sia del Belpaese che dei suoi onorati cittadini (anche dei più innocenti tra loro, come i famigliari di Armando che dei parenti serpenti di monicelliana memoria paiono essere una delle più riuscite trasposizioni).
In un sistema allo sfascio emblematicamente rappresentato da un avvocato cinico e misantropo preoccupato esclusivamente di frodare il prossimo, da un medico compiacente che sforna falsi certificati medici come una catena di montaggio manufatti da destinare al mercato, da amici ritrovati che si improvvisano testimoni oculari di fatti che non conoscono, ma soprattutto da una giuria togata più preoccupata dell'esito di una partita di calcio che non di un processo in cui si decide sul destino di un uomo che ha passato ingiustamente dietro le sbarre la maggior parte della sua vita, l'unico modo per ottenere giustizia e riequilibrare le sorti di un'esistenza beffarda e iniqua è quello di ricorrere all'inganno. Ma il tutto è cucinato in una salsa agrodolce che fa del film un'opera gradevole nel suo complesso ed a tratti delicata e poetica con accenti chapliniani.
Gianfranco Raffaeli
Scheda del film:
Titolo originale: La buca
genere: commedia
origine/anno: Italia/2014
regia: Daniele Ciprì
sceneggiatura: Massimo Gaudioso, Alessandra Acciai, Miriam Rizzo
interpreti: Sergio Castellitto, Rocco Papaleo, Valeria Bruni Tedeschi
montaggio: Giogiò Franchini
fotografia: Daniele Ciprì
scenografia: Marco Dentici
costumi: Grazia Colombini
musiche: Pino Donaggio, Zeno Gabaglio
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