La crisi in Venezuela tra opposizioni interne e internazionali

Venezuela Delta Orinoco indios
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Il Venezuela dal 2014 è in una crisi che ha portato il paese ad un arretramento della sua economia per un 18% circa fino ad oggi. Senza dimenticare la grave siccità aggravata dal Niño e le inefficienze, inadeguatezze del governo e la diffusa corruzione, il principale responsabile è il tracollo del prezzo del petrolio che agli inizi della crisi era prossimo ai 100 dollari e ora è meno della metà con punte a 26 dollari all’inizio del 2016. Con il 90% delle entrata statali derivanti dalla vendita del petrolio si capisce come lo Stato non sia più in grado di fronteggiare molte delle spese.

Il più importante errore commesso in questi anni di socialismo bolivariano è stato quello da una parte di non aver saputo mettere accumulare, durante il boom petrolifero, risorse per affrontare i periodi di magra e dall’altra non essere riusciti a diversificare le attività produttive del paese. Bisogna però ricordare che in questi anni, tra Chavez e Maduro, molte di queste risorse sono servite a migliorare le condizioni della maggior parte della popolazione povera nonostante che per anni il governo sia stato continuamente attaccato dalle forze economiche interne al paese sostenute da ambienti politici ed economici americani sempre interessati a gestire le immense risorse naturali venezuelane. E non va nemmeno dimenticato che dai primi decenni del secolo scorso, quando il petrolio è stato scoperto nessun governo aveva mai resa partecipe la popolazione di questa rendita.
Così ora, diversamente da quanto successo in Arabia Saudita dove sono stati accumulati fondi negli anni di boom, come spiega in un ardito parallelo Gwynne Dyer [1], il Venezuela e i venezuelani poveri vivono un periodo di grandi difficoltà.
Oggi si è arrivati alla paradossale situazione per cui il governo di Nicolás Maduro non ha sempre i soldi per far stampare le banconote (in Venezuela sono autorizzati anche i privati), quest’ultime stampate in grandi quantità per affrontare la spesa pubblica tanto che l’inflazione potrebbe raggiungere alla fine dell’anno il 720 per cento nel 2016 e del 2.200 per cento nel 2017 secondo alcune stime del Fondo monetario internazionale [2]. Per la gioia di tutti quelli che si arricchiscono con il mercato nero. I dipendenti pubblici, per mancanza di elettricità, lavorano oramai solo due giorni a settimana; negli ospedali mancano antibiotici ma anche semplici detergenti o guanti e le apparecchiature non si riescono  a riparare; la mortalità infantile negli ospedali pubblici, è cresciuta esponenzialmente [3]; nei supermercati pubblici le file si allungano ed è sempre più difficile trovare beni da acquistare. Dal 13 maggio del 2016 il presidente Maduro ha dichiarato lo stato d’emergenza.

Venezuela Ciudad Bolivar
Venezuela, Ciudad Bolivar. Foto Mario Bertini

Le cronache sui media internazionali sono tutte rivolte a mettere in risalto la gravità della situazione aiutando le forze interne ed esterne a far arrivare al collasso definitivo, magari anche con una buona dose di violenza, mettendo così fine ad un modello di gestione che aveva e sta guardando verso il basso. Perché nonostante tutto il governo in carica continua a far crescere i salari, anche se non basta a causa dell’inflazione galoppante, a distribuire cibo, a non abbandonare il supporto alle scuole di ogni ordine e grado.
Il sospetto che a livello internazionale si guardi da una sola parte e non si vedano le pesanti responsabilità di certi ambienti economici lo si può capire, per esempio, da quanto riporta Geraldina Collotti: «l’impresa Ovomar, con sede a Santa Cruz (comune di Lamas, nello stato Aragua) ha buttato nella spazzatura 3 milioni di uova di gallina, tenuti nelle dispense dall’ottobre del 2015 pur di non venderli a prezzi regolati. E sta facendo molto discutere un reportage censurato in Spagna dal giornale Abc, in prima linea nella battaglia mediatica contro Maduro. Per spiegare la crisi economica in Venezuela, il giornalista aveva intervistato Agustin Otxorena, un imprenditore basco che vive a Caracas. L’imprenditore aveva mostrato come nei supermercati dell’est di Caracas (le zone ricche), gli scaffali sono pieni quanto il portafoglio degli abitanti, mentre i prodotti scarseggiano nei quartieri popolari» [4].

