L’Argentina ancora in ginocchio chiede aiuto al FMI

history 5 minuti di lettura

Dopo quasi tre anni di neoliberismo che avrebbero dovuto risolvere i problemi della presidenza della moglie di Kirchner, Cristina Fernandez, l’Argentina si ritrova sul lastrico.

La crisi economica e sociale potrebbe risultare simile a quella del 2001. E per questo vale la pena ricordare brevemente cosa accadde e lo farò usando le parole di Francesco Vigliarolo in un suo breve saggio: «la crisi del 2001 avvenne dopo 10 anni di neoliberismo sfrenato che portò a un debito pubblico esterno di 144 miliardi di dollari (con un incremento di circa 24 miliardi di dollari rispetto all’anno precedente). […] una crisi chiamata “globale” perché investì tutti i campi. Tra le sue nefaste conseguenze, si ricorda un’indigenza di massa, praticamente inesistente prima degli anni ’90, e una caduta vertiginosa dei dati della povertà passando in pochi mesi, dal maggio del 2001 a dicembre dello stesso anno dal 32,7% al 54,3%. Fu una crisi globale e vertiginosa perché fallirono anche circa 10.000 imprese in tutto il Paese, e al 2002 si fece registrare un tasso di disoccupazione del 21,5% seguendo un andamento crescente dal 1999 di 6 punti percentuali. Dato che insieme al tasso di sottoccupazione (ovvero di coloro che lavorano meno di 35 ore settimanali ma vorrebbero lavorare in condizioni di tempo pieno) arrivò ad essere del 40%» [1].

In poco tempo la moneta argentina, il peso si è svalutato di oltre il 30%, l’inflazione è al 30% e la Banca centrale ha portato il tasso d’interesse al 60% aggravando ulteriormente la crisi economica con un Pil in calo, secondo le stime di un 2%. Mentre la povertà è molto cresciuta già nell’ultimo anno e così le manifestazioni di protesta. E che la situazione possa essere giudicata esplosiva lo dimostra il fatto che il neoliberale presidente dell’Argentina, Mauricio Macri ha deciso di riformare l’esercito che «secondo il decreto 727 del 2006 di Néstor Kirchner, i militari argentini erano autorizzati a difendere il territorio da minacce esterne solo di altri Stati. Adesso invece potranno intervenire contro qualsiasi minaccia esterna (art.1 del decreto 683 di Macri). Il problema per gran parte dell’opinione pubblica è trovare un punto di equilibrio fra la sicurezza interna e la difesa nazionale. Le Ong chiedono con forza che i militari non si occupino di questioni interne, nemmeno per il supporto logistico» [2]. È un po’ difficile credere, vista la storia del paese, che li voglia «utilizzare per attività di contrasto a terrorismo e narcotraffico, e per il controllo delle frontiere» come ha dichiarato il presidente stesso [3].

La ricetta per affrontare la crisi valutaria è quella di una pesante austerità per ottenere anticipatamente le rate del prestito del Fondo monetario internazionale per un totale di 50 miliardi di dollari che verranno chiesti ufficialmente nella riunione di domani a Washington. Oggi Macri ha annunciato le misure che dovrebbero ridurre il deficit di bilancio all’1,3% del Pil nel 2019 (ora è quasi al 6%)  partendo da una tassa dell’1% sulle esportazioni che sono una fonte rilevante dell’economia argentina e dall’abolizione di alcuni Ministeri con tutto quello che ne consegue in termini di spese per le attività e di costi del personale. Quello che non si capisce è come si rafforzeranno, secondo il governo, alcuni interventi sociali viste le poche risorse, mentre accrescerà la povertà per sua stessa ammissione.

A leggere quanto scritto da Antonella Mori sembra che gli interventi di Macri, dal momento del suo insediamento, fossero nella direzione giusta anche se non ha saputo calcolare bene la situazione dei mercati internazionali e così «decise di abolire i vincoli sugli acquisti di dollari, di adottare un tasso di cambio flessibile, di eliminare le principali tasse sulle esportazioni e di iniziare una graduale riduzione dei sussidi all’energia e ai trasporti. Il forte deprezzamento del pesos e l’aumento dei prezzi delle utilities fecero crescere molto l’inflazione nel 2016. Un effetto ampiamente atteso anche se probabilmente sottostimato. Fin dall’inizio il governo Macri ha avuto l’obiettivo di ridurre il disavanzo pubblico in modo graduale, sia per attenuarne l’impatto sociale sia perché, non avendo la maggioranza in Parlamento, ha dovuto ricercare il dialogo e la collaborazione con le altre forze politiche. Dopo anni di protezionismo e isolamento internazionale, Macri ha puntato anche su una strategia di “inserimento intelligente nel mondo” cercando di rafforzare vincoli bilaterali e con organizzazioni multilaterali. L’Argentina sta così cercando di migliorare le relazioni economiche con vari paesi, dall’Unione europea e gli Usa alla Cina e la Russia. Gli Usa, per esempio, hanno riammesso l’Argentina al Sistema Generalizzato delle Preferenze americano, da cui era stata sospesa nel 2012, e così dal primo gennaio 2018 più di 500 prodotti argentini possono essere esportati negli Stati Uniti a dazio zero, un risultato particolarmente significativo alla luce della propensione protezionistica del Presidente Trump» [4].

Evidentemente c’è dell’altro come possiamo capire leggendo Matteo Cavallito: «nell’aprile del 2016, l’Argentina ha raggiunto un contestato accordo con i fondi “avvoltoio”, il gruppo dei creditori dissidenti capeggiato dalla statunitense Elliot Management. L’intesa ha consentito alla società USA di portarsi a casa 2,28 miliardi di dollari pari al 1.200% circa dell’investimento iniziale (177 milioni) condotto attraverso il suo fondo distressed NML Capital. Da allora, come promesso con molta enfasi dallo stesso Macri, Buenos Aires ha ripreso a finanziarsi sui mercati internazionali indebitandosi con grande disinvoltura. Simbolo della dottrina presidenziale il clamoroso bond Matusalemme, il titolo a 100 (cento) anni collocato nel giugno del 2017. A fine agosto 2018 il suo valore sul mercato secondario si colloca a quota 70,5 centesimi per dollaro, il prezzo più basso mai registrato. […] Tra i provvedimenti più controversi la cancellazione dei sussidi statali che avevano garantito per anni tariffe pubbliche a basso costo per energia e trasporti. La loro abolizione ha favorito la crescita dell’inflazione generando un forte malcontento. Il 29 agosto, la Confederación General del Trabajo, principale sindacato del Paese, ha indetto uno sciopero generale per il 25 settembre prossimo, per protestare contro la politica economica del governo» [5].

Al momento, mi sembra di vedere all’orizzonte che nubi cariche di tensione. E un eventuale accordo con il FMI non porterà nulla di buono. A pagare saranno ancora una volta gli argentini. La Grecia insegna.
Pasquale Esposito

canale telegram Segui il canale TELEGRAM

-----------------------------

Newsletter Iscriviti alla newsletter

-----------------------------

Se sei giunto fin qui vuol dire che l'articolo potrebbe esserti piaciuto.
Usiamo i social in maniera costruttiva.
Condividi l'articolo.
Condividi la cultura.
Grazie

In this article