“La Notte del lavoro narrato”: intervista al sociologo Vincenzo Moretti

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Un progetto lungo un anno per riunire nella notte tra il 30 aprile e il 1 maggio – nelle piazze, nelle biblioteche, nelle scuole, negli ospedali, nelle officine e anche nelle singole case – le voci che raccontano il lavoro, il suo valore, la sua importanza, la sua valenza politica.
Ne abbiamo parlato con Vincenzo Moretti, sociologo, che dirige la sezione Società, culture e innovazione alla Fondazione Giuseppe Di Vittorio.

Lavoro 1. Foto

Lei è il promotore di un progetto che si va articolando in maniera sempre più complessa e coinvolgente: che cosa è “”?
Le due parole chiave del progetto – i due tag se preferisce – sono lavoro e narrazione.
Lavoro: perché il lavoro è importante, non solo dal punto di vista materiale (spesa, affitto, bollette, figli a scuola, libri, sport, musica, viaggi, secondo le possibilità), ma anche dal punto di vista morale, per quello che significa in termini di dignità, di rispetto di sé e degli altri, di autonomia, d'indipendenza, di voglia e capacità di tenere assieme, nel lavoro, la testa (il sapere), le mani (il saper fare) e il cuore, (l'amore per il proprio lavoro, la voglia di farlo bene perché è così che si fa).
Narrazione: perché le belle storie, soprattutto quando sono vere, aiutano a crederci, e, dunque, aiutano a farcela.
Perché raccontando storie, ci prendiamo cura di noi stessi, conosciamo, diamo senso, interpretiamo i contesti e le realtà nelle quali operiamo, produciamo senso e condividiamo significato, attribuiamo valore alle cose fatte e da fare, incrementiamo il valore sociale delle comunità con le quali interagiamo e nelle quali viviamo.
Dopo di che il 30 aprile 2014, dalle 20.30, ci ritroveremo tutti insieme, ognuno con chi vuole, nelle case, nelle scuole, nelle biblioteche, nelle associazioni, nelle istituzioni, nelle piazze, per leggere, narrare, ascoltare storie di lavoro.

Senza retorica e banalizzazioni, la nostra ha posto al centro dell'idea di democrazia il lavoro, anche come punto d'incontro fra la tradizione cattolica, quella liberale e quella marxista.
Che cosa è rimasto oggi di questa impostazione così importante?
Senza retorica le rispondo che è rimasto troppo poco.
Il fatto di aver dato troppo poco valore al lavoro e troppo ai soldi; troppo poco valore a quello che le persone sanno e sanno fare e troppo a quello che hanno spiega perché da noi la crisi è più profonda che altrove.
E che oggi più che mai il lavoro è il valore intorno al quale ricostruire l'etica e l'identità nazionale, il carattere di un Paese che non si rassegna a vivere di capitalismo a breve termine, il tratto distintivo in grado di riconnettere classi dirigenti e cittadini, il sistema di relazioni capace di dare impulso e governare la trasformazione culturale, sociale ed economica di cui l'Italia ha bisogno.


