
Il Pocho è un campione assolutamente anticonformista ai nostri giorni, sempre e comunque al di fuori di qualsiasi schema. Per chi non ama l’estrinsecazione del calcio più autentica, Lavezzi è un campione inconcludente, talvolta irritante; ti diranno che si tratta di uno che non è vincente “questo giocatore non alzerà mai un trofeo nella sua carriera!”. Devono però ammettere che è uno degli atleti più spettacolari da ammirare. Chi lo ama, come me, considera il suo gesto atletico pura poesia, non tanto nell’esplosione muscolare della sua progressione, quanto soprattutto per le sue eccezionali doti di controllo. Riuscire a controllare e tenere incollato al piede un pallone a quello velocità, con uno stuolo di difensori aggrappati alla camiseta, talvolta per più di cinquanta metri, è assolutamente un’impresa. Ma non è su questo aspetto tecnico che voglio soffermarmi.
Stadio San Paolo, incontro Napoli-Manchester City, 22 novembre 2011. Foto Luigi Bruni
Di ritorno da una splendide serate trascorse al San Paolo di Napoli, nel lungo percorso che ci riportava verso Roma, è nata la definizione riportata nel titolo. Come spesso ci capita in queste occasioni, stavamo rimembrando vecchie partite vissute sulle gradinate del nostro stadio di casa, ci tornano in mente i campioni della nostra adolescenza e prima gioventù ed ovviamente si parte con i paragoni di rito. In realtà si tratta di storie parallele vissute da me ed i miei amici, nelle quali si mescolano felicemente i ricordi calcistici e quelli di natura strettamente personale, sicchè si tratta di evocare episodi di felicità. Si innescano i più gioiosi meccanismi della memoria: torniamo alla fase della vita in cui eravamo “pura energia potenziale” in attesa di esplodere, non ancora disinnescata o ridimensionata dai piccoli fallimenti raccolti nel frattempo, che ci hanno condotto ad essere degli “adulti consapevoli” (definizione realmente coraggiosa per chi ci conosca). Alle due di quella notte abbiamo quindi deciso che il Pocho è un uomo ed un calciatore del tutto singolare, unico nel suo genere, soprattutto in un’era di grande materialismo. Lui non gioca banalmente per vincere, per insaccare il pallone nella rete avversaria, ma lotta e combatte contro l’intera compagine avversa solo per scorazzare liberamente nel territorio altrui, con l’unico intento di far mangiare la polvere a quanti più avversari possibile. Da quanto tempo non si vedeva un campione così distante dalla realtà quotidiana, così disancorato dalle leggi dell’economia, della matematica e se volgiamo persino della fisica. Neanche il buddista Roberto Baggio gli era paragonabile per l’assoluta purezza del pensiero competitivo. La cifra della sua gioia calcistica non è nel goal o nella vittoria, nella qualificazione al turno successivo o nel possesso di una coppa, ma nello scorazzare per il campo, con la palla assolutamente addomesticata dal suo piede, senza che nessun difensore possa pensare di tenergli lealmente testa. Così mi appare Lavezzi, proprio come i bambini che giocavano sui campi scalcagnati di periferia, senza divisa e con palloni rabberciati, con la sola voglio di tenere quanto più tempo possibile la sfera tra i piedi, nella propria totale disponibilità; giocatori che non avrebbero effettuato un passaggio ad un proprio compagno neanche se fosse stato libero con la porta spalancata davanti. Puro piacere primordiale del navigare con il pallone tra i piedi, sembrerebbe quasi uno degli improbabili campioni leggendari descritti da Soriano (poi dicono che gli scrittori non interpretano le anime più profonde di un popolo).
Tanzania. Scolari in un campo di calcio. Agosto 2006. Foto Angelo Capitani
Al termine delle partite di mostra appieno il suo stato d’animo, non è assolutamente capace di sforzi diplomatici o di artifici polemici: è sempre un po’ triste perché ha finito di giocare col suo adorato giocattolo preferito, ma se non si è espresso al meglio, se non ha adeguatamente galoppato, è quasi disperato. Mi viene sempre in mente l’idea che, dietro il pannello pubblicitario presso il quale si svolgono le interviste in campo, ci sia la madre che lo attende con l’asciugamano e la maglietta di ricambio e che una volta staccata l’immagine il Pocho riprenda a correre felice mentre la Signora Lavezzi l’insegue per farlo asciugare e cambiare “Ezequiel asciugati altrimenti prendi un malanno!”
Vittorio Fresa
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