
Le Olimpiadi sono ormai alle spalle; la vittoria degli Europei è un bel ricordo e l’estate sta finendo, come si sarebbe detto un tempo.
Con la fine delle vacanze, mentre già si vedono regioni virare verso il giallo, siamo chiamati a fare i conti con la pandemia che ancora ci tocca anche se con caratteristiche diverse. Per il terzo anno di seguito, e con un certo sgomento, riprende il dibattito sulla riapertura delle scuole tra promesse di miracolose crescite d’organico e il reperimento di spazi che dovrebbero colmare ataviche carenze.
Non è uno sport che amiamo molto quello della sterile polemica, non solo perché questo sport non produce medaglie; non lo amiamo perché esso sembra essere lo sport più praticato dalla maggior parte di quei nostrani politici che fanno del gioco al massacro una specie di bandiera ideologica. Il cammino verso le elezioni amministrative di ottobre si prefigura già come un piccolo calvario per chi aveva sperato – avevamo sperato davvero o è stato un abbaglio? – in un paese capace di uscire da questa difficile esperienza con qualche spunto di serietà in più.
Già da alcuni anni – e chi ama davvero girare per la provincia lo aveva visto ed intuito – in moltissimi comuni, l’unica scelta forte che i partiti (quasi senza distinzione) avevano potuto operare era stata quella di occultare il proprio simbolo e costruire ardite liste con incredibili simboli con forzature cromatiche e negli slogan davvero degni dei film di Antonio Albanese. La necessità di celarsi è davvero un segno triste per una democrazia che si basa ancora e necessariamente sui partiti.
L’altra via per celarsi, e mostrarsi insieme, è l’uso folle e ossessivo dei social che alimenta un delirio senza fine. Non si intravede – nei piccoli come nei grandi centri – lo straccio di una proposta ma il gioco al massacro: quando tutto va bene, l’arma è quella di una stucchevole ironia (spesso incomprensibile); altrimenti si gioca pesante con l’attacco personale che sconfina, a tratti, in velate minacce da regime. Insomma, non si prepara una campagna elettorale facile.
I partiti di maggioranza – a ben vedere anche quelli dell’opposizione – sanno di giocarsi qualcosa di importante in una tornata elettorale che vedrà andare al voto anche grandi centri che possono svolgere una funzione di traino o di verifica degli equilibri nelle coalizioni. Non è questa la sede per chiedersi chi stia messo meglio tra centro destra e centro sinistra o altri.
Ritorniamo però alle vittorie in campo sportivo e vediamo se passando attraverso la loro celebrazione possiamo ricavare qualche spiraglio di analisi.
Pur restando vero che siamo un paese di santi, poeti, navigatori e commissari tecnici (siamo stati anche velisti, virologi, ingegneri, e così via), rispettiamo, almeno nello sport, il trionfo della dedizione, dell’impegno e anche – perdonatemi per la parola – delle specifiche competenze. Insomma, possiamo anche sognare di imbroccare la formazione giusta per la partita di domenica, ma sappiamo benissimo che per vincere l’oro olimpico ci vuole tutta un’altra storia. L’italico stellone, il genio nazionale, i fasti del Rinascimento, le lodi del Risorgimento e così via non bastano a renderci tutti più buoni, bravi e competenti.
Le vittorie olimpiche e le difficili sfide che abbiamo attraversato con la pandemia, seguendo alcuni sondaggi e leggendo i commenti dei tanti, hanno iniziato a produrre una certa stanchezza per una politica in cui tutti sanno fare tutto, ovvero niente, per una politica che tuona contro i potenti per poterne poi prendere il posto. La crisi del Movimento 5 Stelle e il suo virare verso altre forme organizzative la dice lunga sulla impossibilità ad urlare contro tutto e tutti, mentre si governa un paese con ogni possibile alleato. Un monito per tutti potrebbe derivare da questa piccola analisi. Non a caso in molti ritengono che la partita si giochi al centro, nella conquista di un elettorato che non sposa una destra estrema sempre più costretta a risolvere la partita fra Salvini e Meloni; dall’altra parte c’è un mare di voti che appartenevano un tempo alla sinistra e che non possono trovare una sponda nell’afasia del Pd o nelle mille piccole formazioni di stampo personale che stanno diventando la vera piaga dell’oggi.
I centro metri si corrono alle Olimpiadi in circa 10 secondi; dietro ci sono anni ed anni di allenamento, fatiche, sconfitte, speranze e paure. E così vale per ogni altro sport e disciplina. Forse, qualcosa potremmo avere di nuovo appreso dalle immagini che abbiamo visto in televisione: anche mentre impazza la pandemia; anche mentre il mondo sembra correre verso il baratro ecologico; anche mentre ci è richiesta una nuova visione dello sviluppo e della speranza, è possibile mantenere un briciolo di calma e di voglia di analizzare seriamente la situazione. Chissà che non ne venga davvero qualcosa di buono.
Antonio Fresa
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