
Con il derby della Ruhr tra Borussia Dortmund e Schalke 04, terminato con la schiacciante vittoria dei gialloneri per 4-0, questo fine settimana ha segnato il ritorno in campo della Bundesliga, il principale torneo di calcio tedesco.
Un campionato senz’altro non tecnicamente ed economicamente lussureggiante come quelli inglese e spagnolo, ma senz’altro seguitissimo. C’era molta curiosità di vedere come le squadre in campo, nelle varie partite, avrebbero affrontato l’organizzazione “emergenziale”.
Di fatto, si è trattato del primo grande evento sportivo ripreso dopo questi interminabili mesi di quarantena. La sensazione, diciamolo subito, è che si è assistito a qualcosa di molto diverso dal calcio vero, o comunque da quello che ne era rimasto prima della sosta obbligata. Innanzitutto, l’assordante vuoto degli spalti nello stadio; quindi tutta una complicata e cadenzata “liturgia” per cercare di rispettare il più possibile l’ampio protocollo sanitario previsto, incentrato principalmente sul concetto del distanziamento fisico. Quindi si è assistito ad alcune curiose novità, come almeno due pullman per trasportare le squadre, panchine a bordo campo lunghe decine di metri, e poi la cosa più triste di tutte: l’esultanza in solitaria. Insomma la sensazione, dopo questo primo colpo d’occhio d’insieme, è che lo sport professionistico a questi livelli venga in queste ore relegato a una dimensione esclusivamente “da monitor” e fruibile solo “dal divano di casa”, estromettendo tutto il resto, in un contesto in cui si fa veramente fatica a distinguere il campo vero da una partita alla play station.
L’ufficialità della decisione di tornare in campo, nonostante la grave emergenza epidemiologica, che non ha certamente risparmiato pene alla Germania, era arrivata qualche settimana fa direttamente dalla Cancelliera Angela Merkel. Si è trattato sicuramente di una decisione clamorosa che, anche se ha a che fare “solo” con il calcio, presenta sicuramente il potenziale di un rischio molto alto; una partita, in questo caso a poker, con la sorte. La decisione tuttavia cela anche, e forse principalmente, il desiderio irrefrenabile di primeggiare da parte delle istituzioni tedesche. Voler dimostrare a tutti i costi una grande forza organizzativa anche in questo caso ed anche in questo contesto. L’amato calcio nazionale come simbolo di rinascita nel nome di una irrinunciabile voglia di mostrare al resto del Mondo le capacità logistiche e le risorse a disposizione dello Stato. Comunque sempre meglio di quanto, le autorità dello stesso Paese, decisero nel 1939.
C’è da dire che, almeno per il momento, l’intento è senz’altro riuscito, soprattutto se si pensa a quanto è già accaduto e accadrà, in altri Paesi. A cominciare dai “rivali” francesi che, forse un po’ troppo precipitosamente, c’è da dirlo, hanno deciso di interrompere la loro Ligue 1, assegnando le posizioni finali così come erano a metà marzo, quindi con la vittoria del campionato (che sarebbe arrivata comunque) assegnata al Paris Saint Germain. Lo stesso è accaduto anche da noi ma per altri sport e altri campionati, come il Basket o la Pallanuoto.
Tra le due posizioni estreme, ovvero il “finire subito” e il “riprendere con largo anticipo”, c’è il caos degli altri tornei. La Premier League inglese e la nostra Serie A, stanno così affrontando la situazione in preda a un grande stato confusionale che forse, in questo caso, si può anche giustificare. Tuttavia, mentre in Inghilterra alla federazione calcistica sono demandati poteri nell’ambito di una ampia sfera decisionale, in Italia è principalmente la politica a dettare i tempi e le modalità. Pertanto, acclarato che nei prossimi giorni torneranno almeno gli allenamenti collettivi delle squadre, è la gestione “comportamentale” e sanitaria a destare preoccupazione e, di conseguenza, ad alimentare il dibattito. Nelle settimane scorse si è assistito a un continuo “batti e ribatti” tra la FGCI e il Governo, in particolare con il Ministro dello Sport Spadafora, sul tema del protocollo sanitario da seguire, in vista di una ipotetica ripartenza del Campionato per il 13 giugno. In sostanza il mondo del calcio, con tutta la sua corte di sedicenti professionalità, a cominciare dai giornalisti “esperti”, vorrebbe una maggiore liberalità di movimento, mentre ovviamente le istituzioni chiedono il rispetto massimo delle norme contenitive di prevenzione e protezione, quindi in sostanza un ritiro prolungato e blindato di tutti gli appartenenti alle società, dai calciatori agli autisti del pullman.
