
In un precedente intervento ho indagato sulle contaminazioni parallele, a supporto dell'Urbanistica in affanno, anche attraverso similitudini terminologiche, derivate da altre discipline, per renderla, forse, meno astrusa e meno complessa. Esempi ultimi, tratti dalla Fisica, come resilienza, porosità o da derivazioni biologiche come metabolismo urbano, rigenerazione urbana, quest'ultima intesa come fenomeno più generale e sostanziale (resuscitare?). E così tanti altri accoppiamenti “in aiuto”. Anche in modo appropriato rispetto all'eco-ambiente, che, invece di essere interno all'Urbanistica, si è reso autonomo, “a supporto” esterno.
Termini comunque tecnici-tecnicistici, che non fanno volare l'Urbanistica più di tanto. Che deve, invece, approdare e salire verso una sua nuova consapevolezza globale, come sommatoria, integrazione dell'intero pensiero umano nello spazio-ambiente sostenibile ed oltre. Quindi in termini filosofico-urbanistici.
Il problema ricorrente dell'Urbanistica ansimante è, forse, quello di essere sempre in ritardo (sfasatura), rispetto ai fenomeni umani e sociali reali, e al progresso scientifico-tecnologico, che corrono più veloci. Dovendosi così adattare alle “città caotiche”, che, d'altra parte, non cambiano mai. Anche se tra una decina d'anni (circa) le città dovranno per forza cambiare in “altro” e, questa volta, “in anticipo”.
A supporto dell'Urbanistica dovrà esserci soprattutto la Filosofia, più di altri riferimenti di superficie. Perché la Filosofia non stabilisce solo analogie e riferimenti terminologici, ma può anche offrire “applicazioni” più profonde, operative ed adattabili alla Città. Invece la Filosofia è ancora fuori da questi incroci urbani, salvo sporadici riferimenti. Filosofia madre di tutti i “perché” e dei grandi dubbi amletici urbani, fermi come per aspettare l'autobus. La Filosofia sbroglia, chiarisce, diventa la “rotatoria” felice delle domande e delle risposte.
L'Arte, con i suoi rispettivi movimenti fondativi, già da lungo tempo, o forse da sempre, è sposata, non di nascosto, con la Filosofia. Con cerimonia per pochi intimi.
Forse è l'Urbanistica che fa l'altezzosa? No. È solo impigliata nelle mere applicazioni disciplinari e tecniche-tecnicistiche, pur essendo meno tecnica di come pensiamo, perché dotata di un fondamento culturale umanistico massimo come nessuna altra “disciplina” (perché “disciplina” non è). Città come Uomo. Uomo come Città. L'urbanistica ultima, in particolare, subisce attacchi sghembi anche dai nuovi supporti digitali che, invece, potrebbero aiutarla, e non solo in termini algoritmici rigidi. Urbanistica nuova, allora, con vocazione rivoluzionaria buona, definibile come un “umanesimo culturale contemporaneo” totalizzante. Uomo, Spazio, Ambiente.
Per tanti versi la Filosofia è la solita cartina tornasole di nuovi avanzamenti epocali, in specie della coscienza collettiva dell'uomo e della sua urbanistica. È stata una infinita “transizione” sociale , globale, traslata nella forma delle città, dove le persone vivono, operando ulteriori “transizioni” in un ciclo interminabile. Le transizioni recenti e globali non sono una novità. L'Urbanistica, in tal modo diventa “arte sopraffina a supporto dell'uomo, la più complessa che esista. Dove tutti i saperi umani convergono. Non è mediazione, ma assoluto concettuale. Per questo la Filosofia è necessaria.
Le attuali città intristite segnano il passo sotto la dominazione di infinite e continue mode culturali, sempre più veloci, che passano come folate di vento. Parallelamente alle mode e ai movimenti culturali e artistici, come quelli del ‘900, che facevano a gara nel sopraffarsi e succedersi, rimanendo sempre allo stesso posto. Nel caso urbano si è trattato di paralleli modelli operativi che si sorpassano, anche in termini di strumenti di pianificazione, che hanno definito intere generazioni di applicazioni urbanistiche. Ultimamente sono i Piani-Programmi integrati, le varie tipologie di Riqualificazione… di Rigenerazione, MasterPlan, Piani strategici, eccetera. In ultimo si pensa che la sostenibilità possa rappresentare la sommatoria definitiva di tutto, compresi i drammatici cambiamenti climatici e gli inquinamento eco-ambientali globali. Mode che si protraggono solo sotto qualche passeggero e illusorio maquillage. “Neo”, “Post”. Oppure, ultimamente con movimenti che non hanno più nomi caratteristici, ma “temporali” : moderno, contemporaneo.
