La sostenibilità sferica

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Questa volta la butto giù questa mia utopia personale.Che non è solo di “forma”, ma anche di pretesa sostanza. Per dire a me stesso, che la “sostenibilità” non è circolare, ma “sferica”, cioè totale davvero. Un tentativo per esprimere una “sostenibilità” più grande di quella che è oggi.

Credo sia opportuno da parte di tutti ampliare e sintetizzare, in modo chiaro, questo concetto così importante che, invece, è ancora approssimato, e in cui ficchiamo tutte le nostre frustrazioni, illudendoci che basti controllare solo alcuni aspetti reali di crisi per sentirci più rassicurati.

Siamo partiti inizialmente dall’ambito strettamente eco-ambientale, climatico, planetario e simile, per poi spostarci progressivamente appena più in lungo, largo e alto, ma con modalità tra loro incomplete e separate. In opposizione al principio di “vita” unitario.

Abbiamo solo aggiunto qualche ambito, l’economia, il sociale o poco altro. Abbiamo sostituito alla “vita”, il concetto più contingente di “vivibilità”, inteso come “modo di concepire la vita” (idea viceversa primigenia). La “vivibilità” umana è solo “variegata varietà” delle mille sfaccettature di “vita”. La mediazione tra l’una e l’altra è rappresentata dalla “cultura”, questa sconosciuta evanescenza, che spesso (sempre?) è sfuggente e, quindi, male usata. Ma è la “cultura” che deve oggi ritornate in una forma nuova e con tutta la sua potenza evocatrice. Entrando in ballo proprio con un nuovo senso “vivo” (vivibile) di “tempo”, superando il tempo “sostenibile” consolatorio. Il tempo. Diventa determinante più che mai, visto che, in seguito alle lunghe crisi che stiamo affrontando (ma non solo!), siamo entrati a piè pari dentro la civiltà della “emergenza strutturale perenne” (ossimoro che definisce soltanto “un presente sostanzialmente emergenziale”).

Sarà proprio la “cultura recuperata e nuova” a riportarci ai tempi correnti, e ad assumere la vera “transizione” (sferica) globale senza tempo. Che sta fuori o dentro di noi. Solo noi lo possiamo capire, soprattutto in questo fragile momento.  Evitando il “sempre meglio ignorare e continuare nell’indifferenza e nel disinteresse”.

Qualcuno dice “con filosofia”, in termini di abbandono irrazionale. Ritorniamo, invece, alla filosofia come forza dell’Eros greco, senso evolutivo di vita. I pregressi sinonimi lessicali della “sostenibilità” sono tanti, anche quando la “sostenibilità emergenziale” non aveva ancora il senso semi-consapevole, magico-simbolico attuale, evidenziando affinità logiche che potrebbero essere recuperate: Sostenibilità come “durabilità” anche umana, quindi a termine; come “fattibilità” a circolo con la stessa durabilità; più letteralmente, “sostenibile” come azione per “mantenere in continuità”.

Per esempio un progetto architettonico era, ed è, sostenibile per il semplice fatto di poter essere indirizzato ad esigenze vitali primarie, residenziali, per un certo limite di tempo oltre il quale diventa obsoleto. Tranne, forse, i progetti di opere di pubblica utilità, che dovrebbero durare all’infinito, come i grandi monumenti romani (moderni testimoni etici da lasciare a chi verrà). Per esempio un piano urbanistico, sia pure più astratto, era ed è ancora, ancorato ad un fittizio “arco di tempo” considerato come un “quadro rigido” da inchiodare al muro ed attuare secondo astratti trend, analisi e previsioni, mai appieno considerate “sostenibili”, perché improntati da una parte a utopie di pianificazione, dall’altra ad interessi socio-economici globali, tra l’altro pretendendo di fissare “Regole e NTA”, ancora più astratte. Il tutto in contrasto con le evoluzioni reali, sempre più veloci ed imprevedibili.

Altro sinonimo lessicale è quello del “sostenere”, “reggere un carico”, che, in senso più simbolico, potremmo immaginare come passaggio di mano tra passato, presente, futuro.

La conferenza ONU/1987 sull’ambiente aveva sintetizzato con parole veramente esemplari lo “sviluppo sostenibile globale”: “Uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.

I “bisogni”, già allora, comprendevano tutto, mentre la realtà successiva ha scantonato sull’emergenza, come detto. La guerra in Ucraina aggiunge il senso ultimo di drammaticità profetica. Dovremmo uscirne per trovare la “grande comunanza”, intesa come unificazione dei particolarismi e singolarissimi delle mille discipline-culture divaricate, retaggio culturale del secolo scorso. Ritenendo che le mono-discipline siano più prolifiche?