Lavoro 2. Foto Paolo Pileri

La situazione dei giovani, dal punto di vista del lavoro, assume, nel nostro paese, aspetti drammatici. In che modo il progetto si rivolge ai giovani e quali indicazioni può offrire per immaginare vie d'uscite a un presente così cupo?
Guardi, le rispondo raccontandole una cosa che mi è accaduta qualche mese fa.
Mi scrive Ida, una mia ex studentessa di sociologia che ha seguito il mio corso (per una decina di anni ho insegnato all'università di Salerno).
A un certo punto della sua bellissima lettera mi chiede: “Secondo lei, come si fa a continuare a crederci sapendo che non dipende solo da te, soprattutto quando spesso inciampi in situazioni dove le opportunità erano fittizie, gli strumenti inadatti, le persone sbagliate etc etc, e non te ne sei accorto prima? Qual è l'equilibrio giusto fra la condanna a essere sempre il numero uno e l'accettazione di un risultato diverso da quello che ti aspettavi/meritavi?”.
E poi aggiunge: “Detta così la domanda può sembrare banale, la solita domanda retorica di chi è disilluso. Ma quando ci sei dentro, quando credi nelle cose che fai, è davvero complicato, diventa un grattacapo. Mi riferisco alla mia esperienza personale, ma anche alle esperienze di tanti giovani, come me, che si danno tanto da fare fra laurea, master, lavoretti vari, corsi di tutti i generi, ma non riescono a fare passi in avanti a causa della situazione particolare che stiamo vivendo, e sono costretti ad accontentarsi. Personalmente, mi condanno da una vita a essere il numero uno e non smetterò mai di farlo. È una condanna insita nel mio nome, che in aramaico significa ‘guerriera'. Anzi, credevo che fosse questo il problema, ma a quanto pare, e fortunatamente, mi sbagliavo. E' vero anche che a volte diventa davvero difficile. Grazie”.

Le ho risposto in quattro punti:
1. Avendo seguito il corso, sai che sono una persona normale e che, come tutte le persone normali, ho un mare di domande e pochissime risposte.
2. Scegliere l'approccio che hai tu, che ha la protagonista del mio racconto (mi aveva contattato prendendo spunto dal mio romanzo, Testa, mani e Cuore), che ho io, ti fa vivere una vita più difficile e non più semplice di quella che vivresti se seguissi altre vie.
3. Avere quell'approccio però ti permette di farcela su un livello diverso dagli altri. Le parole chiave sono due: pazienza e lavoro. Molta pazienza. E molto lavoro. E poi bisogna avere anche la capacità di vedere i centimetri che sono intorno a sé, e la determinazione giusta per conquistarli. Per fare un esempio esagerato, se anche uno decide di vendere gelati è meglio che non li venda in Italia, ma a Londra, così impara l'inglese, e se conosce l'inglese che li venda a Pechino, così impara il cinese. E se per un periodo bisogna lavorare per pochi soldi, si può fare solo in cambio di un lavoro importante dal punto di vista professionale, un lavoro che permette cioè di costruire relazioni, di imparare cose e di imparare a fare cose.
4. È questione di tempo, ma se fai così ogni benedetto o maledetto giorno che metti i piedi giù dal letto, al 90% ce la fai. E anche coloro che, per una qualche ragione, fanno parte del restante 10%, a vivere così avranno vissuto una vita più ricca, più felice, più degna di essere vissuta.
Le ho mandato la mia risposta e lei ha replicato così: “Il punto è che, come dice lei, poi non tutto dipende da sé, magari fosse così. Se pure uno fa tutto quello che lei suggerisce dove li mettiamo tutti i fulmini e le saette di percorso? Che si fa, si cambia strada se si vede che una non funziona?
Io ho a mia volta replicato così: Si può anche cambiare strada, ma non l'approccio, altrimenti si perde tutto. Sull'approccio vai dritto, e vedi che ce la fai.


Lavoro 3. Foto Paolo Pileri

La crisi che viviamo è certamente qualcosa di ampio ed epocale.
Rischiamo spesso di cadere nella trappola di voler comprendere il nuovo con paradigmi e categorie ormai superate o di raccontare la realtà con un linguaggio non rappresentativo. Come dobbiamo ripensare oggi l'idea stessa di lavoro e la sua valenza politica?
Conviene che io sia più breve, altrimenti i suoi lettori si arrabbiano.
Le rispondo con le parole di Morpheus nel film Matrix Reloaded: “Esistono alcune cose a questo mondo, capitano Niobe, che non cambieranno mai. Altre invece cambiano”.
Ecco, personalmente credo che a cambiare siano tantissime cose: il rapporto uomo – macchina; il rapporto macchina – macchina; il rapporto tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro; la dimensione d'impresa; la figura del lavoratore e quella dell'imprenditore; non cambia la valenza politica del lavoro, l'idea, il senso di lavoro. Almeno questa è la mia opinione, so che dovrei specificarla meglio, ma prenderei troppo tempo, e spazio.