L'urbanistica non è stata, per la verità, nel passato recente un buon paziente e nemmeno un abile infermiere di città. Può salvarsi da sola solo ritornando “attrice di azioni urbane”, e non solo in termini di salvataggio. Attraverso una inedita “Filosofia della Città, con terapie anche ribaltanti.
La Filosofia della Città dovrà entrare nel profondo degli “ipogei urbani”, “conformando” la Città -cioè dando forma solida rispetto alle sole e dilaganti “icone” urbane – con reciprocità di relazioni, come scambio tra l'Uomo, che vuole riconoscersi nei suoi luoghi urbani appropriati, e la Città che funge come “specchio” in positivo delle esigenze umane. Come le Eterotopie urbane di Foucault. Con questo contribuendo ad evolvere la stessa Filosofia, ferma, anch'essa, da un po' di tempo.
Dovremmo esercitarci, allora, per introdurre, in modo adeguato e nuovo, la Filosofia nei gangli urbanistici più conservatori (quelli tecnicistici), per dare più facile spazio a visuali libere e fluide in tutti i sensi. Nel vivo degli spazi interscalari micro e macro, adattandoli alla “immateria” dei nostri pensieri. Così come era l'Urbanistica dei secoli scorsi, quando non esisteva come disciplina esplicita, perché la Città si faceva da sola, con il pensiero collettivo. Ovvero per voleri unitari del Principe, del Vescovo o chi per essi, con potere di definire contesti urbani unitari. Ora la Città è polverizzata nella iniziativa di molti, perdendo “forma unitaria”. Sempre che, rispetto a tutto questo nuovo fervore, non sia, a sorpresa, più veloce il “virtuale urbanistico”, che tenterà esso stesso il sorpasso epocale in nostra vece, rovesciando.
Proviamo allora a fare presto, applicando alcuni antichi e recenti principi filosofici, che sembrano pensati apposta per la città. Togliendoli dalle loro stanze chiuse di una presunta vaghezza, e trasformandole in veri e propri “strumenti” operativi di vita nella e per la città.
Con questa logica, del resto, la filosofia si è già introdotta dentro altre discipline, fino a qualche tempo fa autonome. Filosofia della storia, della scienza, dell'industria, dell'arte, della musica e via discorrendo. Aspettiamo che la Filosofia entri nell'urbanistica o l'urbanistica filosofica.
Per saperlo dobbiamo intraprendere un percorso di esperienze, anche personali, su di noi, con gli altri, e sugli spazi che viviamo insieme. Aumentando il concetto di urbanità (effetto Città).
Potremmo, per esempio, rifarci al concetto filosofico dell'attuale momento (informale), incentrato e ridotto sul concetto simil-filosofico dell'eterno “presente”. Una “derivazione dell'ultimo esistenzialismo”, depurato delle sue derive conclusive, talvolta nichiliste. E che noi, in modo forse esasperato, e in ragione anche degli ultimi eventi drammatici, tendiamo ad appiattire solo in ragione del tempo “presente”, somatizzando la voglia di vivere “momento per momento”. Ritenendo il passato non più come nostro vissuto didattico, e il futuro, punto interrogativo talvolta inquietante. Ovvero solo come lenti d'ingrandimento del “presente”. Non distinguendo tra “ricordi” e “memoria”, i primi intesi come frammenti, la seconda come sintesi esasperata, oggi affrettata, per risolvere la vita come improvvisazione (emergenza).
Il futuro resta, allora, anch'esso una “figurazione al momento”, non più “progetto lungo”. Pittura veloce all'aria aperta. Impressionista. Ovvero icona, più scivolosa che mai. Ogni attimo vissuto ora, non come successione lineare di istanti, ma “rotazione temporale”, circolare o sferica, dilatata o concentrata, di “passionale al presente”.
La città dell'oggi è, così, ancora più ingessata di prima, dentro le sue convulsioni, solo raccogliendo pezzi di frammenti storici, e ricomponendoli con approssimazione frettolosa.
Anche la nuova urbanistica rischia di saltare a piè pari il passato, così intravedendo sempre più sfocato il futuro. Alla ricerca di nuovi “atteggiamenti” superflui, apparenti, o a tutti i costi. Non più “modelli” razionali lunghi, come una volta, ma “strategie di “presente”, mettendo in crisi lo stesso criterio strategico. Sballando, ovviamente, le “tempistiche giuste” (puntualità sghemba). Il Presente è cronometrato sui centesimi di secondo. Il passato è troppo lungo, e stanca quando arriva al presente urbanistico. E così che usiamo scorciatoie frettolose per il futuro.
