La resa dei conti di MIchele Santeramo

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Una drammaturgia in atto unico che gira intorno alla sfida dell’uomo nell’affrontare limiti e difficoltà.

Un uomo che ha appena tentato di togliersi la vita e Gesù o almeno un personaggio che si proclama essere Gesù si trovano insieme in una scenografia essenziale, sospesa, indefinita, con luci soffuse, apparentemente senza uscite, un limbo scenografico dove l’uomo che ha fallito il suicidio di trova ad incalzare il suo salvatore con una sfilza di domande dando vita ad un dialogo nella sostanza filosofico che riguardano anche i grandi dogmi della fede.

Quale valore può avere la salvezza elargita da Dio se l’uomo stesso non desidera essere salvato se per l’uomo vivere o morire è indifferente?
Quale è la responsabilità dell’uomo e quale quella di Dio nelle grandi catastrofi dell’umanità? Se dunque all’uomo è concessa la libertà del libero arbitrio e l’uomo usa questa libertà per compiere delle malvagità, non esiste forse una responsabilità di Dio nelle malvagità stesse avendole consentite?

Daniele Russo e Andrea Di Casa in La resa dei conti.
Foto Salvatore Pastore

L’uomo che ha tentato il suicidio dice a Gesù che la sua vita è insopportabile per essere vissuta, in quanto sua moglie è sparita un giorno senza lasciare tracce, dove sia andata nessuno lo sa, lui ha perso tutto, tutto ciò che aveva tutto ciò in cui credeva. Come si fa a sopportare tutto questo?
L’uomo che si proclama Gesù gli da la sua ricetta; bisogna “emigrare”, così come si emigra da un luogo all’altro è anche possibile emigrare da una vita all’altra. La soluzione è inventarsi un’altra vita, si sceglie, si prende il coraggio e si cambia tutto.
Emigrando in un’altra vita per diventare la persona che guarisce la persona che eri per essere in pace, per essere finalmente felici.

Il Gesù disegnato da Michele Santeramo, a ben vedere, ha una visione molto anglicana della vita, abbastanza lontana dal messaggio che la vita va sopportata con la relativa croce alla quale il cristiano non dovrebbe neanche pensare di sottrarsi secondo il principio che Dio distribuisce le disgrazie in base alla nostra capacità di sopportarle.
L’uomo che si dice Gesù svela di avere lui stesso scelto un’altra vita per guarire. Era un prete che ha risposto ad una vocazione che gli altri si aspettavano lui avesse: ha accettato di andare in Africa come missionario per occuparsi di una umanità sofferente, ma si è scoperto disgustato di fronte ai bambini che morivano di Aids con le ferite infestate dalle mosche e che si è quindi trovato di fronte alla sua mancanza di compassione per l’uomo e che migrando nella vita di Gesù vede la propria salvezza, ma per salvare se stesso deve diventare Gesù e questo non può avvenire senza il riconoscimento da parte degli altri .

L’uomo che ha tentato il suicidio vede in molti capisaldi della religione cattolica addirittura degli strumenti del demonio. La confessione è lo strumento che il diavolo usa per liberare l’uomo dal senso di colpa, siamo deboli, spaventati, eppure capaci di addormentarci come animali senza colpa.
Gesù stremato da questo incalzare di domande che suonano talvolta come bestemmie si addormenta e l’uomo fa la più atroce delle confessioni riguardante la sorte toccata a sua moglie. Gesù dovrebbe denunciarlo, ma non può, legato com’è al sacramento della confessione. L’uomo è libero adesso di uscire dal limbo.

Peppino Mazzotta conosciuto come interprete nel “Commissario Montalbano”, lo incontriamo come regista sensibile e impegnato nel portare in scena questo testo originale di Michele Santeramo, dirigendo due attori caustici e forti, Daniele Russo e Andrea Di Casa che si affrontano sulla scenografia essenziale e rarefatta di Lino Fiorito.

Adelaide Cacace
Teatro Elfo Puccini
fino al 12 gennaio

atto unico di Michele Santeramo
regia Peppino Mazzotta
con Daniele Russo, Andrea Di Casa
scene e costumi Lino Fiorito, luci Cesare Accetta
coproduzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini,
Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia

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