Le distanze in Sicilia si misurano diversamente

Sicilia Ragusa
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Da Palermo a Castellammare del Golfo ci sono, dice Google, 43 chilometri. Per raggiungerla in macchina si impiegano circa tre quarti d’ora. In treno due ore e 15 minuti. E un cambio…
Mio figlio doveva partecipare a un evento, e abbiamo cominciato ad interrogarci sulla convenienza di un tragitto in automobile o in treno, finendo poi a riflettere su una serie di domande e paragoni che ci hanno portato inevitabilmente a considerazioni altre. Se teniamo conto che dalla capitale politica, Roma, a quella economica, Milano, in treno ci si impiega un po’ di più, tre ore per essere precisi, e nessun cambio per coprire una distanza di, badate bene, 571 chilometri, dobbiamo ancora ridere alla barzelletta del “Ponte sullo stretto” o cominciare ad interrogarci sul perché le comunità, i paesi, le città siciliane vengano sistematicamente tenute isolate?

Se l’autostrada Catania – Messina è interrotta, l’alternativa è percorrere una statale intasata o tornare a Buonfornello e prendere la Palermo – Messina. Altro giro altra corsa tra interminabili lavori in corso…
L’autostrada Palermo-Agrigento non è mai esistita, c’è una lunga e tortuosa statale che attraversa ridenti località, e si snoda tra innumerevoli cantieri tra i quali sono stati, da anni ormai, installati una serie di semafori, così da dare l’illusione di guidare spediti per un certo tratto per poi fermarsi ad un incrocio immaginario.
Poco più di 100 chilometri in poco più di due ore per coprire il tragitto in pullman. Cercare sul motore di ricerca per credere… “La distanza da Palermo ad Agrigento è 92 km. La distanza stradale è 127 km”.

Investimenti sulle infrastrutture zero.
Eppure come abili prestigiatori ad ogni tornata elettorale, i candidati di qualsiasi orientamento politico hanno contorni ormai, così vacui che viene voglia di intonare il ritornello di Gaber, ogni due per tre, tirano fuori dal cilindro una soluzione simil ponte.

Quest’anno la data scelta, il 25 settembre, non so se a caso o volutamente, coincide con la Giornata mondiale dei sogni e quale occasione migliore per propinarci il miraggio di un ponte che magicamente riunisca la terra ferma all’isola, che un gambale senza calzata non si può chiamare stivale finché non se ne cuciono i lembi.
Ci raccontano di un arcobaleno che più che unire l’Italia alla Sicilia pare possa riversare dal mondo immaginario a quello reale l’illusione che dove termina potremo trovare non una pentola d’oro ma una terra fertile non solo di arance e di limoni, frutti prelibati, ma anche di idee e di propositi.
Peccato che marciscano entrambi sulla pianta della cattiva gestione di una politica che guarda all’appartenenza e agli apparentamenti elettorali e dimentica puntualmente, a risultato raggiunto di prendersi cura di questa terra ricca di storia e povera di intenzioni.
Apparentamento… questa parola sembra presa in prestito dal gergo siciliano che ci vede tutti parenti, che anche se non le conosci le persone che incontri, è consuetudine a seconda della situazione, appellarle “cucì”, “cumpà”, o “parri
Parentele di nascita, “cugino” o intervenute, in caso di matrimonio “compare” e di battesimo “padrino”. È un modo di approcciarsi all’altro che rispecchia perfettamente quello che in tempo elettorale la politica adotta come metodo, la convenienza, lo dimostra il fatto che a poltrone ottenute gli accordi saltano e le parentele o meglio gli apparentamenti si sciolgono come neve al sole. A ragione la saggezza popolare ricorre ad un vecchio e infallibile detto “Amici e parenti, ‘un c’accattari e ‘un ci vinniri nenti” ovvero “Amici e parenti, non comprargli e non vendergli niente”.

Siamo partiti dalle strade, per questo ragionamento e alle strade siamo tornati, quando mio figlio mi ha posto l’ennesima domanda: “Ma perché in Sicilia non c’è lavoro?
Una domanda che apre mille scenari e mille risposte possibili, quella che ho dato per rimanere in tema è che gli itinerari che favoriscono l’incontro della domanda con l’offerta, oppongono mille ostacoli, che strade tortuose e lavori in corso non sono altro che la trasposizione di una volontà precisa di impedire alla Sicilia di emanciparsi dalla condizione di Isola e ai Siciliani di edificarvi il proprio futuro.
Io sono nato in Sicilia e lì l’uomo nasce isola nell’isola e rimane tale fino alla morte, anche vivendo lontano dall’aspra terra natia circondata dal mare immenso e geloso” per citare Pirandello, “e da una politica che spaccia i sogni per realtà” vorrei aggiungere io.

Antonella Balistreri

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