L’albero della cuccagna. Puntata 1

L'albero della cuccagna
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Egregio Dottor Colli, mi permetto importunarla con questa mia lettera sebbene lei non mi conosca; io, invece, posso fortunatamente dire il contrario in quanto ho sempre letto i suoi articoli sui giornali e i suoi libri. Per questo motivo, mi sono deciso a compiere quello che io chiamo il grande passo. Raccontare la mia esperienza di guardia carceraria lunga ben 35 anni. Per farlo, ho pensato che lei potesse essere l’unico in grado di raccogliere quello che ho da dire, sempreché voglia confermarmi il suo interesse e la sua disponibilità.
La ringrazio anticipatamente per aver comunque letto la mia lettera.

Angelo Brandimarte

p.s. Io non possiedo computer, pertanto gli eventuali nostri contatti potranno avvenire solo per lettera o incontrandoci.

Deposta la penna nel suo astuccio di plastica, Angelo prese a girare lentamente il caffè, senza staccare gli occhi da quel foglio di carta steso accuratamente sul tavolo di cucina. Quante volte aveva scritto quella lettera e tutte le volte l’aveva stracciata, ora con violenza ora con dolente rassegnazione; mai però aveva perso la speranza che un giorno, ma chissà quando, avrebbe avuto quel coraggio dirompente capace di fargli superare le sue insicurezze e quel ben nascosto disagio culturale, antico retaggio familiare e di una terra, la Sicilia, che sempre si era compiaciuta nel mostrare la sua sudditanza verso il Continente. Ora, a 70 anni, aveva percepito in maniera chiara che quell’assillo avrebbe dovuto avere fine e che lui di coraggio ne aveva ancora a sufficienza, anche per tenere testa a quegli uomini di cultura che ammirava e temeva nello stesso tempo.
Annuendo con sé stesso, si convinse che quella lettera di poche righe, stringata, essenziale come i messaggi che i marinai inseriscono nelle bottiglie, questa volta sarebbe dovuta partire; poi, se il dottor Colli avesse conservato ancora curiosità per quegli argomenti, lui sarebbe stato pronto a regalargli tutti i suoi ricordi.
Ma per farne che cosa, pensò? Un libro? Un saggio sulle condizioni delle carceri? Questo dilemma l’avrebbe lasciato a lui.
Fermamente convinto della sua decisione, Angelo si alzò di scatto per raggiungere la libreria a muro dove, nel grande cassetto centrale, conservava i ritagli di giornale, lettere, appunti, tutti raccolti nella grande cartella di un verde sbiadito dove, con il pennarello, aveva scritto ‘La mia prigione’. Ma prima di chiudere lo sportello, si affannò a cercare, fra le tante cose accatastate, un libro.
Un libro particolare, scritto da Sebastiano Colli nel lontano 1977 proprio sul sistema carcerario e le sue aberrazioni, “Scordiamoci di loro”, ritirato da tutte le librerie dopo appena una settimana dall’uscita e che aveva fatto saggiare allo scrittore, solo per una settimana, il freddo delle celle di ‘Regina Coeli’ dopo la denuncia per diffamazione da parte dell’allora responsabile degli istituti di pena.
Angelo, con sua meraviglia, lo trovò ancora in buono stato, i suoi appunti a matita a piè di pagina perfettamente leggibili e, rivedendo il prezzo di allora, Lire 2.500, pensò al sacrificio fatto per comprarlo lui, che di lire al mese ne guadagnava 250.000 nei primi anni ’70, quando entrò in servizio.
Riunì tutti i ritagli di giornale ordinati cronologicamente ed insieme al libro, li inserì nel piccolo zaino che aveva preso l’abitudine ad usare ogni volta che usciva; non ne aveva certezza, ma sentiva che quella lettera avrebbe sollecitato l’interesse del vecchio giornalista-scrittore e così, come fanno un po’ tutte le persone anziane, aveva preparato in anticipo l’occorrente per quell’incontro che ora, dopo tanti anni di titubanze, gli appariva non più rimandabile.
Chissà se Colli avrebbe voluto vedere anche i nastrini di servizio, ancora cuciti perfettamente sulla sua divisa sotto naftalina? A quelli ci avrebbe pensato dopo, ora voleva solo concentrarsi sulla risposta alla sua lettera che, lo sapeva, sarebbe arrivata. Si, sarebbe arrivata.

