
Agli inizi di febbraio si terrà a Bologna l'ennesima Arte Fiera, una manifestazione artistica sui generis, la cui particolarità è soprattutto quella di esplicare un effetto dilatato nell'ambito dell'intera città. Tanto da potersi più in generale accollare la denominazione di Art City.
Una specie di vaporizzazione eterea invasiva, che pervade ogni strada e portico di Bologna.
Con tutti i risultati possibili che una intera città e la sua sensibilissima cittadinanza sapranno esprimere grazie ad un evento collettivo, addirittura totale.

La direttrice della iniziativa, Angela Vettese, ne sottolinea l'aspetto superiore, globale, che supera il semplice episodio della Mostra d'Arte puntuale, episodica, sia pure importante.
I termini usati dalla direttrice – storica dell'Arte e storica della filosofia italiana – sono quelli di una estesa “contaminazione” culturale, che l'intero ambito urbano subirà (in senso positivo, ovviamente) nel profondo del proprio conscio/subconscio artistico antico/moderno.
Si tratta di circa 150 Gallerie d'Arte coinvolte insieme, lungo un percorso urbano strategico ramificato per ogni dove, e “piacevolmente stravagante” per la intersecazione culturale a tutto campo. Come un dispiegamento artistico a spirale, centripeta centrifuga, che tutto tocca.
Il concetto di Fiera spiega bene il senso unitario della catena artistica in sé concatenata, quindi circolare. Non localizzata, ma disseminata sul territorio più ampio possibile. Meglio Fiera diffusa. E non tanto per un sottofondo commerciale esclusivo, quanto come intenzione di mostrare confrontando, contagiando. Mostre, perfomance, rassegne cinematografiche. Tutti i cittadini coinvolti, comprese le Istituzioni.
Anzi, come spiega meglio l'articolo di Francesca Amé sulla Rivista “Arte” di gennaio 2018 e secondo un intervento dello IUAV di Venezia, l'intento è quello di provocare una “ibridazione crescente” a scala urbana, che distende gli effetti del “gran circo dell'Arte” in ogni luogo, ad espansione totale, coprendo l'intera città, il suo territorio di influenza e oltre. In un certo senso accorciando l‘intervallo grigio tra i mercanti d'Arte e i Direttori di Musei, i Galleristi e gli Artisti, le persone comuni e i Critici d'Arte. Un interspazio annullato “Tra Mostra e Fiera” – riporta ancora Francesca Amé. Un vero e proprio richiamo all'“anima della città”, che nasce e cresce, si gonfia, si allarga, esce fuori, ed “invade” ogni meandro spirituale.

Oserei di più, immaginando il confronto con i tempi in cui l'Arte, come alcuni secoli fa, viveva e si produceva nel tessuto vivo delle città, nelle botteghe degli Artisti, alla pari delle botteghe per le vivande o per gli altri oggetti di consumo corrente. L'Arte nasceva in mezzo alle strade, quindi già dentro la città intera, sotto gli occhi di tutti, contribuendo ad ingigantire e corroborare ancor più il comune senso dell'Arte, già naturalmente diffuso. Che, di conseguenza, contaminava l'Architettura dei singoli edifici, ma anche l'Architettura della città nel suo insieme complesso. Quando non ancora si distingueva tra Architettura ed Urbanistica, perché l'Arte era allora un tutt'uno e forse solo oggi stiamo ritornando a quella condizione antica.
Penso che, forse, è stata proprio quella comune coscienza artistica antica, cresciuta come una seconda pelle, ad edificare con normalità sorprendente, equilibrata ed armoniosa, anche le più normali e povere case, che si aggregavano nel tempo l'una dopo l'altra, secondo un ordine misterioso, lasciandoci i meravigliosi Borghi urbani Italiani, sintesi perfette dell'Italia delle mille e mille città storiche.

