
Poco più di dieci giorni prima dell'elezione del Presidente della Repubblica, il 12 gennaio scorso, la Camera dei Deputati ha approvato una proposta di legge – unificando tre diverse iniziative di Italia Viva, PD e M5S – riguardante la regolamentazione dell'esercizio di lobbying che è ora all'esame del Senato.
Non è stata data molta pubblicità a questo importante lavoro parlamentare forse perché già tutti proiettati mentalmente verso la corsa al Quirinale, eppure sarebbe stato giusto concedere molto più spazio al confronto proprio perché è dal 1976 che in Parlamento si discute sull'argomento e i 96 progetti di legge finora presentati sono stati tutti lasciati cadere nel vuoto. Tale assenza normativa si è rivelata estremamente pericolosa perché i lobbysti, o portatori di interessi, hanno continuato ad agire muovendosi senza paletti di riferimento rasentando quindi molto spesso zone d'ombra al limite della legalità.
La proposta di legge, approvata con 339 voti favorevoli e 42 astenuti, come detto è ora all'esame del Senato e si spera che la lettura e la decisione arrivi prima della fine della legislatura del 2023.
L'urgenza di arrivare ad un testo di legge che non lasci vuoti normativi, ci viene ricordato da Paolo Polidori – professore associato di Scienza delle Finanze presso l'Università di Urbino – e da Francesco Sestili – ricercatore presso l'Università della Tuscia, Viterbo – i quali rilevano come “pensare di azzerare l'attività di lobbying è una pura illusione, l'unica operazione sensata è tentare di gestirla e organizzarla in forma e modi che ne enfatizzino il lato virtuoso comprimendone le derive distorsive… in assenza di queste regole vi è il rischio che le attività di lobbying si svolgano costituendo un esercizio di potere e di privilegio contrario ai principi democratici” [1].
Va comunque ricordato che la figura giuridica del lobbysta è stata recepita con difficoltà in Italia in quanto, come espressione tipica della consuetudine anglo-americana, nasce lì dove il sistema vigente basato sul common law accetta che la rappresentanza di interessi particolari si inserisca nel delicato momento di formazione del processo decisionale circa l'interesse generale, cosa che non è stata mai contemplata nel nostro ordinamento derivante storicamente dal diritto romano.
Comunque sia, l'attività di lobbying presuppone schematicamente due figure e cioè da una parte il lobbysta – colui che per proprio conto o per terzi esercita tale attività – e dall'altra il decisore pubblico che opera in base alla titolarità delle sue funzioni per la formazione dell'interesse generale.
A tutt'oggi, come detto, non esistendo un quadro normativo unitario dato dall'assenza di una legge specifica, ci si è mossi in ordine sparso cosicché ogni organo istituzionale ha elaborato in autonomia procedimenti e misure indipendenti le une dalle altre. Così le regolamentazioni previste, oltre a non avere alcun coordinamento, si possono contare sulle dita di una mano e vanno ascritte alla Camera dei Deputati, qualche Ministero, l'Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC) e alcune Regioni.
Vediamo ora i punti salienti del disegno di legge e quelli che hanno generato perplessità ed attriti.
Intanto l'articolo 2 della proposta legislativa dà una definizione di cosa si debba intendere per attività di lobbying precisando, e questo è molto importante, che ai decisori dell'interesse pubblico (cioè membri del Parlamento e/o del Governo, i Presidenti delle Province, i Sindaci, gli Organi di vertice degli Enti pubblici statali ecc.) possono pervenire anche richieste di rilevanza non generale e pure di natura non economica, consentendo in questo modo la salvaguardia del diritto di rappresentanza per poter concorrere alla formazione dell'interesse pubblico anche alle organizzazioni senza scopo di lucro o la cui finalità sociale non è l'attività di rappresentanza di interessi [2]. Le attività si esplicano mediante diverse modalità, anche in digitale, come la presentazione di domande di incontro, proposte, richieste studi, documenti, analisi, ricerche.