Questa grave crisi è anche figlia di una guerra politica, spesso sporca, combattuta contro il chavismo dalla destra per destituire i presidenti democraticamente eletti. Dopo la vittoria alle legislative del 6 dicembre scorso la Mesa de Unidad Democrática (Mud), guidata da Henrique Capriles Radonski per interrompere il mandato del Presidente che scadrà nel 2019 ha iniziato l’iter per la sua destituzione così come previsto dalla Costituzione Dopo la prima raccolta, il referendum potrà essere effettivamente convocato quando saranno raccolte circa 4 milioni di firme e in caso positivo si andrà alle urne e se 7,5 milioni di persone voteranno contro Maduro si andrà al voto in caso di referendum svolto prima del 10 gennaio 2017 o verrà sostituito dal vice-presidente se il referendum si svolgesse dopo il 10 gennaio.
Una situazione di scontro totale tra le parti politiche che nemmeno il tentativo di dialogo promosso dalla Unasur, con l’appoggio di papa Bergoglio, nella Repubblica dominicana ha ottenuto qualche risultato per l’immediata rinuncia a partecipare della Mud. Nel frattempo il segretario generale dell’Organizzazione degli stati americani (Osa), Luis Almagro vorrebbe applicare l’articolo 20 della Carta democratica al Venezuela, un articolo che prevede sanzioni in caso di «alterazione dell’ordine costituzionale che minaccia gravemente l’ordine democratico». In più si potrebbe anche aprire la strada ad un intervento esterno di tipo “umanitario”. Tra le notizie che poi non si evidenziano è la totale avversità, eccezion fatta per il Paraguay, degli stati membri, il 23 giugno scorso, ad un voto contro il governo di Maduro.
Quello in cui sperano le destre, i poteri economici interni ed internazionali è quanto ha dichiarato dal neoeletto presidente peruviano Kuczynski circa la necessità da parte di Maduro di dover accettare l’aiuto del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale e per questo «a invitato i presidenti di Brasile, Argentina, Cile e Colombia “ad alzare la voce” contro di lui. E ha assicurato che, quando assumerà l’incarico, il 28 luglio, parteciperà “a uno sforzo latinoamericano per il ritorno alla democrazia in Venezuela”. Il Perù è uno dei perni dell’Alleanza del Pacifico e del grande Accordo commerciale Transapacifico (il Tpp) realizzato dagli Stati uniti l’anno scorso» [5].
È un percorso che è stato voluto e forzato in altri paesi dell’America latina con il Brasile in testa. La balcanizzazione del continente consentirebbe di accaparrarsi le ingenti risorse disponibili e mantenere un dominio geopolitico.
A proposito del modo in cui vengono raccontate i temi della crisi venezuelana vale pena leggere quanto scrive Roberto Da Rin che chiarisce quanto il governo sia stato, nonostante tutto, rispettoso dei rapporti con le istituzioni internazionali: «l’economia del Paese è al collasso. Anche se i timori che il Venezuela sprofondasse in un default già nel 2015 si sono dimostrati infondati. Il Paese rimane comunque esposto per 62 miliardi di dollari. È questo il debito sovrano sommato a quello di Pdvsa, il colosso petrolifero nazionale. Eppure il Paese continua a pagare gli interessi sul debito, puntualmente; lo ha fatto in maggio e in giugno. A dispetto dell’erosione delle riserve della Banca centrale di Caracas, ormai inferiori ai 12miliardi di dollari»[6].
Pasquale Esposito

[1] Gwynne Dyer, “Perché il Venezuela è sull’orlo del baratro e l’Arabia Saudita no”, http://www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2016/06/24/venezuela-arabia-saudita-petrolio, 24 giugno 2016 Traduzione di Federico Ferrone
[2] “Il Venezuela sta collassando”, http://www.ilpost.it/2016/05/29/venezuela-collasso/, 29 maggio 2016
[3] Nicholas Casey, “Negli ospedali mancano gli antibiotici e l’acqua”, The New York Times, nella traduzione de Internazionale, pagg. 20-22, n. 1154 del 2016
[4] Geraldina Colotti, “L’affondo sul Venezuela”, https://web.archive.org/web/20210924152646/http://ilmanifesto.info/laffondo-sul-venezuela/, 2 giugno 2016
[5] Geraldina Colotti, “All’Osa, golpe strisciante contro Maduro”, , 15 giugno 2016
[6] Roberto Da Rin, “Venezuela, più vicino il referendum revocatorio”, http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-06-25/venezuela-piu-referendum-revocatorio-214259.shtml?uuid=ADAbQJj&refresh_ce=1, 25 giugno 2016

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