È l'ipotesi di un'urbanistica “dell'immediato precedente” e “dell'immediatamente successivo”, come una ruota/sfera veloce, senza inizio e senza fine, che rotea su se stessa, senza attrito o con attrito. Parallelo “paradigma all'attualità” dello spazio urbano, anch'esso declinato sull'esistenza spettacolarizzata, sulla “estetica solo vista”, non anche guardata. Che ragiona nel tempo dovuto. Presente/passato/futuro insieme, nel concetto nuovo di “contemporaneità”. Tout court senza interruzioni o rimandi.
Utilizziamo questo frenetico presente, invece, come “performance” continua di scenari urbani stimolanti, di vita “preparatoria” (sostenibile in modo insolito)! Anche l'arte contemporanea fa questo, con le performance, le installazioni e altro, per pensare emozionalmente (molto più che solo pensare), e non per appendere quadri al muro. Ci saranno sempre gli scettici del “questo sapevo farlo anch'io”, ma che non sanno “pensare” ed inventare, per esempio come rendere fruttuosi i nodi intrecciati di un presente ansioso. La “città presente” si trasformi, allora, in una “performance creativa”. Questo è il segnale concreto ed in un certo senso operativo del nostro “presente urbano”.
Non più teorie di trend, di archi previsionali medi-lunghi, progetti astratti, persi nelle sole “divinazioni”. Anche qui non vale più la prassi dei Piani urbanistici appesi al muro, come libri sacri, e loro attuazione improbabile (e pentimenti anticipati). Anche qui un “Esistenzialismo urbanistico” proficuo, non provvisorio. Non il solito film della Città a spezzoni, sullo scenario di un'esistenza liquida (come dice Bauman), in transizione sparsa. “Emozione di contemporaneità estemporanea”, come nuova civiltà “essenziale”. Abbandonando gli algoritmi alternativi con quelli necessariamente “plasmabili”, non affidati a tecnologie parallele, da applicare solo nei momenti nevralgici, secondo eventi impertinenti, ma algoritmi sempre più umanizzati, cioè fluidi anche rispetto alle Città. Nemmeno sceneggiature e dietro nulla. Non città come reality della la vita urbana in diretta, sapendo che ci sono le telecamere che ci spiano. Non città con pseudo controfigure statiche, come oggi è. Città sia pure concentrate sull'“esistere” che sull'”essere”, ma con la convinzione che nell'esistere inventare qualcosa di più.
Alcune recenti espressioni artistiche parallele, “presentiste”, come il “concettualismo”, riportano l'estetica dentro l'oggetto in se stesso, in senso esistenziale senza tempo. Forse a favore di spazio e luoghi. Il concetto-pensiero porta nuovi riferimenti necessari dentro la città, che si conferma come una tela sensibile, poco utilizzata rispetto a tutte le sue calamite, come il nostro cervello usato al trenta per cento. Torniamo a utilizzare tutte le loro prerogative. Le pietre della città diventano parole e pensieri. La nostra mente il nostro nuovo computer.
L'arte concettuale della città si spoglia della sua estetica “eternizzante”, facendo della città un “organismo vivo” come una volta. Con un'estetica che si adatta a noi che “esistiamo”. Senza dover camminare all'indietro, ma nemmeno stare fermi nel “presente”. Il futuro è l'unica strada. Occorrono, allora, alcuni strumenti ausiliari, che dobbiamo riconoscere anche ex-novo. Per esempio ritornando alla “Semiotica urbana”. Ad iniziare anche dalla significanza nominale dei “luoghi urbani“, ragionevolmente trasformando la toponomastica classica. Pur nel rispetto di personaggi rappresentativi, potremmo comunque esaltare la toponomastica simbolica dei luoghi attraverso oggetti urbani urbanizzanti, edifici, monumenti, segnali parlanti di “riconoscibilità” immediata e diffusa.
Un esempio in questo momento a me vicino è quello di Pescara, dove si vuole cancellare “piazza Salotto” (immaginifica) con un astratta “Piazza della Rinascita”. Esaltando tanti altri esempi eccellenti : “Porta del mare”, Piazza del campo, Piazza della Signoria, Piazza del Miracoli… Mi ritorna in mente l'esperimento di Kevin Andrew Lynch, che disegnava le sue “planimetrie urbane” solo sulla base di informazioni sull'orientamento urbano. Disegnando le originali indicazioni ottenute in immagini di una più facile planimetria urbana di riconoscibilità immediata (l'immagine della Città).
Anche l'arte nelle piazze e nelle strade, deve concorrere a diffondere il senso emozionale che viviamo parallelamente. Con “oggetti” performanti/conformanti in espansione concettuale, se non in movimento vero e proprio, che coinvolgono il vivere in tempo reale. Architetture che non “si affacciano soltanto”, ma che ci osservano e ci seguono con colori, luci, ed altro. “Concettualismo di presenza urbana”, e di contestualità, “in e dentro il tempo reale”. Light art proiettata sugli edifici, anche se si tratta di attualità e pubblicità. La bandiera italiana proiettata sull'edificio di Montecitorio a Roma. Addirittura leggere le news sugli edifici, oltre che sui tabelloni. Anzi edifici-partecipanti invece che tabelloni o insegne. Aumentando i coinvolgimenti urbani. Street art, non solo macro pitture murali iper-reali, ma anche continuità urbane, in espansioni visive urbane anche illusorie (Eterotopie).
