
Con la conclusione del Giro di Lombardia di domenica scorsa, susseguente alla celebrazione del Campionato del Mondo delle domenica precedente, la stagione ciclistica si avvia alla conclusione. Restano da correre ancora alcune corse affascinanti, classiche di livello nazionale con percorsi talvolta di particolare interesse tecnico, come ad esempio il Giro dell'Emilia di domenica prossima, caratterizzato dal finale sulla salita di San Luca davvero spettacolare.
È diventato comunque difficile stabilire quali siano i limiti effettivi della stagione ciclistica, individuare il termine della stagione 2014 e l'avvio di quella del 2014: fortunatamente resta Capodanno a fare da spartiacque. A gennaio i ciclisti sono già nei Paesi Arabi a battagliare in improbabili Giri dell'Oman o qualcosa del genere. Un tempo era molto semplice stabilire l'avvio e la fine di una stagione ciclistica: si iniziava a fine febbraio sulla riviera ligure con il Trofeo Laigueglia; il gran finale era ad ottobre con il Trofeo Baracchi, gara a cronometro a coppie che consentiva a Moser ed Hinault di correre per una volta da compagni e non da avversari. Anche la stagione ciclistica è diventata liquida, conformandosi ai tempi moderni.
È quindi tempo di bilanci: ancora una volta l'Italia non è riuscita ad aggiudicarsi nessuna di quelle che oggi sono definite “classiche monumento”. Il digiuno dura ormai da qualche anno ed è praticamente senza precedenti: il movimento ciclistico nazionale ha sempre avuto campioni in grado di primeggiare nelle grandi classiche, velocisti in grado di sbaragliare la concorrenza, finisseur capaci di dare spettacolo nelle competizioni più tradizionali. I nomi da fare potrebbero essere tanti e sicuramente ne dimenticherei qualcuno. Il bottino medio degli anni '90, ad esempio, era di due/tre classiche monumento vinte da ciclisti azzurri in un anno.
L'altro elemento di discontinuità che emerge fortemente rispetto al passato è l'allargamento del perimetro geografico del vivaio ciclistico nazionale: la squadra italiana ha corso al mondiale con quattro siciliani ed un sardo tra i titolari. Tradizionalmente il pedale nazionale ha sfornato i grandi campioni che hanno fatto la leggenda del ciclismo nel Nord Italia o in Toscana. L'unica regione meridionale che aveva occupato un posto di rilievo in questa storia è stato l'Abruzzo.
Per tracciare un bilancio dell'anno non possiamo che partire dall'evento clou: un ciclista siciliano ha dominato il Tour de France. Vincenzo Nibali ha reso senz'altro straordinaria non solo la sua stagione ma quella dell'intero movimento nazionale, compiendo un'impresa di enormi proporzioni. Pensare che prima del campionato nazionale, vinto da Nibali la settimana prima dell'avvio del Tour, la squadra lo aveva aspramente criticato: all'arrivo del campionato italiano Nibali aveva pianto, era la prima vittoria dell'anno ed era la miglior risposta alle aspre critiche del suo staff tecnico. È seguito un Tour de France da incorniciare, con quattro vittorie di tappa ed un dominio raramente visto nella classifica finale. Si è capito subito, con la vittoria di Sheffield nella seconda tappa, in che forma era il campione siciliano. Due giorni ha sbaragliato la concorrenza nella tappa di Arenberg, piccola Parigi Roubaix corsa in un clima da tregenda. Successivamente ha dominato un tappa sulle Alpi ed una sui Pirenei. Una vittoria fantastica, da cannibale!