Bisogna cercare di comprendere un aspetto fondamentale. Con buona pace della politica, chi segue il calcio e lo sport in generale, sa bene che l’applicabilità di norme comportamentali troppo stringenti soprattutto in nell’ambito “fisico” è praticamente impossibile, sia per le competizioni individuali che per quelle di squadra. Ad esempio, fermare in quarantena un intero organico nel caso della presenza anche di una sola persona contagiata o positiva al Covid-19, vorrebbe dire, di fatto, bloccare nuovamente tutto e creare una evidente e inevitabile disomogeneità tra le diverse squadre. Non è pertanto ragionevolmente praticabile tutta quella serie di provvedimenti incoerenti con il totale annullamento dei contatti.
Così, in attesa della riapertura dei bar, il dibattito tra i tifosi comincia a montare e si torna a parlare di calcio, o meglio, del complottismo della pedata, che ha creato tanti virtuali posti di lavoro, in attesa che si torni tutti assunti in qualità di CT della Nazionale. I macro schieramenti sono tanti e variegati, sicuramente superano per numerosità perlomeno la somma delle squadre di Serie A e di Serie B. Ovviamente, ognuno cerca di portare l’acqua al proprio mulino: c’è ad esempio chi vorrebbe fermare tutto perché ha paura di retrocedere, oppure che la squadra rivale cittadina possa alla fine piazzarsi meglio, oppure (questa cosa è molto diffusa) che l’attuale capolista possa “rubare” l’ennesimo scudetto, ecc ecc. E naturalmente c’è chi vede tutto assolutamente al contrario. Insomma, il solito menù, ai tempi del Coronavirus.
Una realtà forse più ragionata, tuttavia, dovrebbe condurre alla riduzione estrema di due posizioni contrapposte. Se, nonostante i tragici mesi trascorsi e l’emergenza, che non è affatto terminata, un po’ egoisticamente abbiamo il desiderio di metterci davanti alla TV e cambiare canale, rispetto alle interminabili “serie” (di episodi e titoli) che stiamo seguendo da più due mesi, andrebbe pure bene vedere una partita di calcio. La nostra coscienza probabilmente sarà perdonata, anche se ai calciatori miliardari fanno il tampone due volte a settimana, in un contesto di privilegio illimitato di un sistema assolutamente marcio. In fondo il calcio, anche per gli osservatori più accanitamente critici della società, è il modo e il mezzo di ritornare a quella dimensione irrinunciabile di bambino che è in ognuno di noi. Quell’anima parallela e nostalgica che ancora ogni tanto esce fuori e che non vuole per niente abbandonarci, proprio perché è ognuno di noi che vi si abbandona. Anche due ore a settimana sono sufficienti e a maggior ragione in vista di un periodo a venire che non si annuncia particolarmente allegro e sicuramente ancora molto “noioso”. Qualora invece, volessimo proseguire nella comunque giusta battaglia contro un Mondo così distante dalle realtà quotidiane vissute nelle nostre case e nei nostri quartieri, opponiamoci con la stessa libertà di opinione a questa ripresa. Però, almeno, facciamolo sempre, anche dopo, ovvero quando ci sarà nuovamente un “durante”, trasmesso in diretta intercontinentale su tutte le TV.
Cristiano Roccheggiani
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