Mi sono ricordato, così, anche della filosofia delle Eterotopie del filosofo francese Michel Foucault, intese come esplosioni concettuali traslate e duplicate, allontanate o ravvicinate. Un Barocco contemporaneo. Anche in termini di eventuale “opposizione” o “equivocati” dentro significati concettuali comunque complementari aggiunti. Le superfici specchiate (gli edifici di vetro), il reale-irreale invertito; il cinema, il teatro, luoghi comunque di fantasia aggiunta, inclusiva; l'albergo, come spazio abitativo concentrato; il treno, la nave, l'aereo, spazi sbilanciati dell'andata e del ritorno, le caserme, le prigioni, gli spazi trasmutanti, i cimiteri, luoghi-incontro della città dei vivi e dei morti; eccetera. Distopie intese come traslazioni di realtà, opposte alle utopie, la cui realtà è solo desiderio. Aggiungendo anche i non-luoghi di Marc Augé. Esempi che rendono mobili le città, le piazze e le strade, scambiandosi pelle, facce e facciate, simboli e funzioni. Ampliando, duplicando, “complementando”. Secondo un parallelo “dizionario di sinonimi urbani”. Ovvero di link urbani ipertestuali ramificati usando la sintonia con altri strumenti urbani. Per esempio la “porosità urbana” (similitudine fisica), per creare “cannocchiali urbani” di vario tipo. Per intravedere quello che sta davanti, dietro, di lato, moltiplicando le prospettive. Edifici di contrappunto, di quinta, di ribaltamento. Oppure giocare con gli stessi volumi tra loro. Non soltanto con i frivoli “planivolumetrici”, che sono belli solo se visti dal satellite, ma anche creando contrapposizioni volumetriche di concavo e convesso, di intersezioni ed incisioni volumetriche. Ampliando e moltiplicando.
Le eterotopie di Foucault le immagino continue alle fenomenologie di Edmund Husserl, filosofo logico-matematico tedesco, curioso della intelligenza artificiale. Husserl è intento a “riscoprire” il segreto della vita (le città ), riavvolgendo, daccapo, l'intero papiro della conoscenza e della esperienza, attraverso il metodo della “fenomenologia”, intesa come strumento di introspezione ab origine della esperienza personale, spinta al limite. Non con l'intento di “cancellare” il già costruito, quanto “ricostruire” attraverso nuovi percorsi mentali, e diverse interpretazioni di contemporaneità esistenziale, anche superando le precostituite visioni/convenzioni della “educazione” mentale imposta dalla società. Riscrittura di vita e di pensiero, in ciò tendendo a rendere più fluido anche l'avanzamento culturale poi collettivo ampliato. Metodo fenomenologico esportabile, ovviamente e più facilmente nella città, come uno svolgimento (contrario di avvolgimento) delle immagini urbane, e ricomposte, anche senza demolire, ma “aggiungendo” o travisando. Lo strumento magico dell'approccio fenomenologico di Husserl è la cosiddetta epochè, sospensione. Un esercizio per fermarci e ri-arrotolare i nostri percorsi mentali, e ricostruirli anche in modo nuovo, diverso, mantenendo un confronto attualizzato con la storia, necessaria congiunzione, qui storico-filosofica, per modificare la nostra nuova “Architettura della Città”.
L'applicazione urbana della fenomenologia di Husserl chiama in causa, in modo più complesso, la figura di nuovi “cultori delle città”, i filosofi urbani, o gli architetti-filosofi. Anche attraverso “team operativi” misti-multi, indirizzati alla città come una nuova “fenomenologia” globale, multi tutto, creativa, continua. Qui le eterotopie diventano strumenti subordinati. È anche questo un ciclo.
Saranno i cittadini a delineare, in prima ed ultima battuta, le nuove città, secondo i loro avanzamenti culturali personali e collettivi, usando i nuovi strumenti filosofici, e, così, costruendo una loro nuova etica urbana. In termini essenzialmente “formativi”, più che “educativi”.
Con i filosofi torneranno gli architetti puri, in quanto tali, irrinunciabili artefici concettuali di città, in ogni tempo e luogo. Gli architetti saranno sempre gli architetti. All'opposto di Platone, che nella sua “Repubblica” individuava i filosofi come i “governanti ultimi” delle Polis. Che, poi, era solo una utopia. La favola continua.
Eustacchio Franco Antonucci
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