
La guerra culturale che le donne non possono perdere. Un anno difficile ha visto in una condizione di particolare vulnerabilità le donne vittime di violenze domestiche a causa della obbligata convivenza con i compagni e mariti maltrattanti.
Nonostante la complessa situazione che si è venuta a creare a causa dell'emergenza sanitaria la CADMI, Casa di Accoglienza delle Donne Maltrattate di Milano, ha continuato la sua attività rimanendo presente e attiva sul territorio.
Dopo un primo periodo di riorganizzazione CADMI è stata in grado di garantire, oltre al supporto in remoto, anche la propria attività in presenza al fianco delle donne, riuscendo a fare la differenza nella vita di tutte quelle vittime di abusi che iniziano un percorso.

Cristina Carelli da oltre 20 anni è coordinatrice della CADMI e ci racconta che è proprio l'isolamento della vittima da parte del violento il primo segno rivelatore che ci troviamo al cospetto di una relazione di abuso.
Rompere l'isolamento diventa quindi fondamentale, la vittima ha un incontro in presenza con l'operatrice del centro anti violenza che l'affiancherà nel suo percorso, accompagnandola per mesi talvolta per anni.
La rottura dell'isolamento e l'incontro con una operatrice della casa è il primo passo verso la consapevolezza che porterà la donna ad riavere uno sguardo positivo ed amorevole su se stessa, sul proprio valore e sulle proprie competenze, restituendole la capacità di riconoscersi persona di valore, condizione indispensabile per realizzare un percorso di successo che si concluderà con la ricostruzione della propria identità e consapevolezza dell'adeguatezza nei ruoli in famiglia e nella società e ovviamente con la fine della relazione violenta.
CADMI riceve ogni anno circa 800 richieste di aiuto che confluiscono nella costituzione di 550 progetti che riguardano supporto alle donne di tipo legale, psicologico, sociale, ma può essere talvolta sufficiente anche il sostegno da parte di un'operatrice per intraprendere un percorso.
L'esperienza di Cristina Carelli ci racconta una realtà di vittime eterogenea e trasversale per livello culturale, situazione lavorativa, nazionalità e ci porta ad allargare la tipizzazione delle vittime non solo a donne che vivono in una qualche condizione di disagio e che quindi sono più fragili rispetto al maltrattante, ma anche a donne con alto livello di istruzione e professionalmente affermate.
La Carelli ci tiene a sottolineare che è necessario uscire dallo stereotipo per cui la violenza riguarda solo un determinato target di vittime in quanto ciascuna di noi, anche la più consapevole, potrebbe incorrere in una esperienza di questo tipo.
I violenti non lo sono quasi mai nella fase iniziale della relazione, il primo schiaffo non arriva mai al primo appuntamento, se così fosse una qualunque donna chiuderebbe la storia passando oltre, ma il violento è quasi sempre un abile manipolatore che intercetta i bisogni della partner. La corteggia e coltiva la relazione e solo nel momento in cui la donna ha fatto un cospicuo investimento emotivo, sentimentale, economico, si è dato vita ad un progetto di vita in comune o addirittura si è diventati famiglia con la nascita di un figlio, solo nel momento in cui il partner è riuscito nell'isolamento della donna dagli amici, dalla famiglia, dalla sua rete di rapporti inizia la fase più drammatica dell'abuso che si manifesta in violenza fisica, psicologica, sessuale o economica.
A questo punto la donna sulla quale si è già compiuta una fase preparatoria fatta di disistima, rifiuto, isolamento non riesce a reagire; inoltre interrompendo la relazione lascerebbe sul campo quello che ha investito. A questo si aggiunga per alcune donne il rifiuto di vedersi addossato lo stigma della “povera vittima” per chi vittima non si è mai sentita nella vita e la “tempesta perfetta” è servita.

I 550 progetti annuali che CADMI segue annualmente accolgono le donne vittime nel momento in cui la relazione violenta si è instaurata ed ha dispiegato i suoi effetti nefasti.
Esiste però anche un lavoro preventivo che i centri anti violenza svolgono, un lavoro teso a fare cultura per mettere in discussione la cultura maschilista dominante ed è in questo secondo ruolo di scardinatori dei dogmi che possono diventare “scomodi” interlocutori per molti attori sociali.
Al fine di intercettare le situazioni che potrebbero sfociare in violenza dobbiamo avere ben chiari quelli che sono i fattori di rischio per poter intervenire a monte della parabola di eventi che porta alla violenza, i campanelli d'allarme, nell'ambito della relazione con l'uomo violento che quasi sempre è seriale nei suoi comportamenti, informare, spiegare, andare nelle scuole, accendere un faro su quelle che sono le narrazioni e le retoriche impregnate di cultura maschilista sulle quali si innescano le dinamiche che portano alla violenza di genere passando attraverso la tipizzazione dei ruoli che vogliono le donne gentili, sorridenti, accoglienti in grado di sopportare tutto pur di non far fallire la famiglia in nome del “bene” dei figli e vede gli uomini nella migliore delle ipotesi vivaci, rissosi, cacciatori e nella peggiore irritabili, pronti all'ira e in preda di istinti sessuali animali.
Importante capire che la retorica maschilista, patriarcale e misogina da vita a narrazioni che non possono essere banalizzate e liquidate come fake news perché di esse è intrisa la storia del genere umano esse sono potenti e in gradi di annientare qualunque gruppo. Pensiamo ad alcune grandi narrazioni che hanno accompagnato l'evoluzione del genere umano: l'origine divina dei faraoni, la superiorità dell'uomo ariano, dell'uomo bianco sull'uomo nero o la narrazione dell'uomo morto e sepolto per la nostra salvezza.
Sono proprio le narrazioni che creano e ripropongono gli stereotipi di genere che portano alle affermazioni del “è sempre stato così e così, queste sono le inclinazioni naturali dei sessi, questi i ruoli, è la nostra realtà” , ma questa è la realtà solo per chi non è in grado di mettere un punto interrogativo alla fine del racconto, la cultura può essere l'esplosivo per cambiare il corso degli eventi.
Uommene nun me fa ridere rice pure “je a vulev bene”
Chiagnere mo nun serve cchiù chi vò bene nun mett e catene
Femmene ca cumbattono ma è na guerra ca nun se po' perdere
E tu cu mme è sbagliat palazz perciò lievt a n'anz, lievt a n'anz
(trad: Uomini, non farmi ridere, dice anche “io le volevo bene” ,piangere adesso non serve più , chi vuol bene non mette catene. Donne che combattono ma è una guerra che non si può perdere e tu con me hai sbagliato persona perciò vattene)
“Uommene” cantata da Pietra di Montecorvino, testo di Gino Magurno.
Adelaide Cacace
Per maggiori info
CADMI
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