
Ci risiamo. Il doping rientra prepotentemente nel mondo dell'atletica leggera mondiale ed italiana.
I Russi dell'atletica leggera, solo loro, in quanto tali sono estromessi dalle Olimpiadi.
Non tanto perché trovati positivi, ma solo in quanto hanno avuto la sfortuna di nascere in un nazione governata da un leader, Putin che si è messo di traverso e non approva le decisioni dei potenti del mondo.
Uno Stato che a detta del CIO doperebbe solo i campioni dell'atletica e si disinteresserebbe degli altri che praticano altre discipline dove pure le persone trovate positive sono state tante.
La Russia è ritenuta una nazione dove il doping è di Stato e a nulla serve non essere incappato in alcun controllo o essere magari uno che il doping non lo ha mai usato.
Sei russo, sei dopato e quindi non meriti di partecipare alle Olimpiadi.
Ci avevano provato ad escludere i Russi dai Mondiali di Calcio e altre competizioni con la guerra in Ucraina, utilizzando come argomento il non rispetto dei diritti umani e altre motivazioni, nessuna delle quali legate allo sport. Alla fine, all'unanimità, è stata la IAAF, spalleggiata dal CIO, ad emettere il verdetto votato all'unanimità.
La stessa IAAF che in passato era stata accusata di complicità o quantomeno di coprire questo fenomeno è diventata spietata con gli stessi dirigenti che, a detta di molti, prima cercavano di nascondere la pratica del doping.
Tra le accuse mosse alla Russia c'è quello di avere laboratori che controllavano parallelamente i valori del sangue degli atleti, una pratica, diffusa in tutto il mondo da tutte le federazioni sportive che proprio per evitare sanzioni o altri problemi sono soliti autocontrollare i propri atleti.
Basta leggere, ad esempio, un qualsiasi giornale che si occupi di ciclismo per sapere che nel ciclismo gli stessi atleti hanno spesso i valori dell'ematocrito vicino ai limiti e che le loro squadre li controllano costantemente. Eppure in questo caso non si è ritenuto di agire.
Ora per gli atleti russi non rimane altra strada che il ricorso singolo, caso per caso, al TAS.
La domanda che molti si fanno è: se al potere in Russia vi fosse stato un uomo più vicino alle posizioni occidentali tutto ciò sarebbe accaduto?
Anche nel calcio agli Europei si è notata una certa “intolleranza politica” verso i Russi.
Mentre gli hooligans inglesi mettevano a ferro e fuoco la Francia, il governo del calcio minacciava di esclusione immediata solo i Russi, anche loro colpevoli di scontri.
Nella guerra politica e non tra Russi e mondo intero o forse bisognerebbe dire tra Russi e Americani si intreccia anche la lista delle sostanze proibite che sembrerebbe più degna di una spy story che di una lotta all'antidoping.
La guerra al doping fatta anche di sostanze lecite e non lecite e di nazioni che investono nei loro atleti enormi somme di denaro per avere poi una ricaduta di immagine con le loro vittorie. Senza dimenticare l'intreccio di interessi che deriva dalle consulenze di medici e laboratori farmaceutici pronti a pubblicizzare il loro prodotto miracoloso.
Di recente si è inserita nella lista una sostanza, assai usata tra i Russi, e fino ad allora perfettamente lecita: il Meldonium. Si tratta di un farmaco prodotto in Lituania ed utilizzato contro le cefalee e come anti ischemico.
La prima ad essere incappata in tale farmaco è stata la campionessa del tennis Maria Sharapova, ma insieme a lei decine e decine di atleti russi (170 ad aprile 2016) incrementando quindi in maniera notevole la lista dei Russi dopati che ha portato poi alla squalifica di una intera nazione.
Ma una domanda nasce spontanea: non sarebbe forse il caso che a effettuare controlli e liste delle sostanze fosse un ente al di sopra delle parti? Non vi è il sospetto che si possa fare un uso politico delle liste delle sostanze dopanti e dei susseguenti controlli alle stesse? Così come vi possono essere pressioni politiche sui laboratori Russi non potrebbe accadere lo stesso per Americani, Inglesi e tutti gli altri?
Perché fare un controllo generico a campione su alcune sostanze su alcuni atleti e altri a tappeto su altri?
Sappiamo tutti che i vari organismi internazionali subiscono forti pressioni politiche durante le elezioni dei loro membri, non potrebbe accadere che alcune nazioni possano influenzare le loro decisioni per finalità che nulla hanno a che vedere con i principi decoubertiani?
Intanto in Italia accade qualcosa di molto simile. Alex Schwazer il fresco campione di marcia appena rientrato alle gare e su cui si è scatenata da tempo una feroce guerra più politica che sportiva. Sarebbe stato trovato positivo ad un controllo fatto ad inizio anno quando non poteva gareggiare, in pratica si sarebbe dopato per migliorare le sue prestazioni in allenamento.
La vicenda si contorna del mistero poi per via del fatto che le prime analisi fatte a gennaio avevano dato esito negativo e che invece a maggio una ulteriore ripetizione del test ha dato esito positivo.
Appare poco verosimile che un atleta finito sull'occhio del ciclone e con gli occhi puntati addosso abbia potuto assumere una tale sostanza pensando di non essere scoperto come appare strano che si sia scoperta solo dopo la sostanza incriminata.
Va anche fatto notare che lo stesso Schwazer durante il processo che lo vide coinvolto, ammise di aver assunto steroidi insieme all'epo.
Il doping è una pratica che va stroncata e le procedure devono essere rigide senza distinzioni di sesso, religione, razza, opinioni politiche, nazionalità o disciplina praticata. Il rischio è la progressiva scomparsa dello sport e, ancor di più, danni irrepabili all'organismo a maggior ragione se l'assunzione, per una cultura diffusa, inizia dai giovani.
E intanto oggi alla consegna delle bandiere da parte del Presidente della Repubblica la storia si è arricchita di un ulteriore episodio al limite del grottesco. Un ispettore della IAFF pretendeva di effettuare un prelievo di sangue ed urine alla marciatrice azzurra Elisa Rigaudo ricevendo però un secco no da parte del Presidente della Repubblica che mai si sarebbe aspettato che durante una cerimonia del genere si arrivasse a chiedere un controllo a sorpresa sulle urine di una delle invitate.
Marco Petrella
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