
Renzi, e tutta la classe dirigente renziana si distinguono con dichiarazioni e annunci, non sempre documentati, sui quali spesso sono costretti a ritornare per chiarire, ribadire, precisare ecc. questa è un'altalena che non sfugge agli osservatori più attenti, ma che vista l'invadenza e l'allineamento dei media sfugge ai più.
Sembra opportuno approfondire le solite affermazioni apodittiche partendo dai fatti e analizzando le contraddizioni di alcuni motivi conduttori della dialettica renziana.
Il Pil, la disoccupazione, il numero di occupati e infine il salvataggio delle Banche, sono sbandierati e abusati quali elementi distintivi della pretesa ripartenza e della efficienza finalmente raggiunta dal nostro paese.
Prima affermazione “Pil”: «Dopo tre anni finalmente il Pil quest'anno sarà positivo e – annuncia – meglio delle previsioni di inizio anno» [1].
Nel contesto monetario favorevole, creato dalla BCE, con un costo del danaro incredibilmente basso e un costo del petrolio arrivato a livelli inimmaginabili era difficile rappresentarsi una performance peggiore: l'incremento secondo tutti gli osservatori sarà al massimo dello 0,7%. Inferiore allo 0,9% previsto, con il rischio conseguente di perdita di 1,6 miliardi di entrate fiscali per i conti pubblici [2].
Il Ministro del Tesoro ha parlato di flessione collegata alla guerra e alla situazione difficile dopo gli attentati terroristici. La tesi è poco verosimile, sia perché Francia (si proprio la Francia!) e Germania mantengono le previsioni di chiusura, ma soprattutto perché il calo è iniziato molto prima delle avvisaglie dell'aggravarsi della crisi che peraltro al momento non sembra una guerra capace di sconvolgere gli equilibri economici del mondo.
Semmai gli equilibri sono scossi dalla grave crisi dei paesi emergenti, Cina compresa. Per cui l'Export frena, mentre l'import incrementa con l'aumento dei consumi che si attesta a un più 1%, l'unico indicatore positivo registrato oltre al calo della spesa per interessi sul debito.
Altro che ripartenza e motore per l'Europa! Purtroppo l'Italia è al palo e mantiene meritatamente gli ultimi posti fra le nazioni dell'area euro. E sarebbe opportuno che, come auspicato da Daveri, il governo, senza brandire facili trionfalismi, predisponesse almeno un racconto, se non un piano vero e proprio, in cui si spiega come intende fare fronte alla possibilità di scenari meno rosei del previsto per il 2016. Oltre ad ammettere definitivamente che sul piano dei conti ormai un governo può fare molto poco vista l'influenza dei fattori esterni che non possono essere chiamati in ballo solo per giustificare eventuali problemi. Mentre i meriti sono tutti conseguenze dirette delle misure dell'esecutivo.
In realtà qualche merito l'esecutivo potrebbe ascriverlo alla propria attività se solo provvedesse con urgenza a due cose delle quali sembra preoccuparsi troppo poco: gli investimenti produttivi e il divario Nord-Sud, invece di preoccuparsi di manovre con maggiore ricaduta elettorale quali l'eliminazione delle tasse sulla casa o i 500 euro ai diciottenni.
Bagnoli, una vista dell'ex-Italsider. Foto Pasquale Esposito
Seconda affermazione “Lavoro”:«l'anno scorso la disoccupazione era al 13% oggi all'11,5%, è ancora alta ma è un punto e mezzo in meno, la disoccupazione giovanile stava al 46% ora è al 39,8. Se uno fosse contento del 39,8% andrebbe ricoverato, ma nel giro di un anno e mezzo il Jobs Act ha fatto 300 mila posti di lavoro».
Il discorso si fa complesso, perché sorgono molti quesiti:
• Come mai aumentano anche i disoccupati oltre agli occupati?
• Quanto ci costa la decontribuzione?
• Perché aumentano gli occupati ultracinquantenni?
• Perché aumenta anche il numero dei contratti a termine che resta ampiamente preponderante?
• Perché l'impatto sull'occupazione giovanile è così limitato?