Qualche commentatore ha malignato sull'assenza di avversari che potessero contrastarlo. Basterebbe aver seguito con una certa attenzione la stagione ciclistica per capire che, al di là dei ritiri di Froome e Contador, al Tour non ce n'era per nessuno. La preparazione condotta da Nibali e dal suo staff è stata perfetta, è entrato in forma al momento giusto ed all'avvio del Tour era largamente il più forte nel novero dei possibili favoriti alla vittoria finale. Considerate la progressione della carriera di questo campionissimo dal 2010 in poi: quello che allora era il luogotenente di Ivan Basso, nel 2010, vince un po' a sorpresa La Vuelta; nel 2011 corre il Giro a supporto di Basso e sale sul podio; nel 2012 arriva terzo, dietro Wiggins e Froome al Tour; nel 2013 stradomina il Giro d'Italia vincendo anche in questo caso su tutti i percorsi e con tutte le temperature, di seguito perde la Vuelta nelle ultime due tappe in maniera quanto meno sospetta (vince Horner un 42 enne americano che non era mai andato così forte, i dubbi sono tanti ma Vincenzo non batte ciglio); nel 2014 stravince il Tour. È nel ristrettissimo gruppo di campioni che è salito sul podio ed ha vinto tutte e tre le grandi corse a tappe.
Anche il modo di vincere fa la differenza: Nibali domina e controlla le corse a tappe che fa sue. Lo fa con signorilità e palesando una tranquillità e cortesia davvero estranee al mondo del ciclismo moderno. Negli ultimi due anni i giornalisti al seguito del Tour avevano faticato non poco per intervistare gli ultimi due vincitori del Team Sky: Wiggins e Froome. Lo staff Sky chiedeva ai cronisti di raggrupparsi in numero di almeno sei o sette per rilasciare interviste che non facessero perdere troppo tempo ai loro campioni, consentendo di tenere le sessioni di massaggi incombenti, le riunioni tattiche con la squadra etc.. Nibali quest'anno è sembrato avere tempo e sorrisi per tutti. Ciò mi ha indotto a fare alcuni paragoni con campioni, non solo ciclistici del passato. Per la serietà e la pulizia dell'immagine di atleta immacolato, rispettoso dei compagni e degli avversari, mi ha ricordato due campioni che ho intravisto nella mia infanzia: Felice Gimondi e Giacinto Facchetti. Nella gestione della corsa della corsa e nel modo signorile e pacato di dominare il gruppo mi ha ricordato l'ultimo “re illuminato” del ciclismo mondiale, il Navarro Miguel Indurain. Ancora oggi Indurain è ricordato con grande rispetto, quasi con affetto, anche dai suoi rivali, anche da coloro che hanno subito sconfitte a ripetizione dal Navarro. Anche Indurain ha perso una grande corsa a tappe in maniera estremamente sospetta (il Giro d'Italia vinto da Berzin), ma non ha fatto casino, ha ripreso a pedalare ed a dominare le corse.
La gestione sportiva ed umana della carriera di Nibali è esemplare. Quando la famiglia di Vincenzo si accorge del talento assoluto che ha in casa, accetta di buon grado l'idea del trasferimento in Toscana, regione d'adozione dello Squalo. Lì Vincenzo ha una seconda famiglia, un nuovo affetto quasi materno. La progressione dei successi del siciliano è lenta ma inarrestabile; di anno in anno affronta sempre nuove sfide, con un crescendo inarrestabile. Anche il passaggio all'Astana arriva al momento giusto, per la prima volta Vincenzo ha a sua totale disposizione una squadra di grande livello internazionale e dimostra di saper essere un grande leader del gruppo. Credo che sarà un grande protagonista della prossima stagione, in coppia con un giovane talento del ciclismo italiano, anch'egli isolano dell'Astana: Fabio Aru. Il sardo è stato la grande sorpresa dell'annata: due tappe al Giro, due alla Vuelta, sempre arrivi in salita di notevole difficoltà e prestigio, un mondiale gareggiato da protagonista. Nel 2015 lo schema di corsa dovrebbe prevedere per entrambi la partecipazione al Giro ed al Tour: si punta alla maglia rosa per Aru ed alla maglia gialla per Nibali. Due isolani alla conquista del mondo del pedale.
Ultima ed obbligatoria notazione sul 2014. Il ciclismo è sport di sentimenti e ricordi e quindi non si può non menzionare la morte di un grandissimo simbolo del ciclismo italiano. Il più grande commissario tecnico che l'Italia ha mai avuto, l'antico gregario di Fausto Coppi. Fa davvero piacere sapere che Alfredo Martini abbia potuto vedere, ancora una volta, un connazionale con la Maglia Gialla sui Campi Elisi. Credo che anche per lui sia stato un bel modo di salutare il gruppo.
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