Le zone libere e le repubbliche partigiane

museo nazionale della resistenza

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La crisi del modello di democrazia rappresentativa è inarrestabile.
Con l'inizio dell'implosione dei partiti di massa, negli anni Ottanta del XX Secolo, si interrompe la loro funzione di mediazione e composizione istituzionale degli interessi sociali contrapposti, in precario equilibrio tra istanze gradualistico-progressiste (riformismo), conservatorismo e tradizione autoritaria, trasformandosi in oligarchie all'interno dello Stato e spesso in centri di potere autoreferenziali distribuiti su diversi territori regionali.
Il risultato è una conseguente ondata di sfiducia popolare, d'estraneità ed ostilità verso le Istituzioni alimentate soprattutto dalla corruzione e dagli scandali, che lascia spazio alla personalizzazione della politica, favorita, da ultimo, anche dall'eccesso nell'utilizzo propagandistico della rete telematica policentrica InteNET, dietro il quale si nasconde il virus plebiscitario della scelta immediata e superficiale, in termini di “consenso”, come dentro un avvincente market delle offerte politiche, sempre più indistinguibili nei “contenuti”, ma non nei “contenitori”.

C'è un'altra storia da ricordare – e ci è in parte consentito dalla vigilanza democratica e dall'impegno civile dell'Associazione Nazionale Partigiani d' (ANPI) – che se si configurassero le condizioni per riproporla consentirebbe l'uscita dal pantano della patologica indecidibilità di chi avrebbe tanto da conquistare dal superamento dai sistemi politici che coesistono con il modo di produzione capitalistico.
Come l'esempio dello straordinario esperimento politico che si consumò tra il 18 Marzo e il 28 Maggio del 1871, allorquando il popolo parigino diede vita a una forma di autogestione della società, dalle scuole alle fabbriche, dai musei ai trasporti, con l'esercizio della produzione industriale degli opifici a mezzo degli operai fino allora occupati in essi, da riunirsi ora in società cooperative, la cui fine tragica non ne ha cancellato la forza simbolica: si è data la traduzione d'una concezione alternativa della vita sociale nella manifestazione autonoma e concreta della classe operaia in quanto soggetto politico. Meno di cento giorni per partorire una «forma politica finalmente scoperta» e consegnarla alle generazioni successive, come esempio e monito. Ci si riferisce alla Comune di Parigi.

Come nuovamente capitò, dopo un secolo, nella primavera-estate del 1944 quando la guerra partigiana vive un momento particolarmente positivo: le bande aumentano i propri effettivi riuscendo a dare vita a formazioni più consistenti e meglio strutturate. I nazifascisti, in forte difficoltà sul fronte meridionale – la linea Gustav cede a Maggio, nello stesso mese gli angloamericani sfondano sul fronte tirrenico e il 4 Giugno entrano a Roma – sono costretti a rinforzare la linea Gotica.
Tutto ciò si traduce in una «evidente delegittimazione della Repubblica sociale, che conserva l'esercizio formale delle proprie funzioni solo là dove la presenza militare tedesca ne garantisce l'autorità» [1].

Dove non ci sono i tedeschi, quindi, i fascisti perdono il controllo del territorio a favore delle forze partigiane. Così, in ampie aree dell'Italia centro-settentrionale, le cosiddette “zone libere”, «si realizzano forme originali di autogoverno», gestite dai combattenti in rappresentanza del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). Tre sono, secondo Gianni Oliva, i modelli prevalenti di queste esperienze di autogoverno: «la diretta assunzione dei compiti politici e amministrativi da parte dei comandi partigiani; la scelta dei membri del CLN e delle giunte a opera dei commissari politici; la preparazione e la convocazione di assemblee elettorali come uniche sedi di legittimazione dei nuovi poteri» [2].

Le zone libere e le repubbliche si insediano in Piemonte (Langhe e Alto Monferrato, Ossola, Lanzo, Mombercelli), Liguria (Torriglia), Lombardia (Saviore, Varzi), Emilia Romagna (Bardi, Bobbio, Montefiorino), Friuli Venezia Giulia (Carnia e Friuli orientale, Nimis) e Umbria (Cascia).
La concretizzazione più interessante di queste esperienze è quella delle repubbliche partigiane delle Langhe e dell'Alto Monferrato, della Carnia e dell'Ossola, dove si attua «la trasformazione del controllo militare in controllo politico» (ibidem), ma anche quella della Repubblica di Montefiorino. Le repubbliche saranno sconfitte dai nazifascisti, ma l'eredità della loro esperienza verrà recuperata dall'Italia democratica del dopoguerra.
La Repubblica di Montefiorino, sull'Appennino modenese, è istituita il 18 Giugno 1944 e comprende, oltre al “comune-capitale”, altri sei paesi. Nell'area, le forze partigiane, sostenute dalla popolazione e dal clero, sono attive fin dall'autunno del 1943. Le bande scelgono presto di porsi sotto un comando unificato, riuscendo così a condurre una guerriglia efficace che, nel Marzo 1944, garantisce loro il controllo dell'area. Nel Giugno di quell'anno la Guardia Nazionale Repubblicana è costretta a ritirare i propri reparti dall'Appennino modenese-reggiano. I fascisti di Montefiorino si trovano, a quel punto, isolati e assediati dai partigiani, e sono costretti a cedere.
La Repubblica incarica i capifamiglia di Montefiorino di eleggere una giunta e un sindaco, che si insediano il 25 Giugno. La stessa cosa accade in quasi tutti gli altri comuni (sul versante reggiano, però, Villa Minozzo e Ligonchio sono presto nuovamente sotto attacco da parte dei nazifascisti). Il tempo breve dell'esistenza della Repubblica non impedisce alla giunta di Montefiorino di introdurre provvedimenti importanti, come «quelli nel campo degli approvvigionamenti (denuncia e conferimento del bestiame, controllo della trebbiatura, distribuzione del grano), della produzione (riapertura dei caseifici, messa in opera di trebbiatrici, reperimento di carburante per l'agricoltura), delle imposte (revisione delle esenzioni tributarie, imposte di consumo), dei prezzi ([…] adeguati alle possibilità economiche della zona), dei sussidi ai bisognosi».
I partigiani della Repubblica proseguono con un'intensa attività di guerriglia, che colpisce le retrovie della linea Gotica e a un certo punto spinge i tedeschi a cercare un accordo. Le formazioni, tuttavia, non trattano, e ciò scatena la reazione. Montefiorino è attaccata dalla fine di Luglio e, nonostante la disparità di forze, le formazioni si difendono accanitamente. Alla fine, però, sono costrette a sganciarsi, pur non rinunciando a combattere fino alla liberazione del territorio. La Repubblica crolla il 2 Agosto 1944 [3], non senza lasciare una traccia indelebile che ci ricorda un diverso modo possibile di governare e partecipare.

Giovanni Dursi

[1] Gianni Oliva, Zone libere, in E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi, Dizionario della , Torino, Einaudi, 2006, p. 497.
[2] Gianni Oliva, ibidem
[3] Luciano Casali, Montefiorino, in E. Collotti, R. Sandri, F. Sessi, Dizionario della Resistenza, Torino, Einaudi, 2006, pp. 509-512.

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