Il tasso di disoccupazione, dipende dal numero delle persone in cerca d'occupazione. Purtroppo molti si scoraggiano e non cercano più e, disgraziatamente, questo succede sempre di più al sud, alle donne e ai giovani! Conseguentemente il tasso percentuale può diminuire, non tanto per il numero di coloro che trovano un'occupazione, ma per il numero di quelli che rinunciano a cercarlo. Non viene tenuto conto di una terza fascia costituita da soggetti inattivi (che non hanno lavoro e neppure lo cercano). È quindi possibile che aumentino occupati e disoccupati e che il tasso percentuale prefiguri o rafforzi un aumento che non c'è o è inferiore alla realtà.
Questo è il motivo per cui gli economisti degli Stati Uniti non stimano mai l'occupazione utilizzando tassi percentuali, ma valutano solo numeri in assoluto. E questo è anche la trave portante delle altalene sull'argomento occupazione, per la quale si possono trovare sempre indicatori positivi o negativi.
L'Istat definisce la situazione come un quadro che non è mai stato trionfale e che sta peggiorando: «Il recupero dell'occupazione al netto della stagionalità sembra subire una battuta d'arresto nei mesi più recenti; la lieve crescita registrata nel periodo agosto-ottobre (+0,1%, +32 mila unità), è infatti sintesi dell'elevato incremento registrato nel mese di agosto e dei cali successivi – di analoga intensità – manifestatisi a settembre e ottobre (-0,2%)» [3].
Certamente le misure del Jobs Act, sia pure a caro prezzo (fino a 8.000 € annui per lavoratore), hanno contribuito alla stabilizzazione dei contratti, una cosa positiva ma pagata molto cara. La trasformazione dei rapporti di lavoro in rapporti stabilizzati grazie alla decontribuzione spiega anche il fenomeno delle assunzioni degli ultracinquantenni. Il costo totale da sostenere, dunque, per finanziare le assunzioni a tempo indeterminato, potrebbe perciò arrivare a 2,3 miliardi di euro nel 2015 e a 5,2 miliardi nel 2016. Una cifra ingente se parametrata ai risultati: tra gennaio e settembre 2015, l'occupazione è aumentata di 247 mila unità in un anno se si includono i 369 mila contratti a termine o di apprendistato trasformati in inquadramenti a tempo indeterminato
Giorgio Alleva, presidente Istat, sosteneva nell'intervista estiva al Fatto Quotidiano, di non ritenere gli effetti del Jobs Act eccezionali con l'unica eccezione della stabilizzazione dei contratti precari; una situazione, da confermare soprattutto sul medio periodo, che non autorizza il governo a festeggiare l'aumento dell'occupazione.
Purtroppo i dati provenienti dall'Istat confermano che il miglioramento dei dati sull'occupazione non hanno influito sul numero di ore lavorate, che non crescono, come accadrebbe in presenza di crescita economica intensa.
Sempre Alleva in un suo intervento sul programma “Garanzia Giovani”: rilevava che per il contenimento della disoccupazione giovanile che è arrivata al 44,2% servono strumenti diversi. Ed è sempre più evidente e certificata la correlazione tra formazione e disoccupazione. L'Italia è il Paese Ocse con il più basso tasso di spesa pubblica per la formazione. =
I vaucher sono un efficace indicatore dell'andamento del lavoro precario. I “buoni lavoro” (voucher) sono uno strumento di pagamento dell'ora di lavoro, il cui valore netto in favore del lavoratore è di 7,50 euro e corrisponde al compenso minimo di un'ora di prestazione. Il costo per il datore di lavoro è 10 euro compresa la copertura previdenziale presso l'INPS e l'INAIL. Quest'anno fino a Settembre i voucher venduti erano 81 milioni e raggiungeranno entro la fine del 2015 oltre 100.000 milioni, i lavoratori coinvolti arrivano a un milione di unità. I dati sono enormemente superiori a quelli dell'anno precedente e delineano un affermarsi di questo strumento contrattuale che sembra anche dopo il Jobs Act essere preferito ad altre tipologie che pur non essendo stabili, darebbero al lavoratore maggiori garanzie.
Terza Affermazione “Banche”.
«La Banca d'Italia non ha nulla da temere – è la linea comune emersa dopo continue consultazioni tra il governatore Ignazio Visco, il direttore generale Salvatore Rossi, e i due vicedirettori Fabio Panetta e Federico Signorini – la coscienza è a posto e la vigilanza per quello che ci risulta ha fatto il suo dovere. Il sistema bancario italiano è più che solido, migliore di quello di altri paesi». «La vicenda subordinati non è facile, ma cercheremo di aiutare queste persone. Che però non sono truffate: hanno siglato contratti regolari, sia chiaro». Ma poi: «La riforma del sistema del credito è quanto mai urgente, come abbiamo visto non solo nelle ultime ore ma nell'ultimo anno con la riforma delle popolari».
