La notte del 12 di Dominik Moll

Bastien Bouillon (Yohan) Bouli Lanners (Marceau) in La notte del 12 di Dominik Moll
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Un lembo della Francia in cui montagne e foreste la fanno da padrone, maestose ed innevate le prime, oscure e quasi inaccessibili le altre. Ma anche un luogo in cui non sembrerebbe possibile che tanti misteri e persino  tante violenze possano covare sotto l'apparentemente ordinata, e per certi versi persino monotona, vita della provincia francese.

il regista Dominik Moll
Dominik Moll

È qui che Dominik Moll ambienta il suo nuovo , La notte del 12, presentato con un ottimo successo di critica, nella sezione Cannes Première del 75° Festival di Cannes, dove il regista aveva, nell'ormai lontana edizione numero 58 del 2005, presentato in Concorso il proprio giallo psicologico “Lemming – Due volte lei”.

Dopo aver presentato a Venezia, come titolo d'apertura della 16 Giornata degli autori, il riuscito ed assai teso giallo Only the animals (2019 ma, uscito nelle sale solo dopo la fine della pandemia) ancora una volta è una appartata vallata montana del Sud della Francia a fare da sfondo alla storia di un misterioso assassinio di una donna, quasi che proprio queste ambientazioni in località in cui anche le relazioni umane sono, in qualche modo, rarefatte, potessero, per il regista franco tedesco, contribuire al crescere del pathos e del mistero.

Questa volta si tratta di Clara, una giovane ragazza bruciata viva mentre rientrava a casa dopo una tranquilla serata tra amici e di cui, sulle prime, nessuno, dai suoi amici ai suoi genitori, riesce a darsi una minimamente plausibile ragione. L'inchiesta che La notte del 12 illustra con attenzione quasi didascalica, tuttavia, ha sin dall'inizio per lo spettatore un esito conosciuto. La didascalia con cui Moll introduce il proprio film, non lascia infatti margini: “«Ogni anno, la polizia giudiziaria apre 800 indagini per omicidio. Alcune non vengono mai risolte. Questo film parla di una di queste».

Ancora una volta, quindi, come in Only the animals, sono i misteri che si incontrano lungo il percorso (e i loro protagonisti) quelli che contano, piuttosto che la meta.

Il film si basa su una sceneggiatura scritta da Dominik Moll insieme a Gilles Marchand e basata su un'idea originale di Pauline Guéna, tratta dal suo romanzo 18.3. Une année à la PJ. Ha il suo punto di forza nel seguire lo svolgimento dell'indagine in questo  terreno crepuscolare, riuscendo a mettere insieme in modo magnifico un realismo quasi documentaristico – attorno al lavoro metodico e ossessivo delle indagini di polizia – con un ritmo quasi da , da un colpo di scena all'altro, riuscendo allo stesso tempo a dare spessore a ciascuno dei moltissimi personaggi della storia.

Perno di essa e sua pietra di paragone è il giovane capitano Yohan Vivès, appena nominato capo della squadra anticrimine di Grenoble, un notevolissimo Bastien Bouillon, che attraversa una situazione complessa e delicata dando prova di grande espressività, pur senza alcun ricorso a pose attoriali. Si dice che ogni investigatore abbia un crimine che lo perseguita, un caso che lo ferisce più degli altri, senza che lui ne sappia necessariamente il motivo. Per Yohan quel caso è l'omicidio della ragazza, che si trova a dover affrontare lavorando con colleghi che, pur essendo la “sua squadra” appaiono assai diversi dal giovane capitano dallo sguardo pieno di compassione.

Pauline Serieys (Stéphanie) e Bastien Bouillon (Yohan) in La notte del 12 di Dominik Moll
Pauline Serieys (Stéphanie) e Bastien Bouillon (Yohan) in La notte del 12 di Dominik Moll

Decisive, da questo punto di vista, sono le contrapposizioni che il regista ci mostra in modo quasi continuo, tra la personalità schiva ed austera di un Yohan – che trascorre il suo tempo libero in sella alla bicicletta, inanellando giri su giri, in totale silenzio, nel velodromo deserto di Grenoble – e il cameratismo chiassoso degli agenti di polizia giudiziaria che Moll ci mostra mentre mangiano, bevono e si prendono per i fondelli reciprocamente, quasi che questa sia, per il regista, l'inevitabile realtà di un microcosmo  fatto di soli uomini ed in cui non c'è posto se non per “i fatti” e quando questi stessi fatti non quadrano, allora neppure la soluzione dei problemi risulta possibile. E in questo gruppo di poliziotti acquista spessore soprattutto il più anziano collega Marceau, un grande Boulin Lanners, a sua volta attore, sceneggiatore e regista belga di vaglia, dalla filmografia assai nutrita di film insoliti e quasi sempre di ottimo livello), che finisce per rappresentare, per Yohan, una sorta di fratello maggiore e di confidente, ma che il capitano non esita a escludere drasticamente dalle indagini, quando capisce che per Marceau l'indagine sull'assassinio della ragazza  è prima di tutto e soprattutto  il modo di rifarsi del fallimento della propria relazione coniugale.