Ma facciamo attenzione, perché se da una parte una definizione così estensiva dell'attività di lobbying può far pensare che venga garantito l'accesso a qualunque organizzazione, dall'altra proprio una eccessiva dilatazione della normativa ne fa perdere i confini. In sostanza tutto ciò potrebbe portare a confondere quelli che propriamente sono definibili come interessi, diciamo, “generali” da quelli “particolari”. Con ciò intendo dire che sia l'interesse di un grande gruppo industriale, ad esempio, quanto quello di una piccola realtà di consumatori, può non solo migliorare la qualità delle scelte politiche, cosa molto importante, purché a noi cittadini risultino chiari e distinguibili i soggetti che con la loro proposta hanno contribuito a generare quella scelta politica le cui conseguenze avranno ricadute su di noi. Mi sembra questo un punto che non dovrebbe essere abbandonato alla sua genericità in fase di lettura della proposta di legge in Senato.
Fra gli altri punti presenti nel disegno di legge quello che spicca maggiormente è l'obbligatorietà di iscrizione ad un “Registro nazionale” proprio per rendere trasparente quell' attività per la rappresentanza di interessi presso i decisori pubblici e sarà istituito presso l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust), consultabile da ogni cittadino che ne abbia interesse semplicemente attraverso lo Spid o una Carta d'Identità elettronica.
Un altro punto di notevole interesse sempre a garanzia della trasparenza dei rapporti è rappresentato dai divieti imposti per l'accesso al Registro nazionale dove, accanto alla preclusione per coloro che hanno riportato condanne definitive a due anni di reclusione, spicca l'inibizione ai decisori pubblici – durante il loro mandato e per un anno dalla cessazione se svolgono incarichi di Governo nazionale o Regionale – di potersi iscrivere al Registro. Questa disposizione è evidentemente dettata per evitare quel pericoloso fenomeno conosciuto come quello delle “porte girevoli” che se non impedito, vanificherebbe forse l'intero progetto legislativo.
Proprio per questo motivo, tra le altre norme inserite nella proposta di legge c'è l'obbligo della creazione di una agenda degli incontri fra i lobbisti e i decisori pubblici che dovrà essere aggiornata con cadenza settimanale e il cui contenuto passerà al vaglio di un Comitato di sorveglianza istituito presso l'Antitrust.
Sebbene nel complesso la struttura del disegno di legge abbia trovato consensi generalizzati, non sono pochi però i punti ancora sui quali si spera il Senato possa portare i correttivi desiderati. Ad esempio, “innalzando il periodo di raffreddamento (cioè l'inibizione per un anno dalla cessazione dell'incarico. Ndr) ad almeno due anni ed estendendolo anche ai parlamentari; inoltre rendendo tracciabili anche gli incontri fra gli alti dirigenti con potere di firma e i lobbisti” [3]. Anche in questo caso è evidente la finalità di impedire, tramite l'innalzamento del periodo di “raffreddamento”, che cessato il mandato di decisore pubblico magari con responsabilità apicali, si possa tranquillamente diventare il lobbista di una realtà di quello specifico settore.
Non dimentichiamo inoltre, che quello che potrebbe apparire come un semplice dettaglio, ricopre invece una importanza notevole specialmente se rapportato alle normative previste dal PNRR in quanto una delle finalità del Piano è quello di salvaguardare il mercato evitando di privilegiare qualche attore in particolare.
Sulla necessità che l'Italia si doti quanto prima di una legge sull'attività di lobbying, si è espresso anche il professore di Diritto Pubblico presso La Sapienza Pier Luigi Petrillo il quale ci ha ricordato che “l'OCSE stima che la mancata regolamentazione del lobbying incida per quasi mezzo punto sul Pil perché allontana imprese ed investimenti. Inoltre sapere quali interessi influenzano le decisioni di chi ci governa, consente al cittadino di valutare l'operato del decisore e di votare con maggiore consapevolezza” [4].
All'apparenza sembra che questo disegno di legge, fatti alcuni distinguo che abbiamo segnalato, non debba incontrare eccessivi ostacoli nella valutazione del Senato ed invece c'è il pericolo che vada a scontrarsi contro quello che potrebbe rivelarsi uno scoglio insormontabile. Infatti il secondo comma dell'articolo 3 della proposta di legge, segnala i soggetti giuridici che sono esclusi dall'applicazione della legge e tra questi vengono ricompresi i Partiti o Movimenti politici nonché le Organizzazioni sindacali e imprenditoriali, cioè a ben vedere forse i più interessati ed influenti nel campo lobbistico.
Ebbene, secondo quanto al momento previsto, Confindustria e Sindacati non dovranno registrare le risultanze dei propri incontri con politici e decisori vari nei registri, così come imposto alle altre organizzazioni pure impegnate nella difesa dei diritti.
È dura la reazione di Federico Anghelè dell'associazione “The good lobby” il quale evidenzia come “L'errore più macroscopico è quello di aver certificato che esistono interessi privilegiati rispetto ad altri. Si è detto: loro (Confindustria e Sindacati, ndr) rappresentano gli interessi generali. Ma anche Amnesty International o Greenpeace lo fanno, eppure queste due organizzazioni no profit saranno chiamate a rendicontare tutti gli incontri tenuti con i politici” [5]. Non si può non condividere questa osservazione proprio perché paradossale nonché lesiva del principio di uguaglianza, cosa che sembra non aver scosso nessuno dei Partiti firmatari della proposta di legge (Forza Italia, Lega, PD, Italia Viva, Gruppo Misto) tanto che l'emendamento che prevede questa esenzione è stato subito ribattezzato “salva Confindustria”. Va anche detto che solo LeU e M5S hanno deciso di prendere le distanze.
Ma un appello sostanzialmente volto all'abolizione di quell'emendamento proviene chiaro e forte da ben 42 accademici europei che sottolineano come l'obiettivo della legge, se è quello di migliorare la trasparenza, allora è necessario che tale requisiti si applichino a tutte le organizzazioni impegnate in attività di lobbying, pena l'allontanamento dai principi di trasparenza di quasi il 90% dei lobbisti.
Questa anomalia, che non trova riscontri simili in Europa, è amplificata e resa ancora più eclatante dal fatto che sia la nostra associazione imprenditoriale che i sindacati sono – come d'obbligo – iscritti nel “Registro” della trasparenza riguardante le istituzioni europee. Ad esempio, Confindustria in Europa ha attivato e svolto 77 incontri con Commissari e/o dirigenti che gestiscono vari progetti e dossier, investendo in tale attività di lobbying € 900.000. La CISL, invece, ha al suo attivo solo 3 incontri con varie rappresentanze di istituzioni europee a Bruxelles il cui investimento è stato di € 400.000 [6].
In conclusione, la futura legge sulle attività di lobbying segna un passo in avanti in tema di trasparenza e controllo e la sua importanza è segnalata anche dal fatto che il voto alla Camera è stato “blindato”, ma ora tutto dipenderà dall'atteggiamento che assumerà il Senato nei confronti di queste macroscopiche assurdità.
Stefano Ferrarese
La Camera [1] journals.uniurb.it – Paolo Polidori e Francesco Sestili “La regolamentazione delle attività di lobbying” – Urbino 2019
[2] camera.it – Lavori preparatori dei progetti di legge – Atto Camera 196 – 12/1/2022
[3] thegooglobby.it – Fabio Rotondo “Qui si fa la storia! Ok della Camera alla legge sul lobbying” – 13/1/2022
[4] ilsole24ore.com – Nicola Barone “Dal codice Ateco verso nuove norme sulla trasparenza delle lobby” – 13/1/2022
[5] wired.it – Luigi Mastrodonato “Perché la proposta di legge sulle lobby rischia di essere una rivoluzione zoppa” – 14/1/2022
[6] transparency.org – Integrity Watch – EU Lobbyists – 2022
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