
Sapete come vanno queste cose. Ci si frequenta per anni, come amici, come compagni di avventure varie. Poi la vita cambia o ci cambia, e il tempo non è mai abbastanza per tutto. I rapporti si diradano, e poi quasi cessano.
Eccole, allora, le frasi di rito quando ci s’incontra: fatti vivo; dobbiamo organizzare; dai che quella volta potevi venire. E così via, senza cattiveria e senza calcolo; certo con un poco di nostalgia.
Con Marco e Valeria per me la situazione si complicava e devo confessare che in realtà un poco li evitavo; non del tutto direi, ma un poco cercavo di non trovarmi da solo con loro due, proprio loro due. Che cosa intendo? Che cosa voglio dire?
Valeria c’era stata da sempre e da sempre era la più bella di tutto il giro; ero stato sempre innamorato di lei e anche orgoglioso di essere il suo confidente, il suo compagno di discussioni.
Sapete come vanno queste cose, ci sono rapporti che non si definiscono mai, o almeno sembra così, perché poi in realtà il tempo scorre inesorabile. Fino a una certa data non lo sai o non lo capisci. Poi tutto cambia.
Valeria, però, era stata un’altra cosa, un’altra dimensione: lei era il fascino e la bellezza senza dubbio.
Una sera – e chi la dimentica, tra mille sere – una sera speciale e unica, eravamo finiti a letto insieme.
Dopo anni di un’intimità fatta di parole, bottiglie e sigarette c’era stata anche quella dei corpi. Un corpo che conoscevo a memoria e senza pudore, mi apparve in tutta un’altra luce quella sera.
Credo che lì si sia rotto qualcosa. Lei diventò per me un’ossessione; io per lei un problema.
Poco dopo apparve Marco: era diverso da noi; era più adulto, direi; era già dentro il mondo reale e aveva già obiettivi chiari e ambizioni da raggiungere.
Valeria e Marco, mentre si univano tra loro, si allontanarono da noi e poi quasi nulla. Qualche notizia l’aveva portata Paola, ogni tanto; lei la vedeva ancora. Chiedevo appena, abbassando la voce e, giuro, speravo che lei fosse felice.
In realtà ero un mezzo fallito sentimentale, lavorativo e politico. Mi tenevo a galla con i ricordi e con le parole. In realtà il tempo era passato davvero crudele.
Perché ho ucciso Marco? Perché l’ho fatto a casa sua?
Penso di aver voluto salvare almeno il mio passato, visto che il futuro si presentava male.
Mi avevano invitato. Incredibilmente Paola aveva organizzato davvero e mi ero ritrovato anch’io nella loro casa.
Bella davvero; ricca davvero; ordinata, spaziosa. Tutto sembrava al posto giusto in quella casa: i mobili giusti; il vino giusto; la musica giusta.
E io che ci facevo lì? Che potevo mai raccontare a quei due che sembravano la perfezione?
Dagli occhi di Valeria, sempre belli e luminosi, le lacrime iniziarono a scendere lente: Marco narrava dei suoi successi e le lacrime di lei si allargavano quasi a farsi gocce.
Che stava accadendo nel mondo? Avevo già bevuto troppo?
Quando Valeria mi guardò, quando Valeria mi fissò, quando Valeria mi disse: “Perché mi hai abbandonata? Perché mi hai lasciato nelle mani di questo pazzo che pensa solo a se stesso?”.
L’universo iniziò a girare, come se il Big bang si fosse prodotto allora e soltanto per noi. Il dolore m’attraversò le vene come un fiume in piena; anni si ripresentarono in istanti; sogni si vestirono da incubi e le vittorie e le sconfitte si sommarono.
Mi alzai come un automa; mi avvicinai al camino come una macchina; alzai l’attizzatoio e, ruotando su me stesso, colpii con una forza che non pensavo di avere. Marco cadde riverso nel suo sangue.
L’ultima cosa che ricordo, sono gli occhi di Valeria che, pur piangendo, mi sorridono e dicono: “Grazie”.
Il racconto è tratto da
Antonio Fresa
Delitti esemplari nel Bel Paese
L’Erudita, 2016
pagg. 124
€ 13,00
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