
È dalla carneficina dell'11 settembre 2001 che è iniziata una sequela, mai chiusa, di guerre al terrorismo e in “difesa” della democrazia. L'intervento della Francia in Mali non fa eccezione, sia per la sua motivazione che per l'essere parte di un “decennio” di conflitti decisi da Parigi a cominciare appunto dall'Afghanistan [1]. Ma il terrorismo nonostante le guerre in corso continua a prosperare.
François Hollande spiegava l'intervento sostenendo che «la Francia non mancherà mai all'appello quando si tratta dei diritti di una popolazione, quella del Mali, che vuole vivere libera in democrazia». Qualche mese prima aveva dichiarato che i francesi non sarebbero intervenuti nel paese africano ma il giorno dopo la conquista di Konna – città a nord-est della capitale Bamako – da parte degli islamisti di Ansar Dine e di Aqmi si da il via all'operazione Serval.
Era l'11 gennaio quando l'esercito francese iniziava un'operazione militare per fermare, questo l'obiettivo dichiarato, l'avanzata verso il sud del Mali dei gruppi armati islamisti che da circa un anno controllano il nord del paese. Insieme a truppe di Bamako e subito dopo con il supporto logistico di USA e Gran Bretagna hanno iniziato a far indietreggiare i salafiti di Ansar Dine, che vogliono instaurare un regime islamico in questa area del Mali e il Movimento nazionale per la liberazione dell'Azawad che combatte per l'indipendenza delle province di Gao, Timbuctu e Kidal.
Il 17 gennaio il primo e drammatico “effetto collaterale” e cioè il rapimento, ad opera di un gruppo islamico, di centinaia di persone – locali e stranieri – al lavoro nel sito di gas algerino di In Amenas che l'intervento dell'esercito algerino trasforma in un bagno di sangue per tentare la liberazione degli ostaggi.
A fine gennaio le forze francesi dell'operazione Serval appoggiate dai soldati maliani e dalle truppe africane della Missione internazionale di sostegno al Mali (Misma) cacciavano i ribelli dai due capoluoghi settentrionali. I ribelli si rifugiavano all'estremo nord est in una zona montuosa dell'Adrar degli Ifoghas.
La guerra come accaduto in Afghanistan, Iraq, Libia ha iniziato a cambiare forma lasciando presagire un suo dilatarsi nel tempo.
Sono iniziati gli attentati come quelli di qualche giorno fa a Kidal contro i soldati ciadiani e francesi e quello portato a termine da kamikaze non lontano dal confine con l'Algeria e cioè a Inhalil, nei pressi di Tessalit, dove sono morte alcune persone oltre gli attentatori.
Nella città liberata Gao (1200 km a nord della capitale Bamako) il 21 febbraio una quarantina appartenenti al Movimento per l'unità del jihad in Africa occidentale (Mujao) per diverse ore ha tenuto in scacco le truppe dell'esercito maliano e quelle francesi [2].
I combattimenti sono proseguiti anche oggi e sempre più con l'appoggio dei droni americani che aiutano i francesi a rintracciare i jihadisti [3].
E non sono solo gli americani e gli inglesi a dare una mano ai francesi perché nonostante la Costituzione non preveda l'uso della guerra l'Italia è di fatto in guerra. Il Parlamento in linea con la risoluzione 2085 del Consiglio Onu – sostenuto da tutti i principali gruppi parlamentari eccetto l'Idv di Antonio di Pietro – ha autorizzato la fornitura di due aerei da trasporto C-130 e di un 767 per i rifornimenti in volo per un periodo di due mesi estendibile a tre.
Il paese è andato al voto e non solo non si è discusso di politica estera ma nemmeno di una guerra in corso la cui partecipazione è stata votata da un governo dimissionario. Senza voler aprire il discorso sul possibile aggravamento della stabilità in Algeria nostro partner energetico.
Barbara Spinelli scrive chiaramente che «la guerra da tempo ci è entrata nelle ossa. Non è condotta dall'Europa, priva di un comune governo politico, ma è ormai parte del suo essere nel mondo. Se alla sterminata guerra anti-terrorismo aggiungiamo i conflitti balcanici di fine ‘900, sono quasi 14 anni che gli Europei partecipano stabilmente a operazioni belliche. All'inizio se ne discuteva con vigore: sono guerre necessarie oppure no? E se no, perché le combattiamo? Sono davvero umanitarie, o distruttive? E qual è il bilancio dell'offensiva globale anti-terrore: lo sta diminuendo o aumentando? I politici tacciono, e nessuno Stato europeo si chiede cosa sia quest'Unione che non ha nulla da dire in materia, concentrata com'è sulla moneta» [4]
Intanto le tragedie umane si allargano per la violazione di diritti umani (quelli per cui si dice di combattere) nel nord, di reclutamento forzato di bambini e di crescenti violenze sessuali. Ci sono 1,2 milioni di persone a rischio carestia che è difficile soccorrere per l'insicurezza in tutto il nord e per le mine presenti sulle strade. Le informazioni provenienti dall'Onu il conflitto ha già causato almeno 242.000 sfollati interni e più di 167.000 rifugiati nei paesi confinanti [5].
Per finire è il caso di ricordare che la Francia ha 19 centrali nucleari con58 reattori più quelli che servono la propulsione di sottomarini e portaerei della flotta transalpina e l'uranio è necessario alle testate nucleari. E il Mali oltre ad essere produttore di diamanti e oro (terzo produttore in Africa) detiene nel sottosuolo uranio per il quale le esplorazioni sono iniziate da qualche anno e risultano molto interessanti, soprattutto per il gruppo nucleare francese Areva [6].
Pasquale Esposito
[1] Il ricercatore Olivier Zajec in un lungo articolo spiega in dettaglio questo percorso che al di là di tutto presentano enormi limiti nella strategia che hanno inficiato e rischiano di inficiare i presunti obiettivi. Cfr. Olivier Zajec, “Mali, l'eterno ritornello della guerra al terrorismo”, Le Monde diplomatique/il manifesto, febbraio 2013.
[2] “AUTOBOMBA A TESSALIT, A BAMAKO ALLERTA SICUREZZA”, www.misna.org, 22 febbraio 2013
[3] “Mali: la traque des jihadistes se poursuit avec l'appui des drones américains”, www.jeuneafrique.com, 24 febbraio 2013
[4] Barbara Spinelli, “L'Europa bendata alla guerra d'Africa”, www.presseurop.eu, 28 gennaio 2013
[5] “GAO E KIDAL SOTTO IL FUOCO RIBELLE”, www.misna.org, 22 febbraio 2013
[6] Alessandro Marescotti, “I retroscena dell'intervento militare francese in Africa”, www.peacelink.it, 18 gennaio 2013
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