La “sostenibilità simbolica” attuale ha cercato di superare in prima istanza la teoria dei processi in “linea diretta”, o lungo un “piano indefinito”, dove a sinistra stanno le “risorse” di territorio (materie prime), presunte inesauribili; al centro i “processi di produzione”, tendenti alla trasformazione utile, troppo spesso contaminata dai consumi “usa e getta”; a destra il rigetto/rifiuto finale, anche questo presunto come inesauribile, come un pozzo senza fine, per allontanare, ignorare e nascondere. Fino all’isola oceanica della plastica. Poi la linea/piano sono diventati “cerchi”, per simboleggiare un riuso/riciclo a consumo zero. Ammesso di poter sostituire, con questo, sia a monte e sia a valle, la cultura del “riuso”.

Ma il parametro geometrico circolare è rimasto uguale a se stesso, continuando a specificare cerchi diversi per temi diversi, ridotti all’essenziale, cioè non estesi all’intero compendio umano. Solo di recente ampliamo timidamente ad altri concetti, quali l’economico, il sociale e poco altro. Senza ancora compiere il salto culturale completo. Materiale ed intellettuale. Fino all’obiettivo umano ultimo della “cultura sostenibile tout court”. Verso un nuovo “umanesimo”.

Il cerchio rimane comunque sempre cerchio, diventando un girotondo. Tutt’al più dentro una serie geometrica di cerchi separati. Dovremmo arricchirlo con forme diverse, sempre più unificate/unificanti.

Viene fuori allora l’immagine della “sfera sostenibile”. Con le sue “orbite” ellittiche gravitazionali. Un simbolo che diventa un emblema concettuale in termini di simil “sintesi universale”. Una sfera geometrica, come noto, è composta da infiniti cerchi, i “meridiani”, che rappresentano ciascuno una componente della “sostenibilità globale”, la quale diventa sempre più “solida”. I “paralleli” sono le connessioni trasversali.

L’aggettivo “sostenibile”, e il suo corrispondente sostantivo, diventano così più pregnanti, significativi e coinvolgenti, per mantenere ancora i piedi saldi su un pianeta che amiamo e che ci ama ancora, nonostante tutto. Senza dover girare nello spazio, alla ricerca di chissà quale pianeta alternativo. Se proprio dobbiamo realizzare nuove Stazioni e  Strutture stanziali nello spazio e su nuovi pianeti lontani, e rimanervi come prigionieri alieni, realizziamo, viceversa, nuovi contenitori simili sulla nostra Terra, guardando dagli oblò perlomeno paesaggi familiari. Dandoci tempo per “recuperi” anche lunghi, ma possibili, in tal caso davvero “sostenibili”. Questa volta trasformando l’uomo come artigiano che plasma un pianeta nuovo, non più per il suo solo egoismo.

Come succede nelle pubblicità ipnotizzanti, o in altre occasioni esilaranti, dove la fantasia ci sovviene più facile, aggiungiamo, allora, all’immagine e sostanza della “sostenibilità”, nuove “illuminazioni” di “sostenibilità”. Una “figura retorica” (trasferimento di significato), che entri sempre più a fondo nell’immaginario collettivo, diventando noi stessi immagine personificata di “umani sostenibili”. Indicando obiettivi sempre più grandi e sorprendenti. “Oltre gli eventi”.

Si. Dobbiamo sorprenderci per aggiungere alle tecnologie scontate, fantasie spiazzanti. Trasferendo ai figli/posteri un concetto quasi soprannaturale, geniale (quasi folle) di sopravvivenza “compatibile” rispetto a tutto, in barba a qualsiasi Armageddon (l’ultima battaglia). Superando il “pragmatismo contemporaneo”, figlio del panico globale, battuto da una nuova filosofia, che riprende velocità, dopo la stasi dell’esistenzialismo, che sembra aver rallentato tutto come solo motivo di “esistere”, con gioie e dolori connessi, accontentandoci di questo, piuttosto che “essere” in un mondo necessariamente nuovo e probabilmente diverso.

Già la Filosofia, di cui ora abbiamo nuovo e pressante bisogno. Il dubbio è che la “sostenibilità” incerta, dentro la quale girovaghiamo come in un labirinto, sia, in fondo, la ricerca di un nuovo senso umano, con la scusa di incidenti di percorso. Cioè “sostenibilità” come “filosofia”. Diversamente, presi da un immane sconforto di ineluttabilità, “senso psicologico trasferito”, non ci rimarrà che l’alternativa di ritornare preistorici. Ricorso storico questa volta irreversibile. Gli stessi ambiti, scientifico e tecnologico, pur nella sua valenza dimostrata, rischiano di rimanere auto-rappresentativi. Procedendo velocemente lungo percorsi, che aiutano e contrastano la stessa “sostenibilità”, che cammina su una sola strada.