Dicevamo appunto di un progetto articolato che vive attraverso canali comunicativi diversi e coinvolge spazi, situazioni, persone e gruppi anche lontani. Può chiarirci lo stile comunicativo proprio del progetto e i diversi canali attraverso i quali ricevere informazioni?
Questa è facile. C'è un blog, c'è una petizione, ci sono i social network, c'è un indirizzo di posta elettronica. C'è soprattutto un messaggio molto chiaro: partecipare è molto semplice, ci si può aggregare a una delle tante iniziative pubbliche di cui sarà data puntuale comunicazione sul blog e attraverso i canali d'informazione, ma si può anche invitare qualche amico a casa, cenare assieme, leggere qualche storia di lavoro, narrare qualche storia di lavoro, cantare qualche storia di lavoro. Fare qualche foto e postarla su una delle pagine dedicate sui social network, fare un video di venti secondi e procedere come sopra, e, in tempo reale, scopriremo che la gente che crede nel lavoro, che cerca di farlo bene è tantissima, bisogna solo raccontarla. Tutti assieme.

La sua attività professionale e sindacale, da sempre, ruota intorno al tema “lavoro”. La presenza di un legame fra le sue diverse attività e ricerche è un'impressione dell'osservatore o è una costante che assume un preciso significato?
No, non è un'impressione dell'osservatore. Lavoro è la parola chiave di tutte le vite che ho vissuto fino ad oggi, quella di studente, di militante e dirigente della Cgil, di prof., di scrittore, di sociologo, di ricercatore, di padre, di figlio e così via.
E' cominciato con mio padre che mi spiegò la differenza tra il lavoro “preso di faccia” e il lavoro “a meglio a meglio”. Ero un bambino, avevo 7-8 anni, ma non me ne sono mai scordato. E' una vita che lo piglio di faccia, il mio lavoro. Si fa tanta fatica, ma la sera, quando vai a dormire, sei contento. Almeno a me accade così.

Antonio Fresa

Che fare per aderire al progetto? Ecco i link e i richiami.
Blog: http://www.lanottedellavoronarrato.org/
Mail: lavoronarrato@gmail.com
Petizione: https://web.archive.org/web/20211204155734/http://urlin.it/4eb36
Video Anteprima Nazionale: http://youtu.be/tanoKJ1KTtI
Rassegna Stampa: http://lanottedellavoronarrato.org/press/
Canale Youtube:
Evento Facebook: https://www.facebook.com/events/1415422458677536
Gruppo Facebook: https://www.facebook.com/groups/lanottedellavoronarrato/

Per saperne di più su
Sociologo. Dirige la sezione Società, culture e innovazione alla Fondazione Giuseppe Di Vittorio.
Testa, Mani e Cuore, il suo primo romanzo, è disponibile nelle librerie dal Marzo 2013.
Per Ediesse ha scritto anche (2011, 2 ed.), Rione Sanità (2011, con Cinzia Massa), Dizionario del pensiero organizzativo (2008, 3 ed.).
È ideatore di Le vie del lavoro, inchiesta partecipata promossa da Fondazione Ahref e Fondazione Giuseppe Di Vittorio.
Innovazione e cambiamento (culturale, sociale, tecnologico) sono i muri maestri della sua attività di studio e di ricerca.
Sensemaking, decision making, serendipity, storytelling, processi di competizione – collaborazione i tag che lo aiutano a saperne di più.
Scrive attualmente per Resto al Sud, Nòva100 Il Sole 24 Ore, Rassegna Sindacale, Rassegna.it.
Suoi articoli e paper sono stati pubblicati tra gli altri da Egea, Alinea, Il Sole 24 ore, Technology Review, Politica ed Economia, La Stampa.it, l'Unità, Nord e Sud, Qrs, Rassegna Sindacale, Nòva Review, NòvaLab Il Sole 24 Ore, Cilea.

 

 

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