
“La vita è quello che rimane dopo aver aperto la scatola”. Questa è una delle prime frasi dello spettacolo: “Ucciderò il gatto di Shrödinger” di Gabriella Greison andato in scena ieri sera 24 Aprile al Teatro Nuovo di Salsomaggiore Terme, in streaming e rigorosamente senza pubblico in sala. La pièce è tratta dall'omonimo libro, sempre della Greison. Lo spettacolo è stato interpretato, oltre che da Gabriella Greison, anche da Marco Caronna che ne ha curato la regia, il tutto completato dalle coinvolgenti musiche di Fabio Cinti.
Andiamo con ordine. Riprendendo la frase iniziale: quale vita? Quale scatola? La vita è quella di Alice, una ragazza di 28 anni, che ancora non ha fatto la sua scelta. 28 anni, infatti, è l'età alla quale si svolta, afferma Alice, l'età alla quale si deve dare un senso alla propria vita compiendo la prima grande scelta, giusta o sbagliata che sia. Lei questa scelta non l'ha ancora fatta e vive sospesa in una “nuvola di probabilità” dove tutto ed il contrario di tutto si sovrappone come negli stati quantici della Meccanica Quantistica. Perché è anche, e soprattutto, di Fisica Quantistica che parla questo spettacolo.

Dunque veniamo alla “scatola”. Questa è la scatola del “famoso gatto”, quello del paradosso di Shrödinger, quello dell'esperimento mentale sul quale si sono scontrati Bohr e Einstein per anni. In breve questo “gedankenexperiment”, esperimento mentale, vede un gatto chiuso in una scatola assieme ad un isotopo radioattivo e ad un'ampolla di veleno. Quello che sappiamo dell'isotopo radioattivo è che prima o poi decadrà, emettendo delle particelle, ma non sappiamo quando se non con una certa probabilità. Il decadimento è rilevato da un contatore geiger che farà in modo di rompere l'ampolla del veleno che ucciderà il gatto. Ricordo che questo è solo un esperimento mentale e nessun gatto reale viene utilizzato. Comunque il succo del discorso è che l'osservatore fuori dalla scatola non sa con esattezza quando l'isotopo decadrà, non conoscerà lo stato del gatto fino a che non aprirà la scatola determinando così, con la sua osservazione la vita o la morte del gatto che, fino a che la scatola è rimasta chiusa, è in uno stato di sovrapposizione di vita e di morte contemporaneamente. L'osservazione quindi determina “il collasso della funzione d'onda di Shrödinger” determinando quindi la sorte dello stato quantistico del sistema.
Metafora della vita di Alice che vive ma non vive, che si veste sempre allo stesso modo in ogni occasione, una tuta, quella gialla utilizzata da Uma Thurman nel film “Kill Bill”, sia che vada a fare jogging (nei cimiteri), sia che vada ad un appuntamento importante. Alice dorme 12 ore al giorno e vive dodici ore al giorno e durante il sonno parla in sogno con Erwin Shrödinger, suo mentore e guida.
Proprio utilizzando questo dialogo onirico tra Alice e Shrödinger la Greison ci racconta in maniera appassionata la nascita della Fisica Quantistica attraverso le vite dei suoi protagonisti ed il suo futuro sviluppo che ha portato l'umanità a conoscere il laser, la risonanza magnetica e tutta l'elettronica che ci circonda, dal cellulare che abbiamo in tasca ai supercalcolatori fino ad arrivare al calcolo quantistico della nuova generazione di computer che sta nascendo. Gabriella Greison, oltre a brava attrice e scrittrice è una fisica che in questi anni con il suo particolare metodo (è stato definito “il metodo Greison”) ci ha raccontato l'affascinante avventura del sapere umano che nel secolo scorso ha cercato di svelare quel poco delle leggi di natura che governano il nostro misterioso universo. Gabriella lo ha fatto e continua a farlo attraverso libri e spettacoli teatrali affascinanti e coinvolgenti.
Qui Alice parlando con Shrödinger del suo famoso gatto, cerca di dipanare la matassa aggrovigliata della sua vita, cerca di capire quale “strada nel bosco” scegliere, proprio come nella poesia di Frost che verrà recitata nel finale dello spettacolo. Chi aveva ragione, Bohr o Einstein? L'indeterminazione che sta alla base della nostra realtà o la granitica costruzione di Newton? Riuscirà Alice a trovare la sua strada? Aprirà la scatola dando così finalmente un senso alla sua vita? Ovviamente non ve lo svelo. Non vi rimane, per saperlo, che leggere il coinvolgente libro dal quale è tratto questo spettacolo teatrale o sperare che presto ci siano delle repliche, magari sognando che questa volta ci sia il pubblico in sala e che presto noi si possa far parte di quel pubblico.
Proprio su questo tema si basa il monologo finale della Greison che chiude lo spettacolo. Monologo molto sentito su come un gesto di bellezza ci possa far riemergere da un monotematico e quotidiano martellamento mediatico di continua bruttezza. Un monologo che ci parla della bellezza del teatro, dell'arte della cultura che proprio in questo periodo di pandemia è quella che ci potrà far ricordare quanto l'essere umano sia legato “all'utilità dell'inutile” e ci mette in guardia sul non credere che la bellezza sia quel superfluo di cui si può fare a meno. La cultura, la bellezza di un gesto artistico, il sapere, non è “l'inutile” da eliminare, ma è ciò di cui ogni essere umano ha bisogno come l'aria che respira.
Luca Ciciriello
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