Quando invece giunse a casa di Sebastiano Colli, il primo impiego che trovò fu quello di fungere da sottobicchiere alla tazza di cioccolata che riscaldava i pomeriggi del giornalista, ormai quasi sempre impegnato a dipingere quadri di fiori o di animali, oppure fiori e animali insieme.
Solo in serata si ricordò della lettera e quando la tolse da sotto la tazza, con il suo perfetto alone circolare color marrone, la scrutò ben bene poiché una busta scritta a mano era da considerarsi una rarità.
La girò e lesse il mittente: Angelo Brandimarte, Via Ripa Teatina 28 00156 Roma.
Chissà chi poteva essere; di sicuro non un suo ex collega.
Rinunciò ad indagare e prese a leggere, ma già alla terza riga si fermò. Lo aveva colpito il fatto che chi gli scriveva avesse letto non solo tutti i suoi articoli, già di per se azione degna di un certosino, dato che di testate di giornali ne aveva cambiate cinque, sei o forse sette addirittura, ma anche i suoi libri – in tutto tre – ormai rarità editoriali perché scritti una quarantina di anni prima e perché, principalmente, erano stati tutti ritirati dalla vendita causa l’argomento trattato e la precisa attribuzione di fatti e misfatti ai potenti politici dell’epoca.
– Strano tipo questo Brandimarte – pensò.
– Ma cosa vuole? Raccontare le sue esperienze di lavoro come guardia carceraria… i suoi ricordi, forse? –
– Ah, non è più tempo per queste cose. Oggi la gente, ma specialmente i giovani, se ne fregano di questi argomenti e poi… e poi raccontati magari in un libro o in una conferenza tenuta da due mummie che insieme fanno poco meno di 150 anni. È una richiesta pazzesca – concluse.
– Ora gli risponderò garbatamente, ringraziandolo per aver comunque pensato a me e per aver letto i miei libri ma che… che… date le mie precarie condizioni fisiche… si, così va bene… sono a malincuore costretto a declinare la sua proposta -.
– E poi, anche volendo accettare dovrei riprendere carta e penna e ricominciare a scrivere a mano perché Brandimarte non ha il computer… no, no, non è roba per me. Non ho più tempo per fare lo scrivano e ho i miei quadri da finire… ma poi, pensandoci bene; cosa potrei aspettarmi di sentire se non cose che già conosco, vecchie di quarant’anni, ormai sepolte nei ricordi?
E perché dovrei ricordare quei tempi? Lo so solo io la fatica che ho fatto per guadagnarmi il lavoro, le assemblee in quei sottoscala, poco meno che cantine – almeno senza topi – ma piene di fumo, dove si parlava dalle tre alle cinque ore senza mai concludere pressoché nulla se non ribadire per la milionesima volta il rifiuto del capitalismo, unica radice di ogni male dell’umanità.
Che pazzo sono stato! Si, ma almeno avevo trent’anni; ora sembra che questi settantacinque si siano stancati di farmi compagnia e stanno per lasciare il posto a quegli insolenti dei fratelli maggiori.
Ma siamo matti! Ributtarmi indietro nel tempo, no e poi no; domani gli rispondo e arrivederci -.

Come ricorda la saggezza popolare, la notte porta consiglio ma alcune volte anche pensieri, dubbi e insonnia. Angelo Brandimarte e Sebastiano Colli quella notte confermarono in pieno quel vecchio adagio.

Il primo, tormentato dal dubbio di aver fatto bene ad inviare quella lettera, lasciava di continuo il letto per riaprire lo zainetto e controllare se tutti i ritagli di giornale fossero al loro posto; toccava il libro e questo gli forniva un appagamento momentaneo e la convinzione che quel passo, meditato per anni, andava fatto.

Colli, dal canto suo, si limitava a svuotare di continuo il posacenere ingombro di mozziconi e di sigarette fumate a metà per poi ripiombare in quello che stava per trasformarsi in un vero e proprio incubo; – perché quel tizio si è rivolto proprio a me? Di giornalisti ce ne sono tanti, ma no! Solo con me vuole parlare! Io non voglio perdere la mia tranquillità, e poi per cosa? Conoscere la vita di un secondino? E se questo Brandi… come si chiama…, fosse uno di quei bastardi che ho combattuto e denunciato ogni volta che ho potuto? Chi me lo dice? Comunque, devo rifletterci sopra prima di rispondergli – concluse spegnendo l’ultima sigaretta. Quando giunse l’alba, la situazione non era migliorata per nessuno dei due.

Angelo aveva ricontrollato per la quinta volta che tutti i suoi ricordi cartacei fossero ordinati e allo stesso posto, come temendo che in quelle quattro ore scarse di sonno, terribili folletti notturni avessero potuto prendersi gioco di lui scompaginando quel piccolo scrigno di preziosi fogli di carta che sintetizzavano i suoi anni di lavoro.

Sebastiano, terminato anche il secondo pacchetto di sigarette, ciondolava per casa pronunciando la solita litania: “Perché ha cercato proprio me?”. Quella domanda, ripetuta ormai in maniera ossessiva, invece di spingerlo verso uno stato confusionale che non prometteva nessuna via d’uscita, agì stranamente come un energetico tonificante per i suoi neuroni cerebrali.
– Cerchiamo di essere razionali – pensò, fermandosi di scatto in mezzo al corridoio; – se quel tizio ha scritto quella lettera vorrà dire che qualcosa di interessante è in suo possesso; non posso credere che una persona richieda un contatto solo perché, magari, si sente solo e ha bisogno di parlare.
E poi io sono ancora un giornalista, in pensione, ma sempre un giornalista che non può lasciar cadere nel vuoto un abboccamento. Basta pennelli, rose, gladioli, mucche; si torna in prima linea come ai vecchi tempi.
Si, ora risponderò a quel Brandimarte – accidenti, mi sono ricordato anche il nome; questo è buon segno! – e gli dirò che sono lusingato per il suo interessamento nei miei confronti e che sono disponibile a leggere e a rispondere a tutto quello che vorrà scrivermi. Bene, cominciamo subito e per dimostrargli la mia disponibilità gli risponderò scrivendo anche io con la penna -.

Gentile Signor Brandimarte,
ho ricevuto la sua cortese lettera e non le nascondo la sorpresa e il piacere che mi ha arrecato nell’apprendere che lei si ricordi ancora di me sia come giornalista che come scrittore. Converrà, che la sua richiesta appare abbastanza originale non tanto in sé stessa – raccontare a qualcuno la propria vita è pur sempre, dal mio punto di vista, un atto di umiltà e condivisione – quanto per l’argomento che la giustifica; il mondo delle carceri non è mai stato un tema privilegiato dai lettori anche se quel macrocosmo veniva raccontato dal ‘di dentro’. Oggi poi, dove l’indifferenza e l’ignoranza regnano come sovrane incontrastate, temo – anzi, ho la certezza – che la sua storia possa al massimo interessare noi due soltanto. Ciò non significa che io non apprezzi la sua iniziativa e, per confermarle tutto ciò, dichiaro la mia disponibilità a ricevere per posta tutto il materiale che vorrà sottopormi.
Voglia gradire i miei più cordiali saluti.
Sebastiano Colli

Stefano Ferrarese

L’albero della cuccagna è uno dei racconti della raccolta
Mettersi in gioco di Stefano Ferrarese
Casa Editrice Serena
pag. 219
€ 15,00

Copertina
Sarah Del Giudice
Mettersi in gioco
Opera in bronzo, 2008

Le successive  puntate saranno pubblicate ogni sabato alle ore 15:00

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