Un nuovo simbolo grafico, per esempio, per pensare in maniera più ampia. Un Yin-Yang nuovo ancora più assoluto-totalizzante. Dobbiamo superare l’uso ormai generico, del termine-simbolo di “sostenibile”, come se fosse un universale “bollino di garanzia”, per qualsiasi cosa. Non precisando nemmeno a quali “spazi”, “ambiti astratti” o “tempi” ci riferiamo. Ovvero dentro quale generale “etica-morale” ci situiamo.

Del resto la “sostenibilità” è ancora relativamente misurabile. Con riferimento a pochi aspetti ed eventi più eclatanti, tipo eco-ambientali, climatici, economici, eccetera, ma non per altro in senso pieno, per cui il suo uso è ancora approssimato. Sostenibilità ancora come semplice sensazione. Siamo alle soglie di una “quinta rivoluzione” globale, questa volta con difficoltà di implementazione scarsa di nuova produttività e lavoro (robotizzazione) e, di conseguenza, una “sostenibilità globale” ancora più pleonastica.

Tutti i processi ed attività, allora, una volta diventati cicli “produttivi sostenibili”, come detto, dovranno essere sintetizzati, sapendo quali sono gli effetti sull’umanità sempre attiva. “Sfere sostenibili continue” fortemente legate, ovvero una “sfera sostenibile massima”,  come espressione di un contenuto sempre “pieno”.

Sfera multi-sostenibile”. Che simula, o coincide, addirittura, con la magica sfera della nostra Terra. Che sta, poi, in un universo anch’esso sferico ancora più grande (infinito?), formato da un infinito numero di “SFERE” celesti. Stelle pianeti. Compresi i buchi neri. Non è solo una omologia più o meno utile, o addirittura ingenua, dove oggetto e soggetto di Sostenibilità si fondano.

Una utopia grezza, la mia, per voler dire, a mio modo, e con il massimo di incisività, che la “Sostenibilità avanzata” è “interconnessione” anch’essa circolare o sferica. Interna ed esterna a se stessa e a noi stessi. Macro e micro, naturale-artificiale, locale-globale, planetaria e stellare, in una fusione unica, coinvolgendo, dentro l’umano “sferico”, la cultura in espansione perenne.

Mi riferisco, per esempio, ad alcuni scritti del prof. Maurizio Carta, Unipa, che dilata l’attenzione ambientale globale in una nuova potenzialità “creativa”, con questo coinvolgendo nuove capacità umane. Per nuove identità e sviluppo compatibile rispetto a tutte le aspirazioni umane, materiali ed immateriali.

“Città creativa” come “Città fluida”, basata su una più pregnante “cultura” urbana e generale in senso lato. In effetti chiamando in causa un diverso “metabolismo urbano”, che trasforma esso stesso la Città e lo Spazio che conosciamo, verso una “Città aumentata”, superando così in eleganza (ndr. in senso sferico) la semplice circolarità per temi autonomi. E così il pensiero del prof. Matteo Di Venosa, Ud’A di Chieti Pescara, promotore del nuovo corso di laurea di Scienze dell’Habitat sostenibile, dove si apre un nuovo spaccato dell’Urbanistica.

Il concetto di “Habitat”, a mio avviso, intende scoperchiare, in senso lato, una nuova visuale di umanità, non generica ma “significante”, in tutti i modi possibili. Una nuova “cultura” come “collante milleusi” (nd. sferica), per sintetizzare le mille culture divaricate dei tempi scorsi.

Segno tangibile, riportato insieme al prof. Antonio Clemente, della stessa Ud’A di Chieti Pescara, dentro una interessante iniziativa, parallela alla didattica ufficiale, denominata “letteral’mente”, in cui vari docenti, provenienti a rotazione, anche da altre università, leggono alcuni passi scelti sulla città e sul territorio. Con questo significando, ancor una volta, che è la “parola” il segno magico principe, che traduce e incolla tutto quello che “circola” nell’intelletto, in senso umano nuovo. Immagini e “figure” mentali profonde, che sintetizzano la cultura complessa, amalgamando ogni schematizzazione razionale in un plafond universale pluri-allusivo.

Forse i miei amici scivoleranno sopra le mie follie personali, anche perché sono elucubrazioni che stanno già ampiamente dentro, e meglio, nei loro studi.

Eustacchio Franco Antonucci

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