Il regista documenta in modo scabro, attraverso gli interrogatori  che il capitano e la sua squadra svolgono nei confronti degli amici e dei conoscenti della ragazza assassinata, l'emergere di un pregiudizio latente di cui l'intera comunità sembra essere posseduta: in fondo, la ragazza morta non era la santarellina che i genitori si ostinavano a vedere nella figlia, ma una ragazza “facile”, con alle spalle numerose storie. Una ragazza che aveva la “colpa” di scegliersi amanti, quasi sempre del tutto occasionali,  il cui tratto comune è la miseria culturale, il radicato maschilismo e, in alcuni casi, addirittura l'ostentazione della liceità della violenza nei confronti di un corpo femminile, considerato come semplice oggetto di piacere. Lo sforzo cui deve sottoporsi Yohan è proprio quello di procedere con oggettiva meticolosità, cercando di non farsi coinvolgere nel pregiudizio che vorrebbe fare della vittima del brutale assassinio “una che se l'era cercata”.

Lo aiuteranno, quasi a svelargli l'esistenza di un altro modo di pensare, di un'altra realtà con cui fare i conti, le parole secche e terribili della migliore amica di Clara: “È come se si stesse parlando di una puttana. Con chi andava a letto, con chi non andava a letto? È stata uccisa perché era una ragazza. Le piaceva piacere e si innamorava sempre dei ragazzi sbagliati“. È questo un motivo sufficiente per uccidere, è questo un motivo sufficiente per morire?
Se lo chiede Yohan, nei tre lunghi anni in cui l'inchiesta si snoda,  e, come il regista voleva, se lo chiedono man mano anche gli spettatori che pur sperando in un diverso finale, devono alla fine accettare che in quel microcosmo purulento che l'indagine ha portato allo scoperto – giovani disinvolti (un “sex friend” che ama divertirsi), ipocriti (un amante della doppia vita), sconsiderati (un rapper che aveva caricato una canzone su YouTube sulla donna scomparsa, con il testo “le darò fuoco” e che afferma “erano solo parole“), emarginati, sbandati e persino già accusati di violenza domestica (“facevamo sesso violento, le piaceva il mio lato animale“) – ciascuno potrebbe essere l'assassino e nessuno può essere considerato al di sopra dei ogni sospetto.

E sarà proprio questa consapevolezza di non poter cambiare il corso di una realtà che lo ha costretto a fare i conti, ancor prima che in un'indagine di omicidio, con il pregiudizio, l'ignoranza, la fretta, la superficialità dello sguardo, che alla fine porterà Yohan a scegliere un proprio diverso destino. Ed è assai potente la rappresentazione di questa sorta di rinascita dell'austero capitano: rispondendo al richiamo di una cartolina speditagli da Marceau, senza indirizzo del mittente, ma con l'immagine di una genziana, il fiore che nasce nelle radure rocciose delle  montagne alpine, Yohan capisce che è il momento di uscire dal bozzolo e imparare la bellezza della libertà: fuori dall'ossessiva ripetitività degli anelli di pista di un velodromo che in realtà lo imprigiona, vale la pena di misurarsi con la vastità del mondo reale, e con le difficoltà che permettono di guadagnarne il senso. E quindi, per iniziare, misurarsi con la scalata di uno dei più celebri colli delle Alpi, uno di quelli in cui il Tour de France, ogni anno, costringe i corridori a misurarsi con se stessi e quello che davvero sanno estrarre da se stessi.

Mauro Sarrecchia

genere: thriller, noir
La notte del 12
Francia
durata: 115′
un film di Dominik Moll
tratto dal libro inchiesta di Pauline Guéna “18.3 — Une année à la PJ”
Sceneggiatura: Cathy Mlakar

Cast
Bastien Bouillon: Capitan Yohan Vivès, del Grenoble PJ
Bouli Lanners: Marceau
Theo Cholbi: Willy
Johann Dionet: Fred
Thibaut Evrard: Loic
Julien: Frison Boris
Paul: Jeanson Girolamo
Mouna Soualem: Nadia
Pauline Serieys nel ruolo di Stéphanie (Nanie) Béguin, la migliore amica di Clara
Lula Cotton-Frapier nel ruolo di Clara Royer

Musica: Olivier Margherita
Scenografia: Michel Barthélémy
Costumi: Dorothée Guiraud
Fotografia: Patrick Ghiringhelli
Suono: Francois Maurel
Montaggio: Laurent Rouan
Produttore: Barbara Letellier e Carole Scotta
Società di produzione: Haut et Court , in coproduzione con Versus Production , Auvergne-Rhône-Alpes Cinéma , RTBF , Voo , BeTV e Proximus
Società di distribuzione: Haut et Court (Francia); O Brother Productions (Belgio)

 

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