
L'instabilità e l'incertezza regnano sovrane in Tunisia. Ma nonostante la situazione che ancora può provocare violente proteste con sanguinose scie di morti e feriti, come nei giorni passati, sulla quella sponda del Mediterraneo si sta comunque organizzando l'assistenza, per quello che le risorse consentono, alle persone in fuga dalla Libia dove è in atto una guerra civile. Evidentemente non è tutto fuori controllo e nonostante l'ora terribile c'è spazio per l'umanità [1].
Tunisia. Tozeur. Nuove Generazioni. Gennaio 2011. Foto Margherita Pallottino
La protesta della scorsa settimana – con una manifestazione che venerdì ha visto, secondo molti organi di informazione, oltre centomila persone per strada – ha squassato il governo in carica. Contestato già dalla sua nomina per la contiguità al regime di Ben Ali si è dimesso il primo ministro Mohammed Ghannouchi. A catena, hanno abbandonato il campo un altro ministro del regime Afif Chelbi al dicastero dell'industria e della tecnologia, Nouri Jouini a quello della Pianificazione e cooperazione internazionale, Elyes Jouini alle Riforme economiche e sociali Ahmed Néjib Chebbi allo Sviluppo regionale e Ahmed Ibrahim all'Istruzione superiore. Gli ultimi due oppositori storici: il primo del Partito democratico progressista e il secondo capo del partito Ettajdid (il vecchio partito comunista).
Tunisia. Zarzis. Trappole per Polipi. Aprile 2011. Foto Margherita Pallottino
I manifestanti non sembrano aver accolto bene nemmeno la nomina a nuovo premier di Béji Caïd Essebsi, ministro e ambasciatore ai tempi di Habib Bourghiba, padre dell'indipendenza tunisina. Forti perplessità sono state espresse dall'Unione generale dei lavoratori tunisini (Ugtt) attraverso il suo segretario aggiunto Ali Ben Romdhane: «Come si può assicurare l'obiettivo auspicabile di far uscire la Tunisia dalla situazione difficile in cui si trova se il presidente non si è dato nemmeno 24 ore di consultazioni per la designazione di un primo ministro, chiunque esso sia?» [2].
chiediamo la dissoluzione del Parlamento, la creazione del ‘Consiglio nazionale per la protezione della rivoluzione', l'elezione di un Consiglio incaricato di riscrivere la Costituzione e la designazione di un governo temporaneo di tecnici che porti alle elezioni e i cui membri si impegnino a non prendere parte alla consultazione elettorale>> [3].
Da una parte la vigilanza e l'opposizione resta ferma contro i sempre presenti rappresentanti o fiancheggiatori delle vecchia guardia dall'altra resta quindi accidentato il processo di transizione che dovrebbe portare alle elezioni democratiche nel luglio prossimo. Secondo alcuni opinionisti la mancata stabilizzazione del potere potrebbe accentuare la radicalizzazione con il risultato di favorire quelle frange che tenderebbero a destabilizzare il processo democratico [4]. Basti solo pensare tutte le forze della sicurezza e cosiddette speciali impiegate dal regime a tutela del proprio potere e che in questo momento non hanno punti di riferimento e che dovrebbero essere posto sotto controllo.
Tunisia. Tozeur. Preghiera del Magreb. Dicembre 2010. Foto Margherita Pallottino
Questa fase di controversa e rivoluzionaria transizione bisogna considerare il ruolo che svolgerà il partito Ennahda il cui leader, Rachid Ghannouchi, è rientrato dall'esilio londinese e che vuole assolutamente far parte del governo. La componente islamica non è marginale anche se la Tunisia e i suoi cittadini hanno un approccio decisamente più laico rispetto a molte altre realtà. Se si deve fare un parallelo nel paese il raffronto va alla Turchia di Ataturk.
Delle difficoltà di questo processo rivoluzionario fanno parte i “costi finanziari” e in generale lo stato economico della nazione. Le perdite secondo alcune stime ammonterebbero ad una cifra tra i 4 e i 6 miliardi di euro con l'aggravante di una crescita rallentata insufficiente a migliorare l'occupazione, secondo la Banca africana di sviluppo, e con un milione d tunisini che vivono nella povertà non è una prospettiva accettabile [5].
Ma l'approdo a uno stato democratico che giunga ad una più equa distribuzione delle risorse ed ad un suo impiego più efficiente lascia sperare in un recupero in tempi brevi alla crescita anche economica.
Pasquale Esposito
[1] <<Lo staff dell'UNHCR sul posto ha definito ‘senza precedenti' l'impegno profuso dai civili, dalla Mezzaluna Rossa e dall'esercito tunisino, sui quali adesso però la pressione si sta facendo eccessiva>>, “LIBIA: PIÙ DI 140.000 IN FUGA VERSO EGITTO E TUNISIA. UNHCR POTENZIA ASSISTENZA”, www.unhcr.it, 1 marzo 2011
[2] Giuliana Sgrena, “Tunisi non si arrende”, Il Manifesto, 1 marzo 2011
[3] Anna Lisa Rapana, “TUNISIA: ANCORA ACCIDENTATA LA STRADA DELLA RIVOLUZIONE”, www.ansamed.it, 2 Marzo 2011
[4] Alberto Tundo, “Tunisia, la transizione difficile”, www.peacereporter.net, 28 febbraio 2011
[5] Frida Dahmani, “La BAD et l'UE au chevet de la Tunisie”, www.jeuneafrique.com, 16 febbraio, 2011
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