
La caduta del governo Draghi e il venir meno, quindi, delle aspettative che molti avevano legato al nome del Presidente del Consiglio, ha creato un malumore che ognuno ha espresso a modo suo e con il proprio stile. La polemica nata in merito alle parole della giornalista Concita De Gregorio per presentare la caduta del “mitico” Draghi, è assai utile per riflettere su alcuni equivoci di un paese che sembra sempre a metà del guado fra il passato e un possibile futuro.
Per definire la condizione di Draghi a cospetto delle “truppe” parlamentari, la giornalista ha usato, nel corso del programma In onda, che conduce su La7, questa frase: «Sembrava un titolare di cattedra ad Harvard che è stato incaricato di una supplenza all'alberghiero di Massa Lubrense». Per specificare poi il senso della sua affermazione, la giornalista ha spiegato che l'esempio era utile a capire lo sgomento di chi, con una grande preparazione alle spalle, è costretto a rivolgersi a dei mediocri che non lo meritano.
Harvard contro Massa Lubrense. Harvard può anche essere comprensibile come rimando ad una famosa realtà americana. Perché, però, al capo opposto della catena siamo finiti ad un istituto professionale di Massa Lubrense? (tra l'altro, un posto bellissimo).
C'è qualche esperienza diretta che la giornalista ha fatto ad Harvard e a Massa Lubrense? O si tratta di due luoghi comuni gettati lì per definire, per opposizione, il campo di quelli che possono capire (Concita De Gregorio, anche e ovviamente) e il campo di quelli che devono tacere (gli studenti e i docenti di Massa Lubrense e forse quelli di tutte le altre scuole del paese).
Prese di posizione e risposte non sono mancate anche da parte dei docenti della scuola chiamata in causa. Alla giornalista è stato rimproverato un atteggiamento spocchioso e saccente e, tra le righe, anche accompagnato da una sorta di pregiudizio verso il Sud (?) e verso gli istituti professionali. Non si comprende bene, insomma, il valore della sua invettiva.
“Abbiate cura delle parole”. L'ironia è però sempre quella della sorte che non bada al cinismo o allo sprezzo di chi parla, pensando di saper dire sempre cose giuste e corrette. A poche ore dalla sua uscita su Draghi, Harvard e Massa Lubrense, in occasione della scomparsa del professor Luca Serianni, docente davvero di rango e maestro di generazioni di studenti e studiosi, la serena Concita De Gregorio propone, nella sua rubrica su Repubblica – Invece Concita – un articolo dal titolo illuminante: Abbiate cura delle parole. Dal titolo si passa poi ad una sorta di lezione sul valore delle parole e sulla necessità di usarle con composta competenza linguistica, come ci ha insegnato il magistero di Luca Serianni.
Il dubbio che resta, ahimè, ai lettori che non hanno frequentato Harvard, dopo la lettura dell'articolo della serena Concita De Gregorio, è se il monito sia rivolto a tutti dalla giornalista che ha le competenze per farlo o se è una linea che tutti dovrebbero fare propria come estremo insegnamento di Serianni. A poche ore di distanza un'altra ambiguità nelle parole di una giornalista così esperta sembra strana e andrebbe indagata meglio; probabilmente quasi tutti sono stati precipitosi nel giudizio e non hanno saputo comprendere il vero messaggio che ci è stato da lei rivolto.
Per quanto riguarda Harvard, ci piace rimandare all'articolo dolce e competente di Nicola Lacetera, oggi docente in una Università del Canada, che (Il Mulino 22 luglio) riflette sul rapporto fra merito, agiatezza familiare e possibilità di riuscita che sono alla base dell'idea dell'Università americana. L'articolo si chiude poi con un richiamo alla carriera di maestra elementare della madre dell'autore: un percorso di lavoro e dedizione, anche per tutti quei bambini che presentano disturbi cognitivi o dell'apprendimento. Con grande onestà intellettuale, Lacetera si domanda – e ci domanda – quale sia il contributo sociale più rilevante tra il lavoro di un ricercatore di Harvard e l'esperienza di confine che tanti docenti vivono nelle loro scuole di ogni ordine e grado.
Nella scuola italiana ci sono mille difetti e mille problemi. L'elenco sarebbe lungo e non percorribile in questo momento. C'è, tra i tanti aspetti deformanti una situazione che riguarda tanti docenti che pure dovrebbero stare a cuore alla serena Concita De Gregorio. Le parole sul merito si sprecano in un paese che, in alcuni settori, sembra vivere del retaggio feudale.
Ad insegnare nelle scuole del nostro paese, come sintomo di una deformata cultura della conoscenza, della preparazione e del merito, ci sono – tra gli altri – decine e decine di docenti che dopo dottorati di ricerca, borse di studi, assegni, anni all'estero e così via hanno deciso di dedicarsi all'insegnamento a scuola perché il sistema universitario e quello degli enti di ricerca li ha espulsi o non ha donato loro nessuna stabilità.
Insomma, come già segnalato mille volte, abbiamo formato, con una notevole spesa, dei possibili ricercatori o dei possibili docenti e non ne abbiamo valorizzato il lavoro. Non tutti sono andati all'estero: molti sono rimasti in Italia e hanno apportato nelle nostre istituzioni scolastiche un evoluto grado di preparazione che diventa un valore aggiunto per le scuole e per gli studenti. L'invito era quello ad avere cura delle parole e cercheremo di farlo, tutti, ognuno in base al proprio ruolo e al peso della propria voce.
Mille difetti e mille problemi per la scuola pubblica italiana: accanto alla lunga lista di carenze, resta l'orgoglio dei docenti che credono nel loro lavoro e che amano la scuola pubblica per il suo essere un inclusivo presidio di democrazia e uno strumento di condivisione e confronto.
Le caste, i privilegi, i poteri forti o deboli stanno altrove e sono quelli che, probabilmente, davvero bloccano lo sviluppo di un paese in cui ben pochi possono pensare di andare a studiare ad Harvard e quasi tutti sono, invece, chiamati a frequentare la loro più o meno “sgarrupata” scuola di periferia.
Antonio Fresa
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