Arctic Monkeys. Humbug. Le scimmie provano a rifarsi il look

Arctic Monkeys Humbug
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Sono trascorsi quasi quattro anni dalla pubblicazione, con la Domino Records, del primo singolo I Bet You Look Good On The Dancefloor e ancora una volta il successo sorride al gruppo di Sheffield [1]. La loro storia resta un esempio e una speranza per tutte quelle band che iniziano da anguste e polverose stanze o dal classico garage pubblicando e promuovendosi sulla rete.

Arctic Monkeys HumbugHumbug è stato prodotto da James Ford e Josh Homme dei Queens of the Stone Age che ha portato Alex Turner e soci a Joshua Tree nel deserto californiano del Mojave. E di Homme si avverte la presenza nel suono secondo molti commentatori e ha sicuramente contribuito ad un cambio di linea che gli Arctic Monkeys volevano [2]. Forse, come sostiene Giordani, per scrollarsi quella immagine <<mediatico-mondana>> e per dimostrare la capacità di sviluppare in libertà orizzonti sonori fuori dagli schemi prodotti e nei quali potrebbero essere rimasti ingabbiati [3].

Le Scimmie artiche si sono presentate con un album che devia dai sentieri musicali dei precedenti due rallentando il ritmo e inserendo note provenienti da altri mondi come quello psichedelico. Sembra un passaggio, un attraversamento di frontiera anche se non si ode il clima del deserto dove alcune registrazioni sono avvenute.

Il giudizio di Bertoncelli su questa terza prova dei suoi preferiti dell’ultima <<covata>> è negativo. Provano a metterci un po’ di tutto per maturare cambiando la musica dei loro successi: dagli XTC, agli Smiths, agli Jam passando per Jim Morrison con Potion Approaching, ma non funziona perché resta una semplice <<vetrina>>. Si salvano il basso di Nick O’Malley e il brano Pretty Visitors [4].

Stroncatura altrettanto netta e con poche parole è quella di  Braggion che la considera un’<<emulazione di un suono targato 2000 ormai d’antan>>. Qualche spunto è forse percepibile per l’intervento di Homme o per la voce di Turner o per alcuni effetti che innestano <<un po’ di patina barocca al sound derivato da Klaxons, Maxïmo Park e affini>> [5].
Targhetta sembra dire che le buone intenzioni per una maturazione e per il nuovo suono c’erano tutte, ma il risultato non soddisfa le attese. Questo sia quando il passo ha perso di frequenza e intensità e sia quando torna a cadenzarsi come nei precedenti lavori. E non aiutano nemmeno la nuova produzione e i luoghi desertici di alcune registrazioni. Anche se non tutto è chiuso per il futuro.
Insomma <<la maggior parte dei brani inflaccidisce l’energia degli Arctic Monkeys più incisivi>> e <<a ritmi bassi funziona davvero solo The Jeweller’s Hands lunga dark-ballad introspettiva sbiadita dall’organo>>.  Oltre a Crying Lightning piace anche Pretty Visitors <<psych-punk orrorifico con refrain cantato in stile zombie, organo allucinato e rullate frenetiche>> [6].

Le opinioni sono completamente opposte nella recensione di De Pascale che sdogana positivamente il nuovo corso degli Arctic Monkeys che possono finalmente allontanare i dubbi sulla solidità nel tempo della loro musica. E lo fanno con un’opera che pulsa sonorità anni Sessanta e Ottanta: gli Yardbirds in My Propeller, i Cream in Tales of Brave Ulysses, Jimi Hendrix i Killing Joke in  Dangerous Animal o Bowie in The Jeweller’s Aids. Una svolta che vede impegnato anche Turner per la <<rinuncia a una parte della sua smaccata eloquenza nelle liriche a favore di maggiori allegorie che lasciano a volte senza fiato come nella epica secchezza di Dance Little Liar>> [7].
Anche per Falotico siamo di fronte ad un disco di <<ottima fattura>> che segna il cambio di rotta annunciato favorito dall’arrivo di Joshua Homme. Un disco con <<forti distorsioni>> e inserzioni psichedeliche dove sapientemente si intrecciano tre parti.
La prima che presenta le novità con <<un suono più pieno, reef incisivi con chitarre distorte e tempi più cadenzati e pesanti>>, la seconda vicina alle origini e la terza con <<un rock più elaborato, di base indie ma psichedelico, pieno di riverberi ed echi, come in Fire and The Thud e Dance Little Liar>> [8].

Accoglienza mediamente positiva anche per la critica musicale anglosassone così come risulta dall’elaborazione numerica delle recensioni fatta dal sito www.metacritic.com. Non vi curate di noi e ascoltate.
Ciro Ardiglione

genere: rock
Arctic Monkeys
Humbug
etichetta
: Domino Records
data di pubblicazione: 25 agosto 2009
brani: 10
cd: singolo

[1] L’esordio con il singolo è del 17 Ottobre 2005 con l’arrivo subitaneo in testa alla classifica in Gran Bretagna grazie a circa 40.000 copie vendute. Il primo album Whatever People Say I Am, That’ s What I’ m Not dopo una settimana è il disco più venduto, con oltre un milione di copie in otto giorni, nella storia d’ Inghilterra. Anche il precedente e l’ultimo di questi giorni scalano la vetta.
[2] La dichiarazione è riportata da www.virginradioitaly.it
[3] Francesco Giordani, www.ondarock.it, 3 settembre 2009
[4] Riccardo Bertoncelli, www.delrock.it, 4 settembre 2009
[5] Marco Braggion, www.sentireascoltare.it, settembre 2009
[6] Francesco Targhetta, www.storiadellamusica.it, settembre 2009
[7] Ernesto De Pascale, www.rollingstonemagazine.it, 27 agosto 2009
[8] Pierluigi Falotico, www.rockshock.it, 24 agosto 2009

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