
Non era stato difficile, parlando di eredità enogastronomiche della Transumanza prevedere i successi dei tre vitigni autoctoni abruzzesi: Pecorino, Passerina e Coccocciola. I primi due dal successo già esploso da tempo mentre la Cococciola, a causa di un “innesco” più tardivo ma non meno meritevole, ha visto concessa la ribalta solo successivamente. È del 2010 la concessione della Doc per una zona di produzione che, dalla provincia di Pescara ai confini con quella Aquilana, procede in direzione transumante verso Chieti per continuare verso Puglia Foggiana e delle Murge. Gli ettari vinificati a Cococciola non sono tantissimi, intorno a 500, ed utilizzano l’allevamento a tendone abruzzese anche se, dato il successo che secondo alcuni è autorevole in produzioni di spumantizzazioni ottenute con metodo Classico o con metodo Charmat, saranno destinati a salire negli anni a venire. Per noi la versione ferma garantisce già un’ottima beva.
L’occasione per rispolverare una degustazione degna ad un abbinamento di cibi espressione della cucina di pesce del territorio ci viene concessa nell’incontro programmato con un gruppo di amici storici. La serata estiva, da clima non proprio gradevole anche se giungono in aiuto delle leggerissime brezze marine, si impenna subito emotivamente sulle note piacevoli dei ricordi …dei migliori anni, direbbe l’artista un tempo trasgressivo ed adesso melanconico. E’ anche automatico e piacevole notare che alcuni consolidati rapporti sono rimasti immutati e ricchi della stessa condizione goliardica, mentre altri, purtroppo, non nascondono alcune crepe, non determinanti, ma segno ineluttabile dell’età che avanza e lascia il segno.
Il locale gradevole nell’arredo è sul mare, tra la periferia di Pescara e Francavilla. Michelone ci ha preannunciato telefonicamente di aver avuto del pescato del giorno interessante cosa che arricchisce l’attesa della degustazione, già appagante nelle previsioni per la sicurezza di poter contare su un’offerta di crudi adeguata. Scegliamo come vino una Cococciola delle colline pescaresi, un IGT con vigna in territorio di Loreto Aprutino. Sappiamo essere ricca di quelle note acide a noi necessarie per esaltare le delicatezze ma anche le impennate del gusto dei crudi che attendiamo. Il prodotto è commercializzato quasi in purezza, il disciplinare consente un 5% (consentito fino al 15%) di moscato che probabilmente aiuta ad affrontare le note aromatiche di alcune pietanze. All’inizio sembra una scelta che non convince del tutto perché la bottiglia giunge sul tavolo non perfettamente a temperatura. L’uso di un cestello di ghiaccio del quale siamo dotati immediatamente dopo ci conferma la giustezza della scelta. Il colore giallo paglierino tenue con leggere tendenze al verdognolo, preannuncia una leggerezza alla degustazione che però diventa subito ricca per il profumo adeguato di fiori bianchi e per una persistenza in bocca che non ti aspetti ma c’è. In bocca le note agrumate e di acidità importante arrivano immediatamente.
Il nome commerciale della bottiglia ricorda l’atteggiamento servizievole e non protagonista delle ancelle di epoca romana, dedite a servire il vino da fresche caraffe. Troviamo pertinente questo paragone con il vino che stiamo bevendo. Si mostra capace di adattarsi alle pietanze con facilità disarmante, non balza mai al centro della degustazione ma risulta in grado di far diventare piacevole binomio l’accostamento, con crudi tradizionali o altri abbinamenti curiosi ed interessantissimi al gusto.
Iniziano ad essere percepiti i leggeri versi e sguardi di approvazione non appena la tagliatella di calamari, cipolla rossa e peperoncino si incammina verso la fine per la quale è stata servita come pure accade alle pannocchie e lime ( stracciavocchƏ in dialetto ma a noi sono servite già sgusciate).
Le manifestazioni di gradimento diventano un coro unanime non appena si continua con gambero viola, ricotta e riduzione di lampone, gambero rosa pesche e frutto della passione, la delicata tartare di sogliola pere e parmigiano, per passare poi alla contrapposizione del gusto intenso della triglia con mirtilli.
La Cococciola dà l’impressione di essere vinificata per accompagnare questi antipasti. Scopriamo dopo quanto sia in grado di reggere primi piatti ricchi come può essere un pacchero con filetti di una gallinella dal turgore perfetto e dalle equilibrate sensazioni gustative di elevata sapidità. Ma, la sorpresa che non ci attendiamo, arriva quando Michelone ci annuncia di essere stato rifornito di una modica quantità di ricci da proporci in un assaggio di linguine che ci vengono servite in modo prezioso anche se, purtroppo, parsimonioso. Il piatto è davvero curato e perfetto fin nei dettagli minimi. Delicate sensazioni che distingui perché il gusto ci ha rapito. Automaticamente raddoppi il livello di attenzione per cogliere qualsiasi sensazione, anche quelle ad intensità non importante. Un sottilissimo senso di limone esalta ed accompagna la pasta che scivola via catturando le gonadi di riccio in modo uniforme esplodendo nel palato nella ricchezza ed intensità che solo il riccio di mare riesce a conferire. Strano che tanta bontà possa non essere gradita e che abbia realtà il detto che si tratta di piatto di amore intenso o di uguale disapprovazione.
Abbiamo conferma successiva dallo chef che i ricci sono stati delicatamente aggiunti non alla pasta fumante ma solo dopo che era svanito il bollore immediato post cottura, cosa questa che ha garantito una mancata modifica, causa alta temperatura, del prestigio delle note gustative del Paracentrotus lividus. Chi avrebbe potuto, attraverso questo nome scientifico, prevedere l’eccezionalità e l’intensità del gusto che elargisce l’echinoderma noto in modo più rassicurante come riccio di mare? Anche in questo caso la Cococciola non mostra alcun tentennamento. Risulta parte integrante dell’abbinamento rendendolo ancora questa volta armonico. Strabiliante come da una bottiglia, che poi scopriremo essere apprezzabile anche nel prezzo probabilmente per un ricarico rispettoso dei consumatori applicato in questo locale, possano arrivare sensazioni che sono proprie dei vini prodotti nei territori di Loreto Aprutino e che appartengono all’eccellenza enoica internazionale.
Il cremoso al pistacchio conclusivo, preparato dalla compagna di Michelone, è testimone di un assalto comune dell’intera tavolata al dolce appena servito. Solo una nostra amica, probabilmente per scrupoli dietetici più psicologici che sostanziali, lascia metà barattolino che comunque viene aggredito da chi è convinto che anche quel dolce non possa meritare una non totale, completa, esaustiva, appagante degustazione.
Emidio Maria Di Loreto
-----------------------------
-----------------------------
Se sei giunto fin qui vuol dire che l'articolo potrebbe esserti piaciuto.
Usiamo i social in maniera costruttiva.
Condividi l'articolo.
Condividi la cultura.
Grazie