
Uno degli effetti della globalizzazione e del suo corollario la finanziarizzazione dell'economia è l'accentuarsi della crisi identità di diverse nazioni. Le richieste di autonomia totale tanto da coinvolgere gli assetti costituzionali, sono man mano cresciute e ora vedono dei punti che potrebbero essere di non ritorno rispetto alla geografia degli Stati. Non si capisce quindi, come mai il primo ministro britannico David Cameron e il suo vice Nick Clegg, alfieri del liberismo ed eredi della Thatcher che di questa ideologia ha inondato l'Occidente, si preoccupino ora tanto
da stilare una dichiarazione congiunta e annunciano che si recheranno mercoledì per il question time in Scozia. «Il nostro messaggio per gli scozzesi è semplice: vogliamo che restiate […]. Molte cose ci dividono, ma ce n'è una su cui siamo d'accordo con passione: il Regno Unito è migliore se restiamo insieme» [1].
Giovedì 18 settembre gli scozzesi, dai sedici anni in su, andranno alle urne per rispondere ad una chiara e semplice domanda “La Scozia dovrebbe essere un paese indipendente?” e negli ultimi giorni è un rimbalzare di sondaggi sui media britannici che danno per la prima volta vincitore il partito secessionista. Un primo cambio di passo sul tema è avvenuto nel 1999 quando fu riaperto il Parlamento di Edimburgo e poi nel 2011 con la conquista della maggioranza assoluta da parte del Partito nazionale scozzese ( Snp).
Sul fronte dell'Snp va detto che è guidato da un vero e proprio leader Alex Salmond, un politico di grandi capacità che dato «al suo partito un'identità politica di tipo social-democratico in senso scandinavo e un progetto economico che guarda verso l'Irlanda pre-crisi. Ha una serie di obiettivi in campo sociale che possano produrre un'idea scozzese di benessere civico radicalmente diverso dal fondamentalismo liberista dominante – si presume – a Londra» [2]. I Laburisti scozzesi che rappresentavano una diga solida sotto i colpi della politica di Salmond e per errori propri ha finito col perdere terreno. Secondo un sondaggio di YouGov gli elettori del Labour favorevoli all'indipendenza sono passati dal 18 al 30% in breve tempo.
Scozia. Edimburgo dalla collina di Calton Hill, 2013
L'economia e il petrolio in particolare rappresenta un caposaldo rilevante delle motivazioni della secessione. L'oro nero estratto nel Mare del Nord non ha mai rappresentato una risorsa solo degli scozzesi e per il futuro non è stato nemmeno creato un fondo ad hoc. Oltre al petrolio anche la pesca, l'industria agricola e il whisky dovrebbero essere sotto il controllo locale.
La vittoria degli indipendentisti aprirebbe scenari economici disastrosi secondo le analisi di alcuni esperti. I ricercatori di Credit Suisse parlano di crisi economica con prosciugamenti di conto correnti e salari fino al 10%.
Il 3 settembre, anche il capo della ricerca della Goldman Sachs ha pubblicato uno studio dove si parla di “conseguenze disastrose” per l'economia scozzese [3].
L'indipendenza significherà comunque risolvere problemi molto seri dalla moneta (sarà la sterlina?), all'accesso all'Europa con i suoi finanziamenti, alla difesa con le testate nucleari presenti oltre il Vallo di Adriano, alle relazioni tra i due stati.
E cosa accadrà dopo il 18 in Catalogna, nell'Irlanda del Nord, nel Kosovo o in Belgio? Siamo di fronte alla balcanizzazione dell'Europa?
L'unità della corona e il ruolo di Elisabetta II dovrebbero essere salvi Salmond ha spiegato che il referendum riguarda solo l'unione politica e non quella delle corone che risale al 1603.
Pasquale Esposito
[1] “Scozia: il referendum fa paura. L'appello di Cameron, “restate””, www.ansa.it, 9 settembre 2014
[2] David Ellwood, “Scozia, verso il referendum per tagliare la corda”, www.affarinternazionali.it, 12 novembre 2013
[3] Daniele Guido Gessa, “Scozia, rimonta degli indipendentisti. Se vincono, crisi e governi conservatori”, www.ilfattoquotidiano.it, 4 settembre 2014
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