Bologna ripercorre questa strada, come un richiamo all'antico senso artistico, ripetuto a tutte le scale dimensionali, dall'oggetto artistico minimo alla grande percezione spaziale, attraverso lo strumento della diffusione impalpabile delle emozioni. Confrontandole, sovrapponendole, sommandole, fino ad ottenere un unico sentimento collettivo, che va ancora più avanti, convergendo.
Esperimenti di questo tipo potrebbero essere moltiplicati ovunque.
Non solo per un ampliamento artistico fine a se stesso, ma per incidere, nel modo più generale possibile, sul comune senso della collettività, che costruisce la sua identità, la sua cultura, la sua storia infinita. Quindi il suo gusto collettivo che è la somma di tutto, trasferendo questa invisibile virtù ai suoi modi di essere, di comportarsi. Conformando in modo originale e diffuso le sue scatole di pietra, dove vivere nel privato, nel pubblico. E, quindi, anche i suoi spazi più grandi, dove nasce il senso uniforme della città storica. Organismo eterno ma mutevole in moto perpetuo. Grazie a tanti elementi eterogenei, ma soprattutto all'Arte, che è la più facile a trasformarsi continuamente in altro da se. Architettura, Urbanistica, Architettura degli spazi aperti, Paesaggi.
Un modo per riportare questo senso complesso di Arte nei nuovi moderni/contemporanei scenari del vivere, gioire e soffrire insieme. Trasformando o comunque umanizzando ciò che nel frattempo è diventato caotico.
Non ci riusciamo solo quando abbiamo perso il comune senso artistico. Attraverso illuminismi e razionalismi vari, tecnicismi e virtuosismi scientifici, sempre più lontani dalla libera sensibilità dell'anima pura. Che ci hanno disperso in un'Arte sempre più multiforme, alternante, che si accartoccia su se stessa, cadendo nella difficile comprensibilità e leggibilità.
Le Arti moderne e contemporanee, nel loro ricercare ossessivamente nuovi percorsi, hanno finito per perdere la comunicabilità. Non è infrequente incontrare persone che liquidano la nuova Arte come incomprensibile, e vanno verso una più rassicurante tecnologia (che tale non è). Che senza l'Arte dello spirito costruisce soltanto mondi solidi, corruttibili.
L'Architettura contemporanea è diventata sempre più iconica, che potrebbe voler dire sempre più autonoma, tanto da diventare astrusa, perché autonoma/indipendente. Passando per una funzionalità insufficiente. L'Urbanistica contemporanea (trascinandosi di crisi in crisi) ha prodotto non solo città incerte, confuse, anche loro sempre più incomprensibili, ma soprattutto ha separato nettamente tra città storica centrale e città moderna, caratterizzata, quest'ultima, soprattutto dal concetto di periferia, che imprigiona la prima.
Come risolvere questi nuovi disagi relativi, se non con il recupero del comune senso di Arte? Tornando ad un'Arte, sia pure evoluta/contorta dai tempi sempre più veloci, ma comunque riportata attorno e dentro di noi. Nuovamente diffondendola con ogni mezzo ed espediente, o con diversi itinerari. Riproducendo nuove contaminazioni. Tra le stesse varie forme artistiche, e non più separando le scale rispettive, ovvero il loro minore, maggiore o nullo tasso di funzionalità. Riconsiderando e confrontando in termini meno superficiali le figure specifiche dei rispettivi campi artistici.
Una volta l'Arte barocca, l'Architettura e l'Urbanistica barocche non guardavano alle loro singole figure artistiche, che ovviamente non erano sovrapponibili, ma al loro senso profondo di sentire secondo un comune senso ideale.
Si trattava, allora di una contaminazione artistica trasversale globale, che, a prescindere dalle sue rispettive rappresentazioni, in ogni caso conduceva, ed ancora potrebbe condurre, verso una serie di mondi paralleli ad energie trasmigranti, di cui si può riconoscere solo la continuità emozionale, variegata, fluida. Il contorno non conta.
Siamo il Paese della bellezza, dell'Arte sublime in tutti i modi e versi. Mi sembra che qualcuno, non so dove e quando, ha pronunciato la famosa frase “l'Arte ci salverà'”.
Bologna, ancora una volta, suggerisce uno di questi possibili riscatti. Quindi un modo per riconoscere i nostri visi dissimili in un comune spirito di umanità spirituale infinita.
L'evento bolognese diventa un esempio che tutte le città potrebbero ripetere. Che l'Italia intera può anch'essa celebrare alla scala di amor patrio, oggettivamente sostantivato attraverso una generale mobilitazione sincrona di massa, aprendo e collegando in un afflato culturale all'unisono tutti i Musei Italiani, magari oltre le sole iniziative festive. Ritmando anche in brevi occasioni una simultanea vocazione, o meglio un coro a infinite voci. Viceversa troppo spesso soffocate dalla praticità della vita quotidiana. Gli sprazzi brevi, perlomeno potrebbero farci dimenticare i nostri continui danni industriali.
Mi affascina l'idea che anche ogni città possa anch'essa modulare la sua struttura urbanistica alla propria lunghezza d'onda artistica (ogni città ha la sua). Cercando di smussare gli spigoli delle periferie anonime, e rigenerando, o anche solo ricucendo, l'intero contesto urbano al proprio nucleo antico, che per ora ha il solo compito di tradurre il passato al presente. E il futuro?

È un pensiero ricorrente che mi assale quando nella mia città, Foggia, tipica città meridionale, sento dire troppo spesso che i giovani Artisti locali devono assolutamente andare via per fare fortuna, visto che il loro particolare campo è difficile e sofisticato (?). Per la verità scappano non solo per questo. Se i giovani Artisti restassero l'Architettura e l'Urbanistica della città crescerebbe, contraddicendo l'ultima Graduatoria di Reddit, che classifica, ingiustamente, la città di Foggia come città più brutta d'Italia.
Vanno via perché non c'e spazio di lavoro e, quindi, anche carenza per occasioni di fantasia, in generale e in particolare. Perché è il Sud è il luogo comune di se stesso, che nessuno ancora contrasta davvero. Molto stesso la genialità che opera in altri luoghi viene dal Meridione.
Il Sud era quello che tanto tempo fa era il Paese più splendido splendente. Non solo per il sole, ma anche per la sua Arte semplice/spontanea e passionale al tempo stesso. Che ha formato i paesaggi urbani più genuini, dentro uno spirito artistico naturale. Una dieta mediterranea non solo alimentare, ma anche artistica/culturale.
Eustacchio Franco Antonucci
Bibliografia navigante.
Bologna. Arte Fiera – identità tutta italiana – Francesca Ame' – Rivista “Arte” di gennaio 2018.
Arte Fiera – artefiera.it
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