Ecco di nuovo l'altalena! Il Presidente del Consiglio ha prima descritto i piccoli risparmiatori (135.000 solo i piccoli azionisti raggirati!) condizionati a investire i propri risparmi come finanzieri sottoscrittori di contratti regolari che non accettano i rischi della speculazioni. Poi, viste le reazioni, cerca di correre ai ripari addirittura promuovendo l'istituzione di una commissione d'inchiesta.
Tutto parte dalla gestione sui generis delle quattro banche, che sia pure in un momento di crisi economica hanno accumulato crediti in sofferenza per oltre 200 miliardi. La Vigilanza della Banca d'Italia viene accusata più o meno sommessamente da più parti e anche dal commissario Jonathan Hill di aver vigilato poco [5].
Il sistema è solido o è urgente riformarlo? La Consob che ha fatto? Che cosa avrebbe dovuto fare? La “Vigilanza” ha fatto il suo dovere! Bene! Ma come mai si è intervenuto solo adesso e si continua a litigare con la Commissione Europea?
Intanto l'Italia inaugura un nuovo corso dopo che per decenni il conto dei dissesti creditizi delle Banche è stato appianato dagli Stati, (in Europa dopo il crack di Lehman Brothers: gli aiuti ai sistemi creditizi nazionali hanno accresciuto il debito pubblico di quasi 250 miliardi in Germania, quasi 60 in Spagna, 50 in Irlanda e nei Paesi Bassi, poco più di 40 in Grecia, 19 circa in Belgio e Austria e quasi 18 in Portogallo). In Italia il sostegno pubblico è stato di circa 4 miliardi, tutti ormai restituiti ma i tempi sono cambiati e l'Italia pur avendo contribuito con notevoli risorse ai vari salvataggi, in questa occasione non è riuscita a trovare con i burocrati europei un compromesso, che permettesse di adottare un provvedimento più benevolo nei confronti di quelli che avevano investito sulle Banche. La Commissione europea è addirittura intervenuta a difesa dei consumatori, insinuando per bocca del Commissario Ue ai servizi finanziari Jonathan Hill, che fossero stati venduti prodotti inadatti a clienti che «neppure sapevano cosa stessero comprando e incolpando il governo italiano alla guida del processo di salvataggio delle 4 banche italiane che ha la responsabilità per la mancata tutela dei consumatori».
Il cosiddetto “Bail-in”, legge voluta dall'Europa, che entra in vigore dal 1° Gennaio 2016, prevede che il salvataggio sia innanzitutto a carico degli azionisti e dei titolari delle azioni subordinate delle banca (sono esclusi i correntisti con 100.000 euro al massimo), è stato parzialmente applicato dal momento che il decreto adottato dal governo esclude dal salvataggio solo tutti i correntisti (anche quelli con più di 100.000 euro) e questo ha inevitabilmente provocato la rabbia montante dei migliaia truffati, suicidi, proteste e tutti gli strascichi che hanno riempito le cronache di questi giorni.
Il Ministro Padoan ha parlato di aiuti umanitari per alleviare le posizioni più deboli (gli indigenti in seguito alla crisi!). Aggravando rabbia e proteste. E dimenticando che la tutela del risparmio è un precetto della Costituzione (art. 47)
Quello che è certo è che la crisi di questi giorni ha lasciato un ulteriore problema al Governo: aver accettato il “Bail' in” che, nonostante l'art. 47 della Costituzione, fa carico ai risparmiatori di eventuali dissesti. Il Governo accusato anche di scarso peso in Europa, e da Saviano, addirittura di macroscopici conflitti di interesse, collegati al fatto che il vicepresidente di una delle Banche coinvolte è il padre della Ministra Boschi.
Francesco de Majo
[1] La Stampa, 2 dicembre 2015
[2] Francesco Daveri, “Tutte le implicazioni di una deludente crescita 2015 “, www.lavoce.info, 1 dicembre 2015
[3] Istat, Il mercato del lavoro III trimestre, 11 dicembre 2015
[4] Il programma per l'occupazione giovanile co-finanziato dall'Unione europea che ha dato pessimi risultati su scala continentale
[5] Il Fatto Quotidiano, 10 dicembre 2015
[6] la Repubblica, 11 